La risposta del Cardinale Levada al New York Times: riconsiderare gli attacchi contro
il Papa.
La risposta del Cardinale William J. Levada, Prefetto della Congregazione per la
Dottrina della Fede, è stata pubblicata in forma integrale sul sito “Catholic San
Francisco”, ma il testo è stato inviato anche al New York Times in data 26 marzo.
Il testo, in inglese, è disponibile sul sito vaticano: www.resources.va.
La
traduzione in italiano è stata curata da ZENIT.org
Nel nostro
melting pot di popoli, lingue e background, gli americani non sono considerati esempi
di "alta" cultura, ma possiamo essere orgogliosi della nostra passione per la giustizia.
In Vaticano, dove lavoro attualmente, i miei colleghi - sia i confratelli Cardinali
durante gli incontri che gli officiali nel mio ufficio - vengono da vari Paesi, continenti
e culture. Scrivendo questa risposta oggi (26 marzo 2010), ho dovuto ammettere con
loro di non essere fiero del quotidiano New York Times come esempio di giustizia.
Lo dico perché il Times di oggi presenta sia un lungo articolo della
nota commentatrice Laurie Goodstein intitolato "Warned About Abuse, Vatican Failed
to Defrock Priest" ("Avvertito degli abusi, il Vaticano non ha sospeso un sacerdote")
che un editoriale di accompagnamento dal titolo "The Pope and the Pedophilia Scandal"
("Il Papa e lo scandalo della pedofilia"), in cui i redattori definiscono l'articolo
della Goodstein un rapporto inquietante che fa da base alle proprie accuse contro
il Papa. Sia l'articolo che l'editoriale mancano di qualsiasi ragionevole standard
di giustizia che gli americani hanno ogni diritto di trovare - e si aspettano di trovare
- nei loro media principali.
Nel primo paragrafo, la Goodstein si
basa su quelli che descrive come "dossier rinvenuti di recente" per sottolineare ciò
che il Vaticano (ad esempio il Cardinale Ratzinger e la sua Congregazione per la Dottrina
della Fede) non ha fatto - "sospendere padre Murphy". Uno scoop, in apparenza. Solo
dopo otto paragrafi di prosa altisonante la Goodstein rivela che padre Murphy, che
ha abusato in modo orribile di circa 200 bambini audiolesi mentre lavorava in una
scuola dell'Arcidiocesi di Milwaukee dal 1950 al 1974, "non solo non è mai stato processato
o punito dal sistema giudiziario della Chiesa, ma ha anche ottenuto un 'lasciapassare'
dalla polizia e dai procuratori che hanno ignorato i racconti delle vittime, in base
ai documenti e alle interviste con queste ultime".
Nel paragrafo 13,
tuttavia, commentando una dichiarazione di padre Lombardi (il portavoce vaticano)
per cui il Diritto Canonico non proibisce ad alcuno di riportare casi di abuso alle
autorità civili, la Goodstein scrive: "Non ha spiegato perché non sia mai accaduto
in questo caso". Ha dimenticato, o i suoi revisori non hanno letto, ciò che ha scritto
al paragrafo 9 sul fatto che Murphy ottenne "un 'lasciapassare' dalla polizia e dai
procuratori"? In base al suo racconto, sembra chiaro che le autorità penali erano
state informate, molto probabilmente dalle vittime e dalle loro famiglie.
Il
resoconto della Goodstein rimbalza avanti e indietro come se non fossero passati circa
vent'anni tra i racconti degli anni Sessanta e Settanta all'Arcidiocesi di Milwaukee
e alla polizia locale e la richiesta di aiuto dell'Arcivescovo Weakland al Vaticano
nel 1996. Perché? Il fulcro dell'articolo non riguarda i fallimenti da parte della
Chiesa e delle autorità civili nell'agire correttamente in quel momento. Io, ad esempio,
guardando questo rapporto, sono d'accordo sul fatto che padre Murphy meritasse di
essere sospeso dallo stato clericale per il suo comportamento criminale, cosa che
sarebbe stata la conseguenza normale di un processo canonico.
Il fulcro
dell'articolo della Goodstein, però, consiste nell'attribuire il fatto di non aver
proceduto alla sospensione a Papa Benedetto anziché alle decisioni diocesane dell'epoca.
