La tensione Israele-Usa complica il processo di pace in Medio Oriente
Dopo il deludente faccia a faccia con il presidente americano Obama, il premier israeliano
Netanyahu ha incontrato questa notte l’emissario dell'Amministrazione Usa per il Medio
Oriente, George Mitchell, per tentare di sbloccare il processo di pace. Tentativo
che è andato fallito, e che rischia – a questo punto – di complicare i già complessi
rapporti con gli Stati Uniti. Sul viaggio statunitense di Netanyahu e sulla posizione
assunta dall’Amministrazione americana, ascoltiamo il parere di Marcella Emiliani,
docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente all’Università di Bologna. L’intervista
è di Salvatore Sabatino:
R. – Quello
che sta facendo il governo israeliano è puntare sul momento delicato dell’amministrazione
Obama, sul fatto che questo è l’anno delle elezioni di medio-termine. Quindi, il voto
della comunità ebraica americana è importante per Obama per portare avanti questo
programma di insediamenti e per ribadire, ancora una volta, che per quello che riguarda
Gerusalemme questo governo non è disposto a trattare a nessun livello.
D.
– Israele in questo momento si trova sempre più isolato a livello internazionale… R.
– Sì, credo che un isolamento di questa gravità sia quasi inedito, perché tutti i
rappresentanti del "Quartetto" hanno insistito ormai sul congelamento degli insediamenti
ebraici nei territori come non avveniva da decenni. Se il governo israeliano ritiene,
invece, di dover perseguire ancora la linea dura, significa che il calcolo politico
è già stato fatto e si ritiene che la comunità internazionale non arriverà mai ad
applicare a Israele sanzioni di alcun genere. D. – In questi
giorni abbiamo assistito a tensioni con gli Stati Uniti, tensioni che adesso riguardano
anche l’Unione Europea. Si apre, però, anche un altro fronte, cioè quello della Siria:
il presidente Bashar al-Assad ha detto che il suo Paese resta impegnato nella ricerca
della pace con Israele ma ha aggiunto di non avere fiducia nell’attuale governo dello
Stato ebraico… R. – Assad è stato “convinto” ad intervenire
sostanzialmente per due motivi: da una parte perché Israele, negli ultimi tempi, ha
compiuto diversi raid aerei contro Gaza. In genere quando partono azioni da Gaza cui
Israele risponde, si collegano poi operazioni di Hezbollah a partire dal Libano. Infatti,
Assad ha sottolineato, in maniera molto chiara, che Israele non deve compiere atti
contro Hezbollah in Libano. E’ una maniera – e questo è il secondo motivo – molto
chiara per qualificare la Siria a livello internazionale come una potenza determinante
nell’area ed anche come una potenza di pace. Per far dimenticare, insomma, che la
Siria è l’alleato numero uno dell’Iran e degli ayatollah. D.
– A questo punto quali saranno le prossime mosse di Netanyahu, anche sul fronte interno? R.
– Questo viaggio per lui è un successo, perché dimostra all’opinione pubblica israeliana
che nessuno ha strumenti di pressione nei confronti di Israele. Questo ovviamente
rassicura tutta la popolazione dei coloni, rassicura la destra ortodossa e ultra-ortodossa,
per cui la posizione di Netanyahu da tutto questo non può che venirne rafforzata.