Alta affluenza alle urne in Iraq: testa a testa tra al Maliki e Allawi
Cominciano ad arrivare i primi risultati parziali delle elezioni che si sono svolte
ieri in Iraq. Chiara la tendenza: il premier Al Maliki sta dominando nelle regioni
sciite mentre il suo rivale Allawi si sta imponendo in quelle sunnite. Decisivo sarà
lo spoglio della regione di Baghdad con 68 seggi da assegnare. E’ stata buona l’affluenza
nonostante le minacce di al Qaeda e gli attentati che hanno provocato morti e feriti
in tutto il Paese. Soddisfazione per l’andamento del voto è stata espressa anche dal
presidente americano Obama, che ha lodato il coraggio degli elettori iracheni. Restano
alte le preoccupazioni per il futuro dell’Iraq, un Paese ancora caratterizzato da
forti tensioni. Stefano Leszczynski ha intervistato Mirella Galletti,
docente di Storia dei paesi islamici presso la II Università di Napoli.
R. – Sicuramente
dà adito a nuove speranze sulla normalizzazione dell’Iraq, cioè di un Iraq guidato
dal proprio popolo e con il consenso popolare. Il fatto che ci siano tante formazioni
rappresenta anche il Paese. D. – Un elemento particolare di
queste elezioni sembra essere stato la forte presenza di candidate donne. E’ una novità,
questa, per il Paese? R. – Non strettamente una novità, nel
senso che già per legge il 25 per cento dei seggi deve essere riservato alle donne.
Le donne erano già rappresentate nel Parlamento con le elezioni del 2005. Adesso c’è
una maggiore partecipazione attiva delle donne. D. – Tra tutti
i candidati è stato espresso il timore che qualcuno non accetti il responso delle
urne… R. – Adesso, intanto, abbiamo ancora l’incognita su quale
sarà l'esito delle urne. Bisogna vedere se gli elettori premieranno, o meno, le forze
più massimaliste o meno massimaliste del Paese. Dall’altro, però, mi sembra che si
evinca anche da tutte le varie dichiarazioni una volontà a non estremizzare la situazione. D.
– Gli Stati Uniti hanno espresso una forte soddisfazione per l’andamento del voto.
Questa situazione politica si iscrive nella nuova linea che il presidente Obama sta
cercando di dare al processo di democratizzazione in Iraq? R.
– Sicuramente, nell’insieme, il Paese ha tenuto. Gli americani, come presenza, si
sono mantenuti in sottordine. Quindi si è visto un Paese iracheno più forte, in grado
di camminare sulle proprie gambe. Credo che questo sia un po’ l’auspicio di tutti
i democratici del mondo e soprattutto degli Stati Uniti che non vedono l’ora di lasciare
l’Iraq sotto il controllo degli iracheni.