Il Papa all'udienza generale: la Chiesa non è un utopismo anarchico, è fatta di peccatori
ma è sempre luogo di grazia
Nella sua catechesi all’udienza generale il Papa ha parlato dunque di San Bonaventura
e della sua risposta alle teorie di Gioacchino da Fiore che sostenevano l’inizio di
una nuova fase della storia con l’avvento di una Chiesa dello Spirito a succedere
alla Chiesa gerarchica. “E mentre si ripete questa idea del declino – ha detto il
Papa - c’è anche l’altra, questo utopismo spiritualistico che si ripete. Sappiamo
come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto è nuovo, che c’è
un’altra Chiesa, che la Chiesa preconciliare è finita e ne avremo un’altra, totalmente
altra, un utopismo anarchico, e grazie a Dio i timonieri saggi della barca di Pietro
- Papa Paolo VI, Papa Giovanni Paolo II - hanno da una parte difeso la novità del
Concilio e, nello stesso tempo, l’unicità e la continuità della Chiesa, che è sempre
Chiesa di peccatori e sempre luogo di grazia”. Di seguito il testo integrale della
catechesi: Cari fratelli e sorelle, la
scorsa settimana ho parlato della vita e della personalità di san Bonaventura da Bagnoregio.
Questa mattina vorrei proseguirne la presentazione, soffermandomi su una parte della
sua opera letteraria e della sua dottrina. Come
già dicevo, san Bonaventura, tra i vari meriti, ha avuto quello di interpretare autenticamente
e fedelmente la figura di san Francesco d’Assisi, da lui venerato e studiato con grande
amore. In particolar modo, ai tempi di san Bonaventura una corrente di Frati minori,
detti “spirituali”, sosteneva che con san Francesco era stata inaugurata una fase
totalmente nuova della storia, sarebbe apparso il “Vangelo eterno”, del quale parla
l’Apocalisse, che sostituiva il Nuovo Testamento. Questo gruppo affermava che la Chiesa
aveva ormai esaurito il proprio ruolo storico, e al suo posto subentrava una comunità
carismatica di uomini liberi guidati interiormente dallo Spirito, cioè i “Francescani
spirituali”. Alla base delle idee di tale gruppo vi erano gli scritti di un abate
cistercense, Gioacchino da Fiore, morto nel 1202. Nelle sue opere, egli affermava
un ritmo trinitario della storia. Considerava l’Antico Testamento come età del Padre,
seguita dal tempo del Figlio, il tempo della Chiesa. Vi sarebbe stata ancora da aspettare
la terza età, quella dello Spirito Santo. Tutta la storia andava così interpretata
come una storia di progresso: dalla severità dell’Antico Testamento alla relativa
libertà del tempo del Figlio, nella Chiesa, fino alla piena libertà dei Figli di Dio,
nel periodo dello Spirito Santo, che sarebbe stato anche, finalmente, il periodo della
pace tra gli uomini, della riconciliazione dei popoli e delle religioni. Gioacchino
da Fiore aveva suscitato la speranza che l’inizio del nuovo tempo sarebbe venuto da
un nuovo monachesimo. Così è comprensibile che un gruppo di Francescani pensasse di
riconoscere in san Francesco d’Assisi l’iniziatore del tempo nuovo e nel suo Ordine
la comunità del periodo nuovo – la comunità del tempo dello Spirito Santo, che lasciava
dietro di sé la Chiesa gerarchica, per iniziare la nuova Chiesa dello Spirito, non
più legata alle vecchie strutture. Vi era dunque
il rischio di un gravissimo fraintendimento del messaggio di san Francesco, della
sua umile fedeltà al Vangelo e alla Chiesa, e tale equivoco comportava una visione
erronea del Cristianesimo nel suo insieme. San
Bonaventura, che nel 1257 divenne Ministro Generale dell’Ordine Francescano, si trovò
di fronte ad una grave tensione all’interno del suo stesso Ordine a causa appunto
di chi sosteneva la menzionata corrente dei “Francescani spirituali”, che si rifaceva
a Gioacchino da Fiore. Proprio per rispondere a questo gruppo e ridare unità all’Ordine,
san Bonaventura studiò con cura gli scritti autentici di Gioacchino da Fiore e quelli
a lui attribuiti e, tenendo conto della necessità di presentare correttamente la figura
e il messaggio del suo amato san Francesco, volle esporre una giusta visione della
teologia della storia. San Bonaventura affrontò il problema proprio nell’ultima sua
opera, una raccolta di conferenze ai monaci dello studio parigino, rimasta incompiuta
e giuntaci attraverso le trascrizioni degli uditori, intitolata Hexaëmeron, cioè una
spiegazione allegorica dei sei giorni della creazione. I Padri della Chiesa consideravano
i sei o sette giorni del racconto sulla creazione come profezia della storia del mondo,
dell’umanità. I setti giorni rappresentavano per loro sette periodi della storia,
più tardi interpretati anche come sette millenni. Con Cristo saremmo entrati nell’ultimo,
cioè il sesto periodo della storia, al quale seguirebbe poi il grande sabato di Dio.
