Kirghizistan. Il presidente accusa: "Ingerenze esterne nel golpe"
Un colpo di Stato con ingerenze esterne: così il presidente del Kirghizistan Bakìev
ha definito l’ascesa al potere da parte dell'opposizione, dopo i violenti scontri
di ieri, dove sarebbero morte almeno 75 morte, un migliaio i feriti. Appelli al rispetto
della legge nel paese sono arrivati da Unione Europea e Nazioni Unite. Giuseppe
D’Amato
Ma quali gli
effetti di questa rivolta? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fulvio Scaglione,
vicedirettore di "Famiglia Cristiana", esperto dell’area ex sovietica:
R.
– E’ difficile dirlo, anche perché il Kirghizistan ha ormai una lunga tradizione di
rovesciamenti, di inquietudini, di governi instabili, di presidenti che si impossessano
del potere e poi sono costretti a lasciarlo. Io credo che, alla fine, paradossalmente,
la conseguenza forse più probabile dei rivolgimenti di questi giorni, sia invece una
certa stabilità di fondo, anche per le caratteristiche geografiche ed economiche del
Paese. Questo è un Paese bloccato tra le opposte esigenze della Russia e degli Stati
Uniti e, in qualche modo, altrettanto bloccato dalla sua composizione economica. E’
un Paese dove l’agricoltura è ancora fondamentale, ma altrettanto fondamentale è il
settore energetico, il quale non può vivere se non di relazioni internazionali.
D.
– Cambieranno in qualche modo i rapporti con le grandi potenze, tra le quali anche
la Cina, con la quale il Kirghizistan confina?
R. –
Io non credo che un nuovo governo possa reinventarsi equilibri radicalmente diversi
da quelli attuali. Gli Stati Uniti hanno una base militare a Manas, che è l’immediata
retrovia delle operazioni in Afghanistan. Lo stesso dicasi per la Russia che, tra
l’altro, con il Kirghizistan ha degli accordi importanti per le forniture di gas.
Più silenzioso è il rapporto con la Cina, ma altrettanto essenziale, perché la Cina
è un’acquirente di risorse energetiche notevole, è un’acquirente che paga subito e
bene e che ha in progetto anche la costruzione di infrastrutture, per garantire a
sé le forniture energetiche, ma evidentemente anche per fornire il Kirghizistan di
gasdotti e attrezzature che il Paese da solo non potrebbe costruire. Quindi, io credo
che la questione del Kirghizistan sia tutta interna.
D.
– La realtà kirghiza non rientra, dunque, in quella situazione di forte destabilizzazione
che invece abbiamo visto in molte repubbliche ex sovietiche, soprattutto del Caucaso.
Ha, quindi, cause proprie?
R. - Io direi di sì, anche
perché il Kirghizistan per un certo periodo era stato addirittura considerato una
sorta di esempio per le altre repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale. Credo
che valga la pena notare che si compie con questa rivolta di piazza, con le dimissioni
dei vertici, la parabola negativa di un’altra delle rivoluzioni che avevano fatto
sperare in una svolta realmente democratica; rivoluzioni sì cruente, ma non cruentissime,
come era successo per esempio in Ucraina. Si era molto sperato, ma questi governi,
che si sono insediati in quel modo, si sono rivelati poi, per certi versi, addirittura
peggiori di quelli che hanno sostituito.