Visita “ad Limina” dei vescovi del Sudan. Mons. Mazzolari: una Chiesa povera al fianco
dei poveri
E’ il più grande Stato dell’Africa ed è abitato da oltre 37 milioni di persone, di
cui circa il 80% musulmani e il 17% cristiani. E’ il Sudan, Paese ancora dilaniato
da laceranti conflitti nonostante il riconoscimento, nel 2005, del governo autonomo
del Sudan meridionale e il cessate-il-fuoco siglato lo scorso 24 febbraio nella martoriata
regione occidentale del Darfur. In questa cruciale fase storica del Paese, alla vigilia
delle elezioni e ad un anno dal referendum per l’indipendenza delle regioni meridionali
abitate in maggioranza da cristiani, è cominciata la visita "ad Limina" dei vescovi
del Sudan. Ascoltiamo al microfono di Amedeo Lomonacomons. Cesare Mazzolari,
vescovo di Rumbek, diocesi nel Sud Sudan:
R. – Per
noi ha un valore immenso perché siamo alla vigilia delle elezioni, che avranno luogo
l’11 aprile, per scegliere i presidenti e i membri dei Parlamenti di Nord e Sud. Speriamo
che il Vaticano, con la sua voce, possa veramente fare un appello ai governanti del
Sudan per un cammino sereno verso le elezioni e per un vero consolidamento della pace
nel Sudan. D. – E’ un fronte, questo della pace, su cui la Chiesa
si è sempre impegnata. Quali passi sono stati compiuti e quali si devono ancora compiere? R.
– Nel 2005 sono stati firmati dei trattati di pace in cui si prevede una divisione
delle risorse, delle forze armate, della partecipazione al Parlamento e quindi del
potere. Queste cose, però, sono andate avanti molto lentamente. E’ una pace fragile,
una pace che non ha forse raggiunto il cuore della gente e quindi speriamo di poterla
consolidare. D. – Qual è l’auspicio per le regioni meridionali,
che sono a maggioranza cristiana? R. – La più grande povertà
della popolazione del Sud Sudan è, in particolare, la mancanza di identità. Un’identità
che non è mai stata permessa, da secoli, in questa condizione di un governo islamico
che opprime la popolazione del Sud, una popolazione che vuole scoprire la propria
identità e arrivare al punto di prendersi la responsabilità del proprio destino. D.
– Un’altra terra sconvolta e martoriata è quella del Darfur. Cosa sta facendo la Chiesa
in questa regione? R. – La Chiesa è sempre stata presente e
cerca anche di portare il proprio aiuto umanitario. Abbiamo sin dall’inizio detto
al governo il nostro parere riguardo quello che consideriamo un vero e proprio genocidio
nel caso del Darfur. La nostra parola non è stata però seguita e quindi continuiamo
a cercare di esercitare un’influenza costruttiva ma con molta difficoltà. Il Sudan
è il Paese più grande del Continente africano ma con soltanto nove diocesi. D.
– Eppure nel Paese più grande dell’Africa, nonostante tante risorse, c’è la povertà,
la necessità di dover emigrare… R. – Probabilmente è il Paese
in assoluto più povero del mondo. Le nostre risorse, le nostre ricchezze non sono
ancora state sviluppate. Dopo aver riscoperto la nostra identità e la nostra capacità,
scopriremo le risorse e le svilupperemo. Intanto, però, viviamo nella povertà dell’insicurezza
ed anche la Chiesa è povera e cammina con i poveri.