Si celebra oggi la Giornata internazionale della donna, occasione annuale per sensibilizzare
l’opinione pubblica sulle problematiche femminili, per ricordare sia le conquiste
delle donne che le discriminazioni di cui ancora sono oggetto. A questo proposito
un rapporto Onu sullo sviluppo rende noto oggi che fino al 2007, in sette Paesi asiatici,
erano quasi 100 milioni le donne considerate “scomparse”, escluse dall’accesso alla
salute e all’istruzione, “eliminate” prima della nascita: una strage silenziosa che
riguarda soprattutto le bambine. E alle donne del domani guarda anche il presidente
della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, che invita a contrastare l’aborto,
gli infanticidi selettivi, il difficile processo dell’integrazione delle giovani immigrate.
Quali dunque i motivi per festeggiare la ricorrenza odierna e cosa augurarsi per il
futuro? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Adele Ercolano coordinatrice
dell’Istituto di Studi Superiori sulla Donna dell’Università Pontificia Regina
Apostolorum:
R. – E’ da
festeggiare la maggiore presenza delle donne in tutti gli ambiti professionali della
vita pubblica ed anche nei ruoli decisionali all’interno di multinazionali ed anche
nelle istituzioni; in secondo luogo direi anche la maggiore consapevolezza delle donne
di voler essere loro stesse, di volersi affermare senza perdere la propria femminilità.
A livello internazionale direi una maggiore consapevolezza e vitalità delle donne
nella lotta per il riconoscimento dei loro diritti. Per quanto riguarda cosa augurarci,
sicuramente il superamento di ogni forma di discriminazione, di violenza e sfruttamento
della donna nel mondo e la centralità del sostegno alla famiglia e alla maternità.
Direi che su questi due beni c'è da lavorare molto.
D.
– Ben cinque Premi Nobel sono stati assegnati quest’anno alle donne nel mondo occidentale.
Dall’altra figura come Neda in Iran ed Aung San Suu Kyi in Birmania ci ricordano quanto
ancora resta da fare. C’è ancora tanta disparità nel riconoscimento della figura femminile?
R.
– Ci sono ancora molte criticità da superare sia in Occidente che nelle altre parti
del mondo, dove le donne continuano ad essere – ahimè – discriminate o sottovalutate
per il solo fatto di essere donne. Anche se pure lì c’è soprattutto una presa di coscienza
della necessità di una legittimazione dei loro diritti e lottano, in questo senso,
per un cambiamento culturale significativo. L’assegnazione dei Premi Nobel alle donne
rappresenta un riconoscimento ufficiale alle potenzialità delle donne. C’è, però,
anche da sottolineare che le donne - dal ‘900 in poi - hanno sempre dato importanti
contributi nell’ambito accademico-scientifico. Il problema storico è sempre stato
quello del mancato riconoscimento del lavoro svolto. Sicuramente l’assegnazione è
frutto di un cambiamento culturale in atto.
D. –
Su tematiche particolari, quali invece l’educazione, la famiglia e la bioetica, è
cambiato qualcosa nel ruolo della donna, a suo parere?
R.
– La donna ha tanto da dare in questi ambiti come umanizzatrice ovvero come custode
dell’umanità, della vita e della dignità. Credo che abbia e che debba sempre avere
un ruolo fondamentale proprio per proteggere la vita dall’inizio alla fine.
D.
– Nella società odierna si può ancora dire che la donna sia portatrice di valori umani
ed anche culturali unici ed insostituibili?
R. –
La donna è per sua natura portatrice dei valori umani ed ha quindi una concezione
molto forte della dignità e pone particolare attenzione allo sviluppo integrale di
ogni essere umano. Quando mette in atto le sue capacità tipicamente femminili, c’è
un valore aggiunto.
D. – In rapporto, invece, alla
Chiesa e alla luce del Pontificato attuale, quello di Benedetto XVI, a suo parere
qual è il ruolo assegnato alla donna?
R. – In particolare
Benedetto XVI sottolinea l’urgenza proprio di un contributo delle donne nella Chiesa.
