Convegno a Roma per i dieci anni della Dominus Iesus
Si svolge oggi e domani a Roma un Convegno in occasione dei dieci anni della Dichiarazione
Dominus Iesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa.
Il documento, firmato dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della
Fede, cardinale Josef Ratzinger, fu ratificato da Giovanni Paolo II il 16 giugno del
2000. L’evento è promosso dalla Facoltà di Teologia dell’Ateneo Pontificio Regina
Apostolorum. Il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congregazione
per il Culto Divino e la Dottrina dei Sacramenti, ha tenuto stamani la relazione introduttiva.
Ma ripercorriamo, in sintesi, i punti principali della Dichiarazione in questo servizio
di Sergio Centofanti. La
Dichiarazione Dominus Iesus, spesso male interpretata, non intende “trattare in modo
organico la problematica relativa all'unicità e universalità salvifica del mistero
di Gesù Cristo e della Chiesa” ma “riesporre la dottrina della fede cattolica al riguardo,
indicando nello stesso tempo alcuni problemi fondamentali che rimangono aperti a ulteriori
approfondimenti” e “confutare determinate posizioni erronee o ambigue”. Il documento
inizia con queste parole: “Il Signore Gesù, prima di ascendere al cielo, affidò ai
suoi discepoli il mandato di annunciare il Vangelo al mondo intero e di battezzare
tutte le nazioni: ‘Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato’ (Mc
16,15-16)”.
“La missione universale della Chiesa”
– dunque – “nasce dal mandato di Gesù Cristo”, ma oggi – rileva la Dichiarazione -
“è ancora lontana dal suo compimento”. Per questo la Chiesa fa proprio il grido di
San Paolo: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è una necessità che
mi si impone: guai a me se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16).
“L'impegno
ecclesiale di annunciare Gesù Cristo, «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), si
avvale oggi anche della pratica del dialogo interreligioso, che certo non sostituisce,
ma accompagna la missio ad gentes”. Tuttavia “il perenne annuncio missionario della
Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono
giustificare il pluralismo religioso” non solo di fatto ma anche di principio. Per
questo la Dichiarazione ribadisce alcuni punti: “anzitutto il carattere definitivo
e completo della rivelazione di Gesù Cristo”, “Figlio di Dio e unico salvatore”; quindi,
l’inseparabilità di Cristo e la Chiesa, e ancora il fatto che “l’unica Chiesa di Cristo
… sussiste (subsistit in) nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro
e dai Vescovi in comunione con lui”.
“Le Chiese
che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite
ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida
Eucaristia, sono vere Chiese particolari. Perciò anche in queste Chiese è presente
e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa cattolica,
in quanto non accettano la dottrina cattolica del Primato che, secondo il volere di
Dio, il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa. Invece le
comunità ecclesiali che non hanno conservato l'Episcopato valido e la genuina e integra
sostanza del mistero eucaristico, non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati
in queste comunità sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una
certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa”.
“Deve
essere fermamente creduto – ribadisce la Dichiarazione - che la Chiesa pellegrinante
è necessaria alla salvezza” ma “questa dottrina non va contrapposta alla volontà salvifica
universale di Dio”. E’ perciò “necessario tener congiunte queste due verità, cioè
la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità
della Chiesa in ordine a tale salvezza”. “Per coloro i quali non sono formalmente
e visibilmente membri della Chiesa, la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di
una grazia” – donata da Dio «attraverso vie a lui note» - “che, pur avendo una misteriosa
relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo
adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo,
è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo”. Ma è contraria alla
fede cattolica “quella mentalità indifferentista improntata a un relativismo religioso
che porta a ritenere che una religione vale l'altra”. Certo, la Chiesa “nulla rigetta
di quanto è vero e santo” nelle altre religioni, che “non raramente riflettono un
raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”. E “inoltre, l'azione salvifica
di Gesù Cristo, con e per il suo Spirito, si estende, oltre i confini visibili della
Chiesa, a tutta l'umanità”. Cristo infatti è morto per tutti e la grazia lavora in
chiunque operi “per la liberazione dal male in tutte le sue forme”. Ma “se è vero
che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo
che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata
a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici. Tuttavia
occorre ricordare a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione
non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono
col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno
più severamente giudicati”.
L’annuncio del Vangelo
a tutte le genti – conclude la Dominus Iesus – anche nel contesto del dialogo interreligioso
“conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità” in quanto Dio “vuole
che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm
2,4). “Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere
missionaria”.