L'autrice usa la tecnica di ripetere le tante accuse di varie fonti (non ultime quelle
del suo stesso giornale) e cerca di usare questi "dossier rinvenuti di recente" come
base per accusare il Papa di indulgenza e mancanza d'azione in questo caso e presumibilmente
in altri.
Dall'altro lato, mi sembra che abbiamo nei confronti di
Papa Benedetto un grande debito di gratitudine per aver introdotto le procedure che
hanno aiutato la Chiesa ad agire di fronte allo scandalo degli abusi sessuali sui
minori da parte di sacerdoti. Questi sforzi sono iniziati quando il Papa era prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede e sono continuati dopo che è stato
eletto Pontefice. Il fatto che il Times abbia pubblicato una serie di articoli in
cui viene ignorato l'importante contributo che ha fornito - soprattutto nello sviluppo
e nell'implementazione della Sacramentorum Sanctitatis Tutela, il Motu proprio di
Giovanni Paolo II del 2001 - mi sembra tale da giustificare l'accusa di mancanza di
giustizia che dovrebbe essere la caratteristica di ogni giornale che goda di buona
reputazione.
Lasciatemi dire quella che a mio avviso sarebbe una giusta
lettura del caso di Milwaukee. Le ragioni per cui la Chiesa e le autorità civili non
hanno agito negli anni Sessanta e Settanta non sono apparentemente contenute in questi
"dossier rinvenuti di recente". E il New York Times non sembra interessato a capire
perché. Ciò che emerge, però, è questo: dopo quasi 20 anni come Arcivescovo, Weakland
ha scritto alla Congregazione chiedendo aiuto per far fronte a questo caso terribile
di gravissimi abusi. La Congregazione ha approvato la sua decisione di intraprendere
un processo canonico, visto che il caso coinvolgeva istigazioni nella confessione
- uno dei graviora delicta (crimini più gravi) per i quali la Congregazione aveva
responsabilità di indagare e agire in modo appropriato.
Solo quando
ha saputo che Murphy stava morendo, la Congregazione ha suggerito a Weakland di sospendere
il processo canonico, visto che avrebbe implicato un lungo processo di acquisizione
di testimonianze di una serie di vittime sorde e del sacerdote accusato. Ha quindi
proposto misure per assicurare che venissero imposte appropriate restrizioni al suo
ministero. La Goodstein suggerisce che questa azione implica "indulgenza" nei confronti
di un sacerdote colpevole di crimini orribili. La mia interpretazione è che la Congregazione
aveva capito che il complesso processo canonico sarebbe stato inutile se il sacerdote
stava morendo. Di recente ho ricevuto una lettera non richiesta dal vicario giudiziario
che presiedeva il giudizio nel processo canonico, che mi dice di non aver mai ricevuto
alcuna comunicazione di sospendere il processo e che non sarebbe stato d'accordo con
questa decisione. Ma padre Murphy nel frattempo era morto. Da credente, non ho dubbi
sul fatto che Murphy si troverà davanti a Colui che giudica i vivi e i morti.
La
Goodstein riferisce anche di quelle che chiama "altre accuse", relative alla riassegnazione
di un sacerdote che aveva in precedenza abusato di bambini a un'altra Diocesi da parte
dell'Arcidiocesi di Monaco, ma l'Arcidiocesi ha più volte spiegato che il Vicario
Generale responsabile, monsignor Gruber, ha ammesso il suo errore nel compiere quell'assegnazione.
E' anacronistico che la Goodstein e il Times sostengano che la conoscenza degli abusi
sessuali che abbiamo nel 2010 avrebbe dovuto essere in qualche modo intuita da quanti
detenevano l'autorità nel 1980. Non è difficilel per me pensare che il professor Ratzinger,
nominato Arcivescovo di Monaco nel 1977, avrebbe fatto quello che fa la maggior parte
dei nuovi Vescovi: permettere a chi era già incaricato di amministrare 400 o 500 persone
di continuare a svolgere il lavoro che gli era stato assegnato.