Sicuramente molto importante è sottolineare, anzi proprio un segnale positivo, anche
di innovazione, che al recente Sinodo dei vescovi siano state presenti 10 donne fra
gli esperti e 19 uditrici. Questo dato è un dato molto significativo e dimostra come
la si voglia introdurre ampiamente nella vita della Chiesa.
Le
donne sono spesso le prime alle quali si nega il rispetto dei diritti umani, che la
comunità internazionale riconosce come basilari per ogni persona. Di tante forme di
violazione dei diritti viene fatta continua denuncia. Non si parla mai del rapporto
tra donna e libertà religiosa, anche se spesso le donne sono le prime a soffrire per
non poter dare testimonianza della loro fede dal momento che per attitudine sono spesso
le più attive nell’ambito di ogni forma di educazione. Abbiamo raccolto la testimonianza
di una donna medico che ha vissuto in Polonia sotto il regime socialista per 30 anni.
Si chiama Anna Fratta ed è da anni legata al Movimento dei Focolari.
Nell’intervista di Fausta Speranza racconta la sofferenza provata, ma anche
la particolare esperienza di fede che ha vissuto sotto un regime che negava la dimensione
religiosa:
R. – C’è
la sofferenza perché la libertà - e non solo quella religiosa - è un valore fondamentale
per l’essere umano, ma c’è poi anche la sofferenza dovuta a quel sentirsi costrette,
in un certo modo, ad un certo stile di vita che non si vorrebbe. Io ho vissuto 30
anni sotto il regime socialista in Polonia – dal ’62 al ’92, fino cioè alla caduta
del Muro – e di questa esperienza posso dire che la religiosità è amare e se si ama
veramente, si è liberi, quasi non si sente la non-libertà, proprio perché si ama tutti
e ci si fa uno con tutti, ma mantenendo la propria identità di cristiani. Io le posso
raccontare una mia esperienza vissuta nel mio posto di lavoro in ospedale, dove c’era
il segretario del Partito, che era praticamente la persona più importante dell’istituzione,
che era una dottoressa e che sapeva che io ero cristiana, che ero credente e che ero
coerente con la mia fede. Ricordo che una volta siamo andate insieme in macchina ad
un congresso e lei, indicandomi un edificio, mi ha detto: “Sa, quella è la scuola
del Partito. Lei potrebbe seguire questa scuola, perché sarebbe un bravo leader del
Partito…”. Ma io le ho risposto: “Guardi, io sono cristiana. Vedo, apprezzo e valorizzo
alcuni valori che voi avete, ma io sono cristiana e non potrei mai far parte del Partito”.
Dopo questo, siamo diventate ancora più amiche.
D.
– La libertà religiosa dunque è alla base dei diritti fondamentali...
R.
– Certo, perché noi siamo esseri umani e siamo stati creati da Dio e, quindi, si tratta
di una cosa insita nella natura umana. La religiosità è un qualcosa di insito nella
natura umana. Certamente negarla porta anche la sofferenza: io sono stata in Polonia
durante tutto il periodo di Solidarnosc e c’era la sofferenza, perché non c’era la
libertà e non soltanto quella religiosa. C’era sofferenza perché quello della libertà
è un valore fondamentale nell’uomo. Io credo, però, che se si pongono gli uomini nella
condizione di amare, se si aiutano ad amare, questo li rende liberi. La mia esperienza,
fatta con migliaia di persone oltrecortina, rappresenta un altro tipo di lotta: è
la lotta della carità, che disarma in un certo senso. Non si va contro, ma si va incontro
per amare e questo porta anche a capirci di più. Noi abbiamo vissuto - come Movimento
dei Focolari - nel periodo del regime socialista e dalla ex Ddr: siamo arrivati fino
in Siberia, ma portando sempre la consapevolezza dell’esser liberi interiormente,
di amare Dio e di amare Gesù nel fratello. Allora la sofferenza non è soltanto Gesù
Crocifisso ed abbandonato, ma è un Gesù già Risorto.