San Bonaventura suppone questa interpretazione storica del rapporto dei giorni della
creazione, ma in un modo molto libero ed innovativo. Per lui due fenomeni del suo
tempo rendono necessaria una nuova interpretazione del corso della storia: Il
primo: la figura di san Francesco, l’uomo totalmente unito a Cristo fino alla comunione
delle stimmate, quasi un alter Christus, e con san Francesco la nuova comunità da
lui creata, diversa dal monachesimo finora conosciuto. Questo fenomeno esigeva una
nuova interpretazione, come novità di Dio apparsa in quel momento. Il
secondo: la posizione di Gioacchino da Fiore, che annunziava un nuovo monachesimo
ed un periodo totalmente nuovo della storia, andando oltre la rivelazione del Nuovo
Testamento, esigeva una risposta. Da Ministro
Generale dell’Ordine dei Francescani, san Bonaventura aveva visto subito che con la
concezione spiritualistica, ispirata da Gioacchino da Fiore, l’Ordine non era governabile,
ma andava logicamente verso l’anarchia. Due erano per lui le conseguenze: La
prima: la necessità pratica di strutture e di inserimento nella realtà della Chiesa
gerarchica, della Chiesa reale, aveva bisogno di un fondamento teologico, anche perché
gli altri, quelli che seguivano la concezione spiritualista, mostravano un apparente
fondamento teologico. La seconda: pur tenendo
conto del realismo necessario, non bisognava perdere la novità della figura di san
Francesco. Come ha risposto san Bonaventura all’esigenza
pratica e teorica? Della sua risposta posso dare qui solo un riassunto molto schematico
ed incompleto in alcuni punti: 1. San Bonaventura
respinge l’idea del ritmo trinitario della storia. Dio è uno per tutta la storia e
non si divide in tre divinità. Di conseguenza, la storia è una, anche se è un cammino
e – secondo san Bonaventura – un cammino di progresso. 2. Gesù Cristo
è l’ultima parola di Dio – in Lui Dio ha detto tutto, donando e dicendo se stesso.
Più che se stesso, Dio non può dire, né dare. Lo Spirito Santo è Spirito del Padre
e del Figlio. Cristo stesso dice dello Spirito Santo: “…vi ricorderà tutto ciò che
io vi ho detto” (Gv 14, 26), “prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà” (Gv 16,
15). Quindi non c’è un altro Vangelo più alto, non c’è un'altra Chiesa da aspettare.
Perciò anche l’Ordine di san Francesco deve inserirsi in questa Chiesa, nella sua
fede, nel suo ordinamento gerarchico. 3. Questo non significa che
la Chiesa sia immobile, fissa nel passato e non possa esserci novità in essa. “Opera
Christi non deficiunt, sed proficiunt”, le opere di Cristo non vanno indietro, non
vengono meno, ma progrediscono, dice il Santo nella lettera De tribus quaestionibus.
Così san Bonaventura formula esplicitamente l’idea del progresso, e questa è una novità
in confronto ai Padri della Chiesa e a gran parte dei suoi contemporanei. Per san
Bonaventura Cristo non è più, come era per i Padri della Chiesa, la fine, ma il centro
della storia; con Cristo la storia non finisce, ma comincia un nuovo periodo. Un'altra
conseguenza è la seguente: fino a quel momento dominava l’idea che i Padri della Chiesa
fossero stati il vertice assoluto della teologia, tutte le generazioni seguenti potevano
solo essere loro discepole. Anche san Bonaventura riconosce i Padri come maestri per
sempre, ma il fenomeno di san Francesco gli dà la certezza che la ricchezza della
parola di Cristo è inesauribile e che anche nelle nuove generazioni possono apparire
nuove luci. L’unicità di Cristo garantisce anche novità e rinnovamento in tutti i
periodi della storia. Certo, l’Ordine Francescano
- così sottolinea - appartiene alla Chiesa di Gesù Cristo, alla Chiesa apostolica
e non può costruirsi in uno spiritualismo utopico. Ma, allo stesso tempo, è valida
la novità di tale Ordine nei confronti del monachesimo classico, e san Bonaventura
– come ho detto nella Catechesi precedente – ha difeso questa novità contro gli attacchi
del Clero secolare di Parigi: i Francescani non hanno un monastero fisso, possono
essere presenti dappertutto per annunziare il Vangelo. Proprio la rottura con la stabilità,
caratteristica del monachesimo, a favore di una nuova flessibilità, restituì alla
Chiesa il dinamismo missionario. A questo punto
forse è utile dire che anche oggi esistono visioni secondo le quali tutta la storia
della Chiesa nel secondo millennio sarebbe stata un declino permanente; alcuni vedono
il declino già subito dopo il Nuovo Testamento. In realtà, “Opera Christi non deficiunt,
sed proficiunt”, le opere di Cristo non vanno indietro, ma progrediscono. Che cosa
sarebbe la Chiesa senza la nuova spiritualità dei Cistercensi, dei Francescani e Domenicani,
della spiritualità di santa Teresa d’Avila e di san Giovanni della Croce, e così via?
