2010-04-06 15:30:33

Pasqua in carcere con i detenuti: intervista col cappellano di Rebibbia


Il periodo pasquale, così ricco di celebrazioni liturgiche, coinvolge nelle parrocchie centinaia di fedeli che si ritrovano e incontrano come comunità cristiana. Ma ci sono luoghi in cui non sempre è possibile vivere pienamente la Pasqua partecipando alle Messe solenni o ai momenti di preparazione liturgica. È il caso delle carceri, dove comunque non mancano le iniziative religiose. Tiziana Campisi ha chiesto a don Sandro Spriano, cappellano del Carcere romano di Rebibbia, quanti sono i detenuti che in media si riuniscono nella Cappella della casa circondariale:RealAudioMP3

R. – Si va dalle 200 alle 300 persone, a fronte di 1700. La gran massa delle persone non vive la festa, se non - chi ci riesce - in maniera personale, interiore. Questo perché non hanno la possibilità di usufruire di quei momenti di festa o di preghiera che facciamo per loro. E’ determinato, da un lato, dal fatto che non tutti sono credenti e praticanti, dall’altro, dall’impossibilità di mettere insieme tante persone, perché il carcere per motivi di sicurezza non è in grado di consentirlo.

 
D. – Ma come avvicinate le persone, che non possono partecipare alle liturgie pasquali?

 
R. – Con me lavorano molti sacerdoti volontari, molti seminaristi volontari. Per cui, per esempio, per la Pasqua, tutti noi insieme facciamo la visita delle singole celle, e tutti i detenuti hanno la possibilità di incontrarci, di parlarci, di ricevere una benedizione, di fare una preghiera in comune, e devo dire che nessuno mai ha rifiutato questo incontro.

 
D. – Quali sono state le iniziative particolari di questo periodo?

 
R. – Abbiamo cominciato con la solenne Via Crucis, facendo un collegamento con la vita del carcere. Abbiamo avuto la celebrazione delle Palme, con la processione, gli ulivi, che portiamo poi in tutte le celle degli stessi detenuti che vengono alla Messa e che poi portano ai loro compagni questi ramoscelli di collegamento con la società e con il Padre Eterno. Noi cerchiamo in queste feste di proporre un contatto particolare con Dio e abbiamo fatto, come facciamo varie volte durante l’anno, la celebrazione comunitaria della riconciliazione. E’ un momento forte anche questo, perché 250 uomini, in Chiesa, riflettono sul loro passato, sulle proprie colpe. L’esame di coscienza non riguarda se hai rubato la marmellata o no, parliamo di reati, e molti poi hanno l’occasione in quel momento di celebrare la loro confessione, riconciliazione individuale.

 
D. – Che cosa resta, secondo lei, ai detenuti, di questi momenti?

 
R. – Qui le parole speranza, amore, libertà, giustizia, pace, perdono, che normalmente fuori non ci toccano minimamente, qui ci toccano molto.







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