Memoria di San Giovanni di Dio. Mons. Zimowski in visita al Fatebenefratelli di Roma
“La Chiesa deve essere un segno di riconciliazione e di comunione, una presenza viva
della carità di Dio… Questo attendono da noi i poveri, gli ammalati e gli emarginati:
una Chiesa che vive le opere di misericordia a tutti i livelli. Tanto più che noi
portiamo il peso storico di una Chiesa che porta con sé il fallimento di non aver
vissuto prima di tutto la carità”: è quanto ha detto stamani mons. Zygmunt Zimowski,
presidente del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, in visita all’ospedale
Fatebenefratelli dell’isola Tiberina, a Roma. Nel giorno in cui si celebra la memoria
di San Giovanni di Dio, il presule ha presieduto una Messa nell’antica chiesa dedicata
a San Giovanni Calibita ricordando quanto il fondatore dei Fatebenefratelli ci tenesse
a sottolineare che “la carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità
delle parole”. Ricordando che San Giovanni di Dio viene “definito modello di evangelizzazione
in campo sanitario e ritenuto un modello di apostolato tra i malati”, mons. Zimowski
ha aggiunto che “questo Santo ha vissuto in tempi molto interessanti per la Chiesa,
ma anche molto difficili. Basta ricordare le persone che, volendo riformare la Chiesa,
l’hanno invece ferita gravemente. Questa ferita si avverte ancora oggi nella Chiesa,
nonostante i tentativi di ecumenismo e riconciliazione”. “Molte cose ha il mondo e
la nostra società che non chiederà mai più alla Chiesa: né scienza, né tecnica, né
arte, né politica, né economia – ha detto poi il presidente del Pontificio Consiglio
degli Operatori Sanitari - ma qualcosa di definitivo per il senso della vita non ha
la società e lo chiede e lo attende dalla Chiesa. L’amore di Cristo, la comunione,
la riconciliazione, la vera pace dei cuori. Noi – ha concluso il presule – dobbiamo
essere per la società e per il mondo questo dono, questa presenza come buoni samaritani”.
Ma in che modo oggi i fatebenefratelli proseguono l’opera da buon samaritano del loro
fondatore? E come è arrivato San Giovanni di Dio alla fondazione di ospedali? Tiziana
Campisi lo ha chiesto a fra Gian Carlo Lapic’, segretario del padre generale
dell’Ordine dei Fatebenefratelli:
R. – San
Giovanni di Dio è una figura del XVI secolo. Persona piuttosto inquieta, fino al punto
della conversione, quando ascolta la predica del grande San Giovanni d’Avila, l’apostolo
dell’Andalusia, e si converte profondamente. Possiamo dire che per noi sono questi
due gli eventi che segnano la sua vita: la conversione e una spropositata reazione,
che viene vista come una malattia mentale, per cui viene ricoverato nell’ospedale
reale di Granada. Questa esperienza lo segna profondamente e lì finalmente capisce
quale strada intraprendere, dove lo chiama il Signore, tanto che uscendo dall’ospedale,
disse: “Io vorrei fondare un posto dove assistere questi poveri malati come voglio”.
D. – Come avete attualizzato la spiritualità di
San Giovanni di Dio?
R. – Noi assistiamo e serviamo
la Chiesa attraverso il nostro carisma dell’ospitalità, cioè il mandato fondamentale
dell’Ordine: evangelizzazione del mondo della sofferenza. E il mezzo con cui facciamo
questo, lo strumento - se possiamo chiamarlo così - è l’ospitalità, cioè l’assistenza
diretta alle persone sofferenti, come segno di quel Dio misericordioso da cui San
Giovanni di Dio si è sentito amato e perdonato. Per cui la presenza, presso coloro
che sono nel bisogno, deve manifestare sempre questo amore misericordioso di Dio.
D.
– Voi raccogliete l’eredità di San Giovanni di Dio e la fate fruttificare giorno per
giorno. Ma cosa dice San Giovanni di Dio all’uomo comune?
R.
– Anzitutto che la persona bisognosa, il fratello che si trova nella sofferenza, non
può essere lasciato a se stesso. L’uomo bisognoso ha il diritto di essere aiutato,
c’è il dovere di stargli accanto. Viviamo in una società in cui questi valori vengono
sempre meno e la persona sofferente viene vissuta con un certo disagio, con una certa
difficoltà. San Giovanni di Dio era sensibile verso qualsiasi forma di carità, cioè
verso qualsiasi forma di bisogno dell’uomo, non soltanto fisico – la malattia e la
povertà – ma era sensibile anche verso le povertà che chiamiamo disagio sociale, verso
le prostitute, i poveri, gli abbandonati. Nei confronti di qualsiasi bisogno, lui
non rimaneva indifferente, cercava di dare una risposta, di porre rimedio. Per cui,
animato da questa fede, da questa esperienza di amore, di perdono, che Dio ha assunto
nei suoi confronti, lui comunque si spendeva senza nessuna riserva nei confronti di
qualsiasi e qualunque persona si presentasse lungo la strada della sua vita.