Conferenza oggi al Cairo per la ricostruzione del Darfur
Dopo i recenti accordi di pace tra governo del Sudan e ribelli del Darfur per la regione
occidentale del Paese africano, sconvolta da una guerra civile che, secondo l'Onu,
ha causato almeno 300 mila morti in 6 anni, si parla ora anche di sviluppo. Oggi al
Cairo, in Egitto, si tiene la Conferenza sulla ricostruzione del Darfur, sulla base
di quanto deciso il mese scorso dalla diplomazia egiziana e dai vertici della Conferenza
Islamica. Sulla situazione socio-politica del Darfur, Giancarlo La Vella ha
intervistato Anna Bono, docente di Storia delle Istituzioni dell’Africa all’Università
di Torino:
R. – Indubbiamente,
la firma di un accordo di pace tra il governo e uno dei principali movimenti antigovernativi,
il Jem (Justice and Equality Movement) apre delle buone prospettive per l’immediato
futuro. In particolare, c’è da valutare positivamente questa decisione, alla luce
del fatto che sono imminenti delle scadenze importanti per il governo del Sudan e
mi riferisco prima di tutto alle elezioni generali, che si svolgeranno il prossimo
mese. Il dato positivo è che sicuramente in questo momento il governo del Sudan ha
bisogno di una certa stabilità. Ed ecco quindi l’importanza e l’insistenza con cui
ha lavorato alla stipulazione di questo accordo di pace. D.
– A che livelli è possibile parlare di ricostruzione, dopo tanti anni di guerra? R.
– Bisogna pensare che quand’anche la guerra fosse davvero finita, restano diversi
gruppi minori che continueranno a combattere, continueranno a creare situazioni di
tensione, prima di deporre le armi. E poi c’è da considerare che in questi anni un
terzo della popolazione del Darfur è stata costretta o a fuggire oltre i confini del
Paese o, comunque, a lasciare le proprie proprietà. Quindi, il problema da affrontare
è un problema molto serio, molto difficile, come d’altra parte lo è stato, e continua
ad essere, quello del Sud Sudan, dove 20 anni di guerra hanno creato una situazione
altrettanto drammatica, altrettanto critica. La ricostruzione di un’area dopo un conflitto
del genere è una questione tutt’altro che semplice. D. – E’
possibile parlare anche di ricomposizione delle varie anime del Sudan? R.
– Questo è un altro problema, tutt’altro che facile da risolvere e a questo proposito
va detto che qualunque iniziativa sarà rimandata almeno di un anno, perché l’anno
prossimo si svolgerà un referendum popolare, in base al quale la popolazione del Sud
Sudan dovrà decidere se rimanere parte del Sudan o invece staccarsi dal Paese e diventare
una realtà politica autonoma. Ed è con molta preoccupazione che si guarda a questa
successiva scadenza, perché bisogna ricordare che nel Sud Sudan si trovano i maggiori
giacimenti di petrolio, che fanno la ricchezza di questo Paese. Non è pensabile che
Karthoum accetti facilmente la decisione di una secessione, perché si priverebbe in
questo modo della sua risorsa essenziale.