Pasqua in carcere con i detenuti: intervista col cappellano di Rebibbia
Il periodo pasquale, così ricco di celebrazioni liturgiche, coinvolge nelle parrocchie
centinaia di fedeli che si ritrovano e incontrano come comunità cristiana. Ma ci sono
luoghi in cui non sempre è possibile vivere pienamente la Pasqua partecipando alle
Messe solenni o ai momenti di preparazione liturgica. È il caso delle carceri, dove
comunque non mancano le iniziative religiose. Tiziana Campisi ha chiesto a
don Sandro Spriano, cappellano del Carcere romano di Rebibbia, quanti sono
i detenuti che in media si riuniscono nella Cappella della casa circondariale:
R. – Si va
dalle 200 alle 300 persone, a fronte di 1700. La gran massa delle persone non vive
la festa, se non - chi ci riesce - in maniera personale, interiore. Questo perché
non hanno la possibilità di usufruire di quei momenti di festa o di preghiera che
facciamo per loro. E’ determinato, da un lato, dal fatto che non tutti sono credenti
e praticanti, dall’altro, dall’impossibilità di mettere insieme tante persone, perché
il carcere per motivi di sicurezza non è in grado di consentirlo.
D.
– Ma come avvicinate le persone, che non possono partecipare alle liturgie pasquali?
R.
– Con me lavorano molti sacerdoti volontari, molti seminaristi volontari. Per cui,
per esempio, per la Pasqua, tutti noi insieme facciamo la visita delle singole celle,
e tutti i detenuti hanno la possibilità di incontrarci, di parlarci, di ricevere una
benedizione, di fare una preghiera in comune, e devo dire che nessuno mai ha rifiutato
questo incontro.
D. – Quali sono state le iniziative
particolari di questo periodo?
R. – Abbiamo cominciato
con la solenne Via Crucis, facendo un collegamento con la vita del carcere. Abbiamo
avuto la celebrazione delle Palme, con la processione, gli ulivi, che portiamo poi
in tutte le celle degli stessi detenuti che vengono alla Messa e che poi portano ai
loro compagni questi ramoscelli di collegamento con la società e con il Padre Eterno.
Noi cerchiamo in queste feste di proporre un contatto particolare con Dio e abbiamo
fatto, come facciamo varie volte durante l’anno, la celebrazione comunitaria della
riconciliazione. E’ un momento forte anche questo, perché 250 uomini, in Chiesa, riflettono
sul loro passato, sulle proprie colpe. L’esame di coscienza non riguarda se hai rubato
la marmellata o no, parliamo di reati, e molti poi hanno l’occasione in quel momento
di celebrare la loro confessione, riconciliazione individuale.
D.
– Che cosa resta, secondo lei, ai detenuti, di questi momenti?
R.
– Qui le parole speranza, amore, libertà, giustizia, pace, perdono, che normalmente
fuori non ci toccano minimamente, qui ci toccano molto.