Anche oggi vale questa affermazione: “Opera Christi non deficiunt, sed proficiunt”,
vanno avanti. San Bonaventura ci insegna l’insieme del necessario discernimento, anche
severo, del realismo sobrio e dell’apertura a nuovi carismi donati da Cristo, nello
Spirito Santo, alla sua Chiesa. E mentre si ripete questa idea del declino, c’è anche
l’altra idea, questo “utopismo spiritualistico”, che si ripete. Sappiamo, infatti,
come dopo il Concilio Vaticano II alcuni erano convinti che tutto fosse nuovo, che
ci fosse un’altra Chiesa, che la Chiesa pre-conciliare fosse finita e ne avremmo avuta
un’altra, totalmente “altra”. Un utopismo anarchico! E grazie a Dio i timonieri saggi
della barca di Pietro, Papa Paolo VI e Papa Giovanni Paolo II, da una parte hanno
difeso la novità del Concilio e dall’altra, nello stesso tempo, hanno difeso l’unicità
e la continuità della Chiesa, che è sempre Chiesa di peccatori e sempre luogo di Grazia. 4. In
questo senso, san Bonaventura, come Ministro Generale dei Francescani, prese una linea
di governo nella quale era ben chiaro che il nuovo Ordine non poteva, come comunità,
vivere alla stessa “altezza escatologica” di san Francesco, nel quale egli vede anticipato
il mondo futuro, ma – guidato, allo stesso tempo, da sano realismo e dal coraggio
spirituale – doveva avvicinarsi il più possibile alla realizzazione massima del Sermone
della montagna, che per san Francesco fu la regola,
pur tenendo conto dei limiti dell’uomo, segnato dal peccato originale. Vediamo
così che per san Bonaventura governare non era semplicemente un fare, ma era soprattutto
pensare e pregare. Alla base del suo governo troviamo sempre la preghiera e il pensiero;
tutte le sue decisioni risultano dalla riflessione, dal pensiero illuminato dalla
preghiera. Il suo contatto intimo con Cristo ha accompagnato sempre il suo lavoro
di Ministro Generale e perciò ha composto una serie di scritti teologico-mistici,
che esprimono l’animo del suo governo e manifestano l’intenzione di guidare interiormente
l’Ordine, di governare, cioè, non solo mediante comandi e strutture, ma guidando e
illuminando le anime, orientando a Cristo. Di
questi suoi scritti, che sono l’anima del suo governo e che mostrano la strada da
percorrere sia al singolo che alla comunità, vorrei menzionarne solo uno, il suo capolavoro,
l’Itinerarium mentis in Deum, che è un “manuale” di contemplazione mistica. Questo
libro fu concepito in un luogo di profonda spiritualità: il monte della Verna, dove
san Francesco aveva ricevuto le stigmate. Nell’introduzione l’autore illustra le circostanze
che diedero origine a questo suo scritto: “Mentre meditavo sulle possibilità dell’anima
di ascendere a Dio, mi si presentò, tra l’altro, quell’evento mirabile occorso in
quel luogo al beato Francesco, cioè la visione del Serafino alato in forma di Crocifisso.
E su ciò meditando, subito mi avvidi che tale visione mi offriva l’estasi contemplativa
del medesimo padre Francesco e insieme la via che ad esso conduce” (Itinerario della
mente in Dio, Prologo, 2, in Opere di San Bonaventura. Opuscoli Teologici /1, Roma
1993, p. 499). Le sei ali del Serafino diventano
così il simbolo di sei tappe che conducono progressivamente l’uomo dalla conoscenza
di Dio attraverso l’osservazione del mondo e delle creature e attraverso l’esplorazione
dell’anima stessa con le sue facoltà, fino all’unione appagante con la Trinità per
mezzo di Cristo, a imitazione di san Francesco d’Assisi. Le ultime parole dell’Itinerarium
di san Bonaventura, che rispondono alla domanda su come si possa raggiungere questa
comunione mistica con Dio, andrebbero fatte scendere nel profondo del cuore: “Se ora
brami sapere come ciò avvenga, (la comunione mistica con Dio) interroga la grazia,
non la dottrina; il desiderio, non l’intelletto; il gemito della preghiera, non lo
studio della lettera; lo sposo, non il maestro; Dio, non l’uomo; la caligine, non
la chiarezza; non la luce, ma il fuoco che tutto infiamma e trasporta in Dio con le
forti unzioni e gli ardentissimi affetti ... Entriamo dunque nella caligine, tacitiamo
gli affanni, le passioni e i fantasmi; passiamo con Cristo Crocifisso da questo mondo
al Padre, affinché, dopo averlo visto, diciamo con Filippo: ciò mi basta” (ibid.,
VII, 6). Cari amici, accogliamo l’invito rivoltoci
da san Bonaventura, il Dottore Serafico, e mettiamoci alla scuola del Maestro divino:
ascoltiamo la sua Parola di vita e di verità, che risuona nell’intimo della nostra
anima. Purifichiamo i nostri pensieri e le nostre azioni, affinché Egli possa abitare
in noi, e noi possiamo intendere la sua Voce divina, che ci attrae verso la vera felicità.