Guardando
indietro alla mia storia personale di sacerdote e Vescovo, posso dire che nel 1980
non avevo mai sentito alcuna accusa di abusi sessuali di questo tipo da parte di un
sacerdote. E' stato solo nel 1985, quando assistevo come Vescovo ausiliare a un incontro
della nostra Conferenza Episcopale Statunitense durante la quale vennero presentati
dati sulla questione, che sono venuto a sapere di questi fatti. Nel 1986, quando venni
nominato Arcivescovo di Portland, iniziai a far fronte personalmente alle accuse di
abusi sessuali, e anche se la "curva di apprendimento" era rapida era anche limitata
dai casi particolari presentati alla mia attenzione.
Ecco alcune cose
che ho imparato da allora: molti bambini sono riluttanti a riferire casi di abusi
sessuali da parte del clero. Quando si presentano da adulti, il motivo più frequente
non è chiedere una punizione per il sacerdote, ma informare il Vescovo e il direttore
del personale di modo che ad altri bambini possa essere risparmiato il trauma che
hanno subito.
Nel trattare con i sacerdoti, ho imparato che molti
presbiteri, di fronte alle accuse del passato, ammettono spontaneamente le proprie
colpe. Dall'altro lato, ho anche imparato che non è rara la negazione, che in alcuni
casi neanche i programmi terapeutici sono riusciti a far venir meno. Anche terapeuti
professionisti non sono giunti a una chiara diagnosi in alcuni di questi casi; spesso
le loro raccomandazioni erano troppo vaghe per essere utili. I terapeuti sono stati
però molti utili alle vittime nel far fronte agli effetti a lungo termine degli abusi
infantili. Sia a Portland che a San Francisco, dove ho affrontato casi di abusi sessuali,
le Diocesi hanno sempre messo a disposizione fondi (spesso attraverso la copertura
assicurativa diocesana) per la terapia delle vittime degli abusi sessuali.
Dal
punto di vista delle procedure ecclesiastiche, l'esplosione della questione degli
abusi sessuali negli Stati Uniti ha portato all'adozione, in un incontro della Conferenza
Episcopale a Dallas nel 2002, di una "Carta per la Difesa dei Minori dagli Abusi Sessuali".
Questo testo fornisce linee guida uniformi su come riportare gli abusi sessuali o
sulle strutture di riferimento (Consigli che includono clero, religiosi e laici, compresi
esperti), rapporti a un Consiglio nazionale e programmi educativi per parrocchie e
scuole per aumentare la consapevolezza e la prevenzione degli abusi sessuali sui bambini.
In molti altri Paesi le autorità ecclesiali hanno adottato programmi simili: uno dei
primi è stato quello della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles in risposta
al Rapporto Nolan, opera di una commissione di alto livello di esperti indipendenti
nel 2001.
E' stato solo nel 2001, con la pubblicazione del Motu proprio
di Papa Giovanni Paolo II "Sacramentorum Sanctitatis Tutela" (SST), che la responsabilità
di guidare la risposta della Chiesa cattolica al problema degli abusi sessuali di
minori da parte del clero è stata assegnata alla Congregazione per la Dottrina della
Fede. Questo documento papale è stato preparato per Papa Giovanni Paolo II sotto la
guida del Cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede.
Contrariamente a ciò che affermano alcuni media, l'SST non ha
eliminato la responsabilità del Vescovo locale di agire nei casi di abusi sessuali
sui minori da parte di chierici. Né, come altri hanno teorizzato, era parte di un
progetto per interferire con la giuridizione civile in questi casi. L'SST ordina ai
Vescovi di riferire accuse credibili di abuso alla Congregazione per la Dottrina della
Fede, che può aiutare i presuli ad assicurare che i casi vengano gestiti in modo appropriato,
in base al diritto ecclesiastico applicabile.
