2010-03-07 15:55:38

Elezioni insanguinate in Iraq: decine di morti in vari attentati


Sangue in Iraq nel giorno delle elezioni politiche, che dovranno eleggere il secondo parlamento del dopo-Saddam. Malgrado le eccezionali misure di sicurezza, sono già una ventina le vittime per una serie di attentati che si sono verificati nella capitale Baghdad a poche ore dall’apertura delle urne. La violenza non condizionerà il voto, ha detto il premier uscente, al Maliki. Trecentomila gli osservatori internazionali a vigilare sulla tornata, mentre modesta, secondo i media, è l’affluenza ai seggi che chiuderanno alle 17 ora locale, le 15 italiane. Ma cosa rappresentano queste elezioni per l’Iraq? Al microfono di Benedetta Capelli, risponde Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. – Rappresentano molte cose e tutte significative. Anzitutto, sono le prime elezioni veramente irachene: le precedenti – quelle del 2005 – avvenivano ancora in un quadro molto incerto e fortemente influenzato dalle violenze, dalla quasi guerra civile, dalle violenze di al Qaeda ed erano pesantemente controllate e gestite dalla comunità internazionale e dagli Stati Uniti. Un’altra differenza è che si è indebolito, si è incrinato il voto settario: mentre nel 2005 i grandi partiti e le grandi alleanze elettorali riflettevano l’identità etno-religiosa e, quindi, l’alleanza curda e l’alleanza sciita, oggi vi sono molte più formazioni, molte più alleanze e in tanti casi davvero trasversali e che includono sia sunniti, sia sciiti. Un altro elemento importante – ma ahimè non positivo – è l’estrema durezza e competizione politica, con una serie di candidati squalificati e poi parzialmente riammessi, seppure "sub iudice", oppure con mandati di arresto, accuse infamanti che vengono utilizzate per delegittimare i vari avversari politici.
 
D. – Lei ha parlato di partiti. Vogliamo fare una carrellata sulle formazioni che, almeno sulla carta, sono le più accreditate a vincere?
 
R. – I partiti teorici sono quasi 300, un numero immenso. Diciamo però che si sono raggruppati in una serie di alleanze elettorali. La prima è la cosiddetta lista “State of law”, lista del premier al Maliki che punta a rafforzare il ruolo del governo centrale e che presenta un cartello, anche se soprattutto sciita, trasversale e molti sono gli indipendenti. Questo è il gruppo accreditato con maggiori possibilità di successo. Vi è poi l’”Alleanza nazionale irachena”, che rappresenta il resto della grande alleanza elettorale sciita e che è stata voluta dall’ayatollah al Sistani. Questa alleanza è più marcatamente sciita e più marcatamente religiosa. C’è poi l’"Alleanza patriottica del Kurdistan”, che raggruppa i due gruppi curdi storici, un tempo avversari e che oggi per convenienza sono alleati. C’è poi il gruppo dell’ex primo ministro Allawi, che è su una base davvero trasversale, nazionalista e fortemente secolare e quindi contro le ingerenze religiose e contro il federalismo spinto e voluto dai curdi. Ci sono poi una serie di liste minori.
 
D. – L’appuntamento elettorale è stato legato ad episodi di violenza, ad episodi di tensione. Secondo lei, la comunità internazionale è più preoccupata per le conseguenze di un voto che può essere e può risultare frammentato?
 
R. – La sicurezza, sì, preoccupa. Ci sono stati molti attentati, ma il quadro generale della sicurezza ha tenuto. Lo scenario non è crollato. Più pericolosa è la frammentazione: il sistema elettorale iracheno è puramente proporzionale e quindi più liste ci sono e più è difficile è che qualcuno raggiunga la maggioranza assoluta. Di fatto, è visto come impossibile. Ciò renderà obbligatorio un voto di coalizione e questo significa lunghissime trattative, negoziazioni, giochi e mosse che possono produrre un lungo periodo di incertezza. A questo la comunità internazionale guarda con preoccupazione ed anche – ahimè – qualche Paese attorno guarda per poterne sfruttare la debolezza e magari invertire il nuovo corso iracheno.
 
D. – Cosa può attendersi, secondo lei, la minoranza cristiana da questo voto?
 
R. – Purtroppo, i cristiani sono – per così dire – il "vaso di coccio" in Iraq e come tutte le minoranze vengono usate cinicamente dai principali partiti e soprattutto i cristiani, proprio perché hanno una grande visibilità, hanno una grandissima storia. A parole, tutti difendono i cristiani. Nei fatti c’è, però, una forte sottovalutazione del pericolo che i cristiani iracheni vengano sradicati dalla loro terra e che si spezzi questo legame tra comunità e terra. Il rischio è quello che i cristiani diventino sempre più profughi o all’interno del Paese e quindi in ghetti o che abbandonino l’Iraq e vadano verso l’Occidente o verso altri Paesi del Medio Oriente. Da soli, non ce la possono fare. E’ fondamentale un maggiore impegno ed una maggiore attenzione da parte della comunità internazionale, finora invero molto distratta.







All the contents on this site are copyrighted ©.