Riflessione sulla Quaresima del vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi: i cristiani
rinneghino il male e aiutino la gente a volare alto
Stare in guardia dalle “tossine dell’ipocrisia” che potrebbero corrompere la purezza
delle pratiche dell’elemosina, della preghiera e del digiuno. E’ il monito che mons.
Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, ha scritto nel messaggio quaresimale rivolto
ai fedeli della sua diocesi. Fabio Colagrande ha domandato al presule il significato
di questa sua esortazione:
R.
– Gesù dice testualmente secondo il Vangelo di San Matteo, che segna l’inizio della
Quaresima: “State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini
per essere ammirati da loro”. State attenti a non praticare la vostra giustizia, a
cercare di essere giusti davanti agli uomini, perché la giustizia è la giustizia davanti
a Dio. Voler essere giusti davanti agli uomini: è questo che spiega l’ipocrisia. L’ipocrisia
è il ridurre la religione, la pratica della giustizia, ad un palcoscenico; è ammalarsi
di protagonismo e dunque non mettersi in contatto con Dio ma rimanere intrappolati
nel circolo vizioso del proprio io.
D. – Lei ha usato
una metafora originale proprio rivolgendosi ai fedeli della diocesi di Rimini: “Dobbiamo
accendere nel nostro cuore due falò in questo tempo forte di Quaresima: il falò dei
pensieri cattivi e il falò delle cattive parole”. A cosa alludeva con questa immagine
del falò?
R. – L’immagine del falò richiama una pia
pratica degli antichi quaresimali: durante la Quaresima si svolgevano le missioni
popolari e uno dei momenti più coinvolgenti era quando i missionari chiedevano alla
gente di portare via da casa le riviste scandalose o i libri contro la fede cattolica.
Si faceva un mucchio di questa cartaccia che si accendeva nella piazzetta davanti
alla Chiesa. Il grande falò voleva esprimere la ferma volontà di distruggere quelle
pubblicazioni contro la fede e contro la morale. Nello stesso tempo aveva il fermo
proposito di non procurarsene più. Questa è l’immagine. Il primo falò che ci tocca
fare è quello dei pensieri cattivi e l’altro è quello delle cattive parole.
D.
– Innanzitutto, quindi, abituarsi a non giudicare i nostri fratelli…
R.
– Voler giudicare i movimenti del cuore altrui è come “sparare nel mucchio”, senza
sapere dove si andrà a colpire. Noi non possiamo scendere nei sotterranei della coscienza
altrui. Lì ci può arrivare solo il raggio onnisciente che scruta tutto e tutto conosce,
il raggio misericordioso della sapienza e della misericordia di Dio.
D.
– Lei ricorda che per fare la comunione pasquale, quindi per fare comunione tra di
noi, dobbiamo impegnarci, volerci sinceramente bene gli uni con gli altri, e ricorda
che ciò va fatto a livello ecclesiale – e spesso non è così facile e scontato – ma
anche ad un altro livello molto più soggetto alla conflittualità: quello tra i cattolici
impegnati nei vari schieramenti politici. Perché ha voluto fare questa sottolineatura?
R.
– Perché non possiamo far finta di niente. Mi sembra che in questo momento, tra i
più non esaltanti della nostra storia, bisogna che i cattolici aiutino un po’ tutto
il Paese a volare più alto. Ce lo ricorda il Papa, ce lo ricordano i vescovi e allora
i cattolici devono cominciare a rinunciare a questo “sport dell’insulto”, che trasforma
tutta l’arena politica in un ring, e ad mostrare reciprocamente non solo civiltà e
buona educazione, ma anche vera carità.
D. – Anche a
livello parrocchiale, tra diverse aggregazioni ecclesiali, tra vicini di casa, è però
necessario ritrovare questa comunione in vista della Pasqua…
R.
– San Paolo, quando ci incoraggia ad una carità non ipocrita, aggiunge subito: “Amatevi
gli uni gli altri con affetto fraterno e gareggiate nello stimarvi a vicenda”. Questa
è l’unica competizione lecita e doverosa tra di noi, l’unica gara che ci può essere
nella comunità cristiana: fare a gara nello stimarsi a vicenda. (Montaggio
a cura di Maria Brigini)