2010-03-21 15:50:00

Anno sacerdotale: l'esperienza di don Amati, ideatore della casa d'accoglienza Betania


“Accogliere significa abbattere le barriere dei pregiudizi e saper ascoltare”: è quanto afferma don Giordano Amati, parroco della Cattedrale di Cesena. Chiamato alla vita sacerdotale trentadue anni fa, don Giordano ha ideato, nel Comune di Martorano, una casa di accoglienza destinata alle donne straniere che arrivano in Italia, in cerca di una vita migliore. La struttura, denominata “Betania”, è gestita in collaborazione con la Caritas locale. Al microfono di Isabella Piro, ascoltiamo don Giordano raccontare come è nato questo progetto:RealAudioMP3

R. - Questo progetto è nato da due fatti molto concreti: da una parte, la carenza di alloggi e specialmente di alloggi per stranieri, perché non ci sono e i prezzi sono esorbitanti e quindi per loro proibitivi; e, dall’altra, avevamo una parte della canonica disabitata, con varie stanze, e allora anche aiutato da un gruppo Caritas parrocchiale molto sensibile ed attento, è nato questo progetto di dare una prima sistemazione alle straniere in cerca ancora di un lavoro, favorendo così il loro inserimento. Abbiamo avuto poi casi anche felici di ricongiungimenti familiari. Questo progetto, quindi, fa del bene non soltanto a loro, perché è un aiuto per queste donne, ma dopo un primo momento di diffidenza iniziale da parte della gente, ho visto poi un atteggiamento aperto ed anche di collaborazione.
 
D. – Quale vissuto hanno alle spalle queste donne che chiedono accoglienza?
 
R. – Ogni donna, ogni caso aveva una sua storia e, in genere, si trattava di storie di disagi. Non si trattava soltanto della ricerca del lavoro, ma alle volte c’erano proprio problemi nella famiglia di origine, perché alcune di queste donne lasciavano bambini, figli piccoli ai nonni o ad un’altra sorella, tanto più che magari c’erano rapporti con il marito che non andavano. C’erano dei problemi, quindi, non soltanto economici, ma anche esistenziali ed umani alle spalle.
 
D. – Secondo lei su quali principi si basa la vera accoglienza?
 
R. – Anzitutto bisogna rimuovere in noi gli ostacoli, perché il pregiudizio molte volte blocca o impedisce di essere accoglienti. E anzitutto è necessario abbattere in noi certe barriere relative alla mentalità od anche relative a comportamenti. L’accoglienza poi è disponibilità e quindi disponibilità a perdere un po’ di tempo: quando si dà una monetina od un’offerta e poi si va via è un’accoglienza certamente facile, è un’accoglienza un po’ sbrigativa. Invece, fermarsi a parlare è forse la cosa più difficile, ma è quella più necessaria, più utile. Quindi non è tanto dare un’offerta e poi liberarsene, ma ascoltare questa gente, i loro problemi, dimostrando loro una reale accoglienza.
 
D. – Lei ha insegnato per 20 anni presso un Istituto Tecnico e oggi è direttore dell’Ufficio diocesano per l’insegnamento della religione. Il ruolo di insegnante in cosa la ha aiutata nella missione sacerdotale?
 
R. – Mi ha insegnato, ad esempio, ad instaurare un rapporto con i giovani, a capirli. Direi che la figura del prete è importante nella scuola. Purtroppo ormai - e non solo qui a Cesena, ma anche in tante altre diocesi – questa figura sta scomparendo nelle scuole, perché i preti sono pochi, sono impegnati nell’attività pastorale diocesana e parrocchiale. La loro presenza, però, è una presenza preziosa. I presidi, ma anche gli alunni e specialmente i giovani, vedono positivamente la figura del sacerdote.
 
D. – Don Giordano, come è nata la sua vocazione?
 
R. – La famiglia è stato il primo luogo, il primo ambito della mia scoperta della vocazione, così come la parrocchia perché servivo la Messa fin da piccolo, ero chierichetto ed ero fedele alla Messa. È stato poi il Seminario che chiaramente ha approfondito de ha verificato il mio cammino vocazionale.
 
D. – Lei è contento della sua scelta sacerdotale? Se tornasse indietro la rifarebbe?
 
R. – Certo! Sono contento. Sono prete da 32 anni, ormai. Anche quando magari ho fatto degli errori, anche quando il ministero ha avuto momenti di stanca, nonostante tutto, la mia donazione al Signore e alla Chiesa non l’ho mai messa in dubbio.







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