Orissa: la Chiesa indiana contro una multinazionale che espropria le terre dei locali
La Chiesa cattolica indiana si è schierata al fianco dei lavoratori dell’Orissa, che
combattono contro la ditta coreana Posco – leader nel campo dell’acciaio – che starebbe
minacciando la sopravvivenza dell’etnia locale. Il progetto multi-miliardario lanciato
dalla Posco nell’India orientale, infatti, prevede secondo gli abitanti lo sgombero
forzato di migliaia di persone. Il vescovo di Rourkela, mons. John Barwa, dice: “Ci
opponiamo a qualunque cosa vada contro gli interessi delle comunità locali. La Chiesa
non può accettare un progetto che preveda lo sgombero e la cacciata delle persone
dalle proprie terre”. Nel concreto, - riferisce l'agenzia Asianews - i locali combattono
il governo dell’Orissa. Esso sarebbe pronto a cedere all’azienda 1.600 ettari di terra:
questi dovrebbero diventare un porto privato, una miniera di ferro e una fabbrica
per la lavorazione dell’acciaio. La diramazione locale del gigante industriale – la
Posco India – affronta problemi nell’Orissa sin dal 2005, quando ha firmato una serie
di contratti con il governo locale che prevedono lo sfruttamento delle terre. Con
l’aumento delle proteste, rischia di sfumare il progetto generale: 12 miliardi di
dollari da investire per ottenere la produzione di 12 milioni di tonnellate di acciaio
ogni anno, il più grande piano di investimento estero sul territorio indiano. L’opposizione
ha il suo punto nevralgico nei distretti interni di Keonjhar e Sundargarh, e in quello
costiero di Jagatsingpur. I manifestanti sono arrivati al punto di montare la guardia
all’ingresso dei villaggi, per impedire l’accesso di stranieri. Mansid Ekka, cristiano,
guida la rivolta tesa a “proteggere l’acqua, la terra e la foresta. Questo progetto
è una cospirazione preparata dallo Stato per colpire i tribali e i dalit in nome dello
sviluppo”. Secondo padre Nicholas Barla, un altro dei leader tribali, il progetto
della Posco si tramuterà nella cacciata di circa 42.500 persone nel solo distretto
di Sundargarh: di questi, oltre 32mila sono tribali, dalit e cristiani poveri. Inoltre,
i manifestanti puntano il dito contro i danni previsti all’ecologia locale: della
terra promessa dallo Stato, 2.700 acri sono di foresta che la ditta coreana prevede
di spianare. John Dayal, presidente del Consiglio cristiano indiano, sostiene la protesta:
“La Chiesa deve sostenere tutti quei movimenti che si oppongono ai progetti che denudano
le foreste, emarginano i tribali e umiliano la dignità dell’uomo”. Questa posizione
ha raccolto anche l’inatteso appoggio degli indù, che in Orissa hanno più volte attaccato
la minoranza cristiana. In una mail al Common Concern, il gruppo che si occupa di
coordinare le proteste, un uomo di nome Manas scrive: “Cari amici, grazie alla Chiesa,
a padre Barla, al vescovo Barwa e a John Dayal. Da indù praticante, vorrei che ci
fossero leader della mia religione pronti a fare lo stesso”. (R.P.)