Ecco alcuni progressi
compiuti da questa nuova legislazione della Chiesa (SST). Ha previsto un processo
amministrativo semplificato per arrivare a una sentenza, riservando l'iter più formale
del processo canonico a casi più complessi. Ciò è stato particolarmente utile nelle
Diocesi missionarie e di piccole dimensioni, che non hanno un forte complemento di
giuristi canonici. Prevede l'erezione di tribunali interdiocesani per assistere le
piccole Diocesi. La Congregazione ha la facoltà di derogare dalla prescrizione di
un crimine per permettere di fare giustizia anche in casi "storici". L'SST ha inoltre
emendato il Diritto Canonico nei casi di abusi sessuali stabilendo i 18 anni come
limite di età di un minore per essere conforme al diritto civile in vigore in molti
Paesi. Prevede un riferimento per i Vescovi e i superiori religiosi per avere consigli
uniformi su come gestire i casi che riguardano i sacerdoti. Al di sopra di tutto,
forse, c'è il fatto che ha definito i casi di abusi sessuali sui minori da parte dei
chierici graviora delicta, crimini più gravi, come quelli contro i sacramenti dell'Eucaristia
e della Penitenza, sempre affidati alla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Ciò mostra la serietà con cui la Chiesa di oggi assume la propria responsabilità di
assistere Vescovi e superiori religiosi per evitare che questi crimini vengano commessi
in futuro e per punirli quando si verificano. Ecco un'eredità di Papa Benedetto che
facilita enormemente il lavoro della Congregazione che ora ho l'onore di guidare,
a beneficio di tutta la Chiesa.
Dopo la Carta di Dallas del 2002, sono
stato nominato (all'epoca come Arcivescovo di San Francisco) per far parte di un team
di quattro Vescovi che doveva ottenere l'approvazione da parte della Santa Sede delle
"Norme Essenziali" che i Vescovi americani hanno sviluppato per permetterci di far
fronte alla questione degli abusi. Visto che queste norme si intersecavano con il
Diritto Canonico esistente, richiedevano un'approvazione prima di essere implementate
come diritto particolare per il nostro Paese. Sotto la presidenza del Cardinale Francis
George, Arcivescovo di Chicago e attualmente presidente della Conferenza dei Vescovi
Cattolici degli Stati Uniti, il nostro team ha lavorato con esperti canonisti vaticani
in molti incontri. Abbiamo trovato nel Cardinale Ratzinger e negli esperti che ha
scelto perché ci incontrassero una cordiale comprensione dei problemi che affrontavamo
come Vescovi americani. E' stato soprattutto grazie alla sua guida che siamo riusciti
a far sì che il nostro lavoro si concludesse con successo.
L'editoriale
del Times si chiede "come gli officiali vaticani non abbiano tratto lezioni dall'enorme
scandalo negli Stati Uniti, dove in tre anni più di 700 sacerdoti sono stati sospesi".
Posso assicurare il Times del fatto che il Vaticano non ignorava allora e non ignora
oggi quelle lezioni, ma l'editoriale prosegue con i soliti pregiudizi: "Ma quando
leggiamo l'inquietante rapporto di Laurie Goodstein... su come il Papa, mentre era
ancora Cardinale, venne personalmente avvertito su un sacerdote... Ma i leader della
Chiesa scelsero di difendere la Chiesa anziché i bambini. Il rapporto illustrava il
tipo di comportamento che la Chiesa voleva scusare per evitare lo scandalo". Scusatemi,
revisori. Perfino l'articolo della Goodstein, basato su "dossier rinvenuti di recente",
pone le parole relative alla volontà di difendere la Chiesa dallo scandalo sulle labbra
dell'Arcivescovo Weakland, non del Papa. E' proprio questo tipo di fusione anacronistica
che penso giustifichi le mie accuse sul fatto che il Times, affrettandosi ad emettere
un verdetto di colpevolezza, manca di giustizia nei confronti di Papa Benedetto XVI.
Come
membro a tempo pieno della Curia Romana, la struttura di governo che adempie ai compiti
della Santa Sede, non ho il tempo di far fronte agli articoli quasi quotidiani del
Times, scritti da Rachel Donadio e altri, e men che meno allo scimmiottamento di Maureen
Dowd dell'"inquietante rapporto" della Goodstein. Ma quando parliamo di un uomo con
cui e per cui ho il privilegio di lavorare, come prefetto suo "successore", un Papa
le cui Encicliche sull'amore, la speranza e la virtù economica ci hanno sorpresi e
ci hanno fatto pensare, le cui catechesi quotidiane e le cui omelie della Settimana
Santa ci ispirano, e sì, la cui azione per aiutare la Chiesa a far fronte efficacemente
agli abusi sessuali sui minori continua ad aiutarci, chiedo al Times di riconsiderare
il suo attacco contro Papa Benedetto XVI e di dare al mondo una visione più bilanciata
di un leader su cui può e dovrebbe contare.
Il testo è tratto dall'edizione
on-line del Catholic San Francisco
[Traduzione dall'inglese di Roberta Sciamplicotti]