"Chiesa rigorosa sulla pedofilia". Intervista di Avvenire a mons. Charles Scicluna,
della Congregazione per la Dottrina della Fede
Come citato da padre Lombardi nella sua nota, mons. Charles J. Scicluna, il
religioso che riveste la carica di promotore di giustizia presso la Congregazione
per la Dottrina per la Fede, ha descritto in un’intervista al quotidiano Avvenire
per molti versi straordinaria – considerata la tradizionale riservatezza del dicastero
e la delicatezza del fenomeno trattato – le modalità che la Chiesa segue nel valutare
e perseguire i sacerdoti che si macchiano del crimine della pedofilia. Di seguito,
il testo integrale dell’intervista realizzata da Gianni Cardinale. Alessandro
De Carolis ne sintetizza i punti salienti:
Monsignor
Charles J. Scicluna è il "promotore di giustizia" della Congregazione per la Dottrina
della Fede. In pratica si tratta del pubblico ministero del tribunale dell'ex sant'Uffizio,
che ha il compito di indagare sui cosiddetti delicta graviora, i delitti che la Chiesa
cattolica considera i più gravi in assoluto: e cioè quelli contro l'Eucaristia, quelli
contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento
("non commettere atti impuri") di un chierico con un minore di diciotto anni. Delitti
che un motu proprio del 2001, Sacramentorum sanctitatis tutela, ha riservato, come
competenza, alla Congregazione per la dottrina della fede. Di fatto è il "promotore
di giustizia" ad avere a che fare, tra l'altro, con la terribile questione dei sacerdoti
accusati di pedofilia periodicamente alla ribalta sui mass media. E monsignor Scicluna,
un maltese affabile e gentile nei modi, ha la fama di adempiere il compito affidatogli
con il massimo scrupolo, senza guardare in faccia a nessuno.
D.
- Monsignore, lei ha la fama di essere un "duro", eppure la Chiesa cattolica viene
sistematicamente accusata di essere accomodante nei confronti dei cosiddetti "preti
pedofili".
R. - Può essere che in passato, forse anche
per un malinteso senso di difesa del buon nome dell'istituzione, alcuni Vescovi, nella
prassi, siano stati troppo indulgenti verso questi tristissimi fenomeni. Nella prassi
dico, perché sul piano dei principi la condanna per questa tipologia di delitti è
stata sempre ferma e inequivocabile. Per rimanere al secolo scorso basta ricordare
l'ormai celebre istruzione Crimen Sollicitationis del 1922…
D.
- Ma non era del 1962?
R. - No, la prima edizione risale
al pontificato di Pio XI. Poi con il beato Giovanni XXIII il Sant'Uffizio ne curò
una nuova edizione per i padri Conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie
e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque
di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione in confessione e di altri
delitti più gravi a sfondo sessuale come l’abuso sessuale di minori …
D.
- Norme che raccomandavano però il segreto…
R. - Una
cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse
il segreto per occultare i fatti. Ma non era così. Il segreto istruttorio serviva
per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse
vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto - come chiunque - alla presunzione
di innocenza fino a prova contraria. Alla Chiesa non piace la giustizia spettacolo.
La normativa sugli abusi sessuali non è stata mai intesa come divieto di denuncia
alle autorità civili.
D. - Quel documento però viene
periodicamente rievocato per accusare l'attuale pontefice di essere stato - in qualità
di prefetto dell'ex Sant'Uffizio - il responsabile oggettivo di una politica di occultamento
dei fatti da parte della Santa Sede…
R. - Si tratta
di un'accusa falsa e calunniosa. A questo proposito mi permetto di segnalare alcuni
fatti. Tra il 1975 e il 1985 mi risulta che nessuna segnalazione di casi di pedofilia
da parte di chierici sia arrivata all'attenzione della nostra Congregazione. Comunque
dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico del 1983 c'è stato un periodo
di incertezza sull'elenco dei delicta graviora riservati alla competenza di questo
dicastero. Solo col motu proprio del 2001 il delitto di pedofilia è ritornato alla
nostra competenza esclusiva. E da quel momento il cardinale Ratzinger ha mostrato
saggezza e fermezza nel gestire questi casi. Di più. Ha mostrato anche grande coraggio
nell'affrontare alcuni casi molto difficili e spinosi, sine acceptione personarum.
