L'emergenza educativa al centro di un Convegno promosso dalla diocesi di Roma
“Progettare la vita. La Chiesa di Roma incontra la Città per un rinnovato impegno
educativo”: è il tema del convegno organizzato dalla diocesi di Roma, che si svolgerà
domani alla Pontificia Università Lateranense a due anni dalla lettera di Benedetto
XVI sull’emergenza educativa. Insegnanti, catechisti, educatori ed esperti si incontreranno
per confrontarsi, discutere dell’educazione nella varie fasce d’età e riflettere in
laboratori di gruppo. Ma che cosa si intende per emergenza educativa? Tiziana Campisi
ne ha parlato con don Filippo Morlacchi, direttore dell’Ufficio per la pastorale
scolastica e l’insegnamento della religione cattolica del Vicariato di Roma:
R. – Attualmente
si parla di emergenza educativa perché ci si è resi conto che negli ultimi decenni
si sono inceppati i meccanismi di trasmissione della cultura. Se l’educazione è la
generazione adulta che trasmette alla generazione nascente l’arte del vivere o il
modo di orientarsi nel mondo, questo meccanismo sembra che si sia "inceppato" perché
i giovani cercano strutture autoreferenziali per affrontare il presente e il futuro.
E qui entra in gioco anche un altro elemento che mi sembra importante, e che è particolarmente
presente nelle grandi città e comunque nelle nostre civiltà, ed è proprio la mancanza
di una prospettiva di futuro.
D. – Perché oggi manca
una prospettiva di futuro?
R. – Se fino a trent’anni,
quarant’anni fa, i ragazzi vedevano il futuro come una speranza, un’opportunità, qualcosa
di bello che sorrideva loro, adesso il futuro sembra una minaccia. Le prospettive
di riuscita economica, di inserimento nel mondo del lavoro, sembrano non felici e
quindi il futuro fa paura. Allora, l’educazione dove si blocca? Perché c’è un’emergenza?
Perché noi non riusciamo più a trasmettere l’idea che il futuro sia una speranza,
un’opportunità, qualcosa di positivo!
D. – Quali
sono le fasce d’età nelle quali si avverte in particolare questa emergenza educativa?
R.
– A mio giudizio, la fascia più problematica è e rimane quella delle vecchie scuole
medie, cioè la cosiddetta pre-adolescenza. Normalmente che cosa accade? In quella
fascia d’età si creano delle comunità autoreferenziali di ragazzini che magari tra
di loro sono molto capaci di comunicare, tanto capaci di comunicare che si chiudono
al mondo degli adulti e non sono più permeabili agli stimoli educativi. Manca, o comunque
si riduce, la relazione con gli adulti che dovrebbero essere i principali promotori
dell’educazione e quindi questo meccanismo si inceppa.
D.
– In che modo la diocesi di Roma è impegnata in campo educativo?
R.
– Già cinque anni fa, la diocesi di Roma stava riflettendo sulla tematica della trasmissione
della fede: educare alla fede le nuove generazioni. Su questo è stato invitato il
Papa, vescovo di Roma, che è venuto nella Basilica del Laterano al convegno annuale.
In quella sede il Papa ci ha illustrato questa idea: se non funziona la trasmissione
della fede, questo è dovuto al fatto che in generale il meccanismo dell’educazione
non funziona bene. Cioè: io non riesco a trasmettere la fede, ma perché? Perché non
riesco a trasmettere quasi nulla! E’ il meccanismo dell’educazione, questo meccanismo
di consegna di contenuti, di valori che non riesce più a funzionare bene, ed è per
questo che gradualmente, ogni anno, abbiamo spostato l’attenzione dalla trasmissione
della fede alla trasmissione dei valori più in generale, al processo educativo in
genere. Ci siamo resi conto che non riuscivamo a trasmettere la fede come volevamo
e ci siamo interrogati: ma perché, questo? Perché non riusciamo ad educare in generale.
E allora, bisogna lavorare sull’educazione in genere per poter recuperare anche quell’ambito
particolare dell’educazione che è l’educazione dei cristiani e quindi l’educazione
alla fede.