Quindi accusare l'attuale pontefice di occultamento è, ripeto, falso e calunnioso.
D.
- Nel caso che un sacerdote sia accusato di un delictum gravius, cosa succede?
R.
- Se l'accusa è verosimile il vescovo ha l'obbligo di investigare sia l'attendibilità
della denuncia che l'oggetto stesso della medesima. E se l'esito di questa indagine
previa è attendibile non ha più potere di disporre della materia e deve riferire il
caso alla nostra Congregazione, dove viene trattato dall'ufficio disciplinare.
D.
- Da chi è composto questo ufficio?
R. - Oltre al sottoscritto,
che essendo uno dei superiori del dicastero, si occupa anche di altre questioni, c'è
un capo ufficio, padre Pedro Miguel Funes Diaz, sette ecclesiastici ed un penalista
laico che seguono queste pratiche. Altri officiali della Congregazione prestano il
loro prezioso contributo secondo le esigenze di lingua e di competenza.
D.
- Questo ufficio è stato accusato di lavorare poco e con lentezza…
R.
- Si tratta di rilievi ingiusti. Nel 2003 e 2004 c'è stata una valanga di casi che
ha investito le nostre scrivanie. Molti dei quali venivano dagli Stati Uniti e riguardavano
il passato. Negli ultimi anni, grazie a Dio, il fenomeno si è di gran lunga ridotto.
E quindi adesso cerchiamo di trattare i casi nuovi in tempo reale.
D.
- Quanti ne avete trattato finora?
R. - Complessivamente
in questi ultimi nove anni (2001-2010) abbiamo valutato le accuse riguardanti circa
3000 casi di sacerdoti diocesani e religiosi che si riferiscono a delitti commessi
negli ultimi cinquanta anni.
D. - Quindi di tremila
casi di preti pedofili?
R. - Non è corretto dire così.
Possiamo dire che grosso modo nel 60% di questi casi si tratta più che altro di atti
di efebofilia, cioè dovuti ad attrazione sessuale per adolescenti dello stesso sesso,
in un altro 30% di rapporti eterosessuali e nel 10% di atti di vera e propria pedofilia,
cioè determinati da una attrazione sessuale per bambini impuberi. I casi di preti
accusati di pedofilia vera e propria sono quindi circa trecento in nove anni. Si tratta
sempre di troppi casi - per carità! - ma bisogna riconoscere che il fenomeno non è
così esteso come si vorrebbe far credere.
D. - Tremila
quindi gli accusati. Quanti i processati e condannati?
R.
- Intanto si può dire che un processo vero e proprio, penale o amministrativo, si
è svolto nel 20% dei casi e normalmente è stato celebrato nelle diocesi di provenienza
- sempre sotto la nostra supervisione - e solo rarissimamente qui a Roma. Facciamo
così anche per una maggiore speditezza dell'iter. Nel 60% dei casi poi, soprattutto
a motivo dell'età avanzata degli accusati, non c'è stato processo, ma, nei loro confronti,
sono stati emanati dei provvedimenti amministrativi e disciplinari, come l'obbligo
a non celebrare messa coi fedeli, a non confessare, a condurre una vita ritirata e
di preghiera. E' bene ribadire che in questi casi, tra i quali ce ne sono alcuni particolarmente
eclatanti di cui si sono occupati i media, non si tratta di assoluzioni. Certo non
c'è stata una condanna formale, ma se si è obbligati al silenzio e alla preghiera
qualche motivo ci sarà…
D. - All'appello manca ancora
il 20% dei casi…
R. - Diciamo che in un 10% di casi,
quelli particolarmente gravi e con prove schiaccianti, il Santo Padre si è assunto
la dolorosa responsabilità di autorizzare un decreto di dimissione dallo stato clericale.
Un provvedimento gravissimo, preso per via amministrativa, ma inevitabile. Nell’altro
10% dei casi poi, sono stati gli stessi chierici accusati a chiedere la dispensa dagli
obblighi derivati dal sacerdozio. Che è stata prontamente accettata. Coinvolti in
questi ultimi casi ci sono stati sacerdoti trovati in possesso di materiale pedopornografico
e che per questo sono stati condannati dall'autorità civile.
D.
- Da dove vengono questi tremila casi?
R. - Soprattutto dagli Stati
Uniti che per gli anni 2003-2004 rappresentavano circa l'80% del totale di casi. Per
il 2009 lo “share” statunitense è sceso a circa il 25% dei 223 nuovi casi segnalati
da tutto il mondo. Negli ultimi anni (2007-2009), infatti, la media annuale dei casi
segnalati alla Congregazione dal mondo è stata proprio di 250 casi. Molti paesi segnalano
solo uno o due casi. Cresce quindi la diversità ed il numero dei paesi di provenienza
dei casi ma il fenomeno è assai ridotto. Bisogna ricordare infatti che il numero complessivo
di sacerdoti diocesani e religiosi nel mondo è di 400mila. Questo dato statistico
non corrisponde alla percezione che si crea quando questi casi così tristi occupano
le prime pagine dei giornali.
D. - E dall'Italia?
R.
- Finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi
preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa nella Penisola.
La Conferenza Episcopale Italiana (CEI) offre un ottimo servizio di consulenza tecnico-giuridica
per i vescovi che devono trattare questi casi. Noto con grande soddisfazione un impegno
sempre maggiore da parte dei vescovi italiani di fare chiarezza sui casi segnalati
loro.
D. - Lei diceva che i processi veri e propri
riguardano circa il 20% dei circa tremila casi che avete esaminato negli ultimi nove
anni. Sono finiti tutti con la condanna degli accusati?
R.
- Molti dei processi ormai celebrati sono finiti con una condanna dell’accusato.
Ma non sono mancati quelli dove il sacerdote è stato dichiarato innocente o dove le
accuse non sono state ritenute sufficientemente provate. In tutti i casi comunque
si fa non solo lo studio sulla colpevolezza o meno del chierico accusato, ma anche
il discernimento sull’idoneità dello stesso al ministero pubblico.
D.
- Un’accusa ricorrente fatta alle gerarchie ecclesiastiche è quella di non denunciare
anche alle autorità civili i reati di pedofilia di cui vengono a conoscenza.
R.
- In alcuni paesi di cultura giuridica anglosassone, ma anche in Francia, i vescovi,
se vengono a conoscenza di reati commessi dai propri sacerdoti al di fuori del sigillo
sacramentale della confessione, sono obbligati a denunciarli all'autorità giudiziaria.
Si tratta di un dovere gravoso perché questi vescovi sono costretti a compiere un
gesto paragonabile a quello compiuto da un genitore che denuncia un proprio figlio.
Ciononostante, la nostra indicazione in questi casi è di rispettare la legge.
D.
- E nei casi in cui i vescovi non hanno questo obbligo per legge?
R.
- In questi casi noi non imponiamo ai vescovi di denunciare i propri sacerdoti, ma
li incoraggiamo a rivolgersi alle vittime per invitarle a denunciare quei sacerdoti
di cui sono state vittime. Inoltre li invitiamo a dare tutta l'assistenza spirituale,
ma non solo spirituale, a queste vittime. In un recente caso riguardante un sacerdote
condannato da un tribunale civile italiano, è stata proprio questa Congregazione a
suggerire ai denunciatori, che si erano rivolti a noi per un processo canonico, di
adire anche alle autorità civili nell’interesse delle vittime e per evitare altri
reati.
D. - Un'ultima domanda: è prevista la prescrizione
per i delicta graviora?
R. - Lei tocca un punto - a
mio avviso - dolente. In passato, cioè prima del 1889, quello della prescrizione dell’azione
penale era un istituto estraneo al diritto canonico. E per i delitti più gravi solo
con il motu proprio del 2001 è stata introdotta una prescrizione di dieci anni. In
base a queste norme nei casi di abuso sessuale il decennio incomincia a decorrere
dal giorno in cui il minore compie i diciotto anni.
D.
- E' sufficiente?
R. - La prassi indica che il termine
di dieci anni non è adeguato a questo tipo di casi e sarebbe auspicabile un ritorno
al sistema precedente dell'imprescrittibilità dei delicta graviora. Il 7 novembre
2002, comunque, il Servo di Dio Venerabile Giovanni Paolo II ha concesso a questo
dicastero la facoltà di derogare dalla prescrizione caso per caso su motivata domanda
dei singoli vescovi. E la deroga viene normalmente concessa.