2010-03-04 14:45:34

Kamikaze contro le elezioni in Iraq: vittime nei seggi


Tre attentati in poche ore a Baghdad nel giorno del voto anticipato per le legislative di domenica: una bomba è esplosa questa mattina poco lontano da un seggio, mentre poco dopo due kamikaze si sono fatti esplodere davanti ad altri due seggi, aperti per consentire il voto di detenuti, pazienti, dipendenti governativi e delle forze di sicurezza. Il bilancio è di almeno 12 morti, tra cui 4 bambini. Ieri a Baquba tre kamikaze avevano provocato oltre 30 vittime. Ma queste consultazioni possono comunque essere interpretate come un segno di democrazia in Iraq? Al microfono di Giada Aquilino, risponde Alessandro Colombo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Milano:RealAudioMP3

R. – Le elezioni non bastano in nessun contesto per parlare di democrazia. Sono naturalmente un passaggio imprescindibile per la transizione verso la democrazia. E’ chiaro che le elezioni in Iraq avvengono quando lo stesso Stato iracheno deve ancora stabilizzarsi e probabilmente anche ricostituirsi.

 
D. – Uno dei simboli della democrazia è anche la sicurezza. Gli attentati, però, proseguono. Che segnale è?

 
R. – Gli attentati vanno avanti, ma soprattutto prosegue quella che è la vera incognita di queste elezioni – o, per meglio dire, del dopo elezioni – e cioè la tensione tra le diverse etnie del Paese. Questi attentati servono a tenere viva la possibilità del conflitto e quindi la possibilità della disgregazione che sarebbe – com’è stato fino a qualche anno fa – non soltanto la disgregazione dello Stato ma automaticamente anche la disgregazione di qualunque possibilità di transizione alla democrazia.

 
D. – Come saranno rappresentate in questo voto le varie anime del Paese? Quindi sciiti, sunniti, curdi; nei giorni scorsi ci sono stati attentati anche contro la minoranza cristiana...

 
R. – E’ molto difficile dirlo. Nel processo stesso di preparazione delle elezioni sono stati esclusi diversi candidati, per possibili legami in passato con il partito Baath, durante il regime di Saddam Hussein. Queste esclusioni hanno colpito soprattutto la parte sunnita della popolazione ed hanno aggravato le tensioni interetniche nel Paese. Ma la cosa più pericolosa è il fatto che negli ultimi anni la pacificazione dell’Iraq è passata attraverso la disseminazione di promesse: tutte le parti hanno pensato di poter guadagnare qualcosa. Ora si arriva alle elezioni e nel momento in cui ci saranno i risultati qualcuno scoprirà di non aver ricevuto ciò che sperava. Quello sarà il momento decisivo per capire a che livello di stabilizzazione siamo arrivati. Il problema sarà la gestione degli insoddisfatti dopo il voto. Chiaramente ci saranno delle parti che usciranno insoddisfatte, qualcuno magari gravemente insoddisfatto e lì vedremo se si sceglieranno delle vie pacifiche per manifestare tale insoddisfazione oppure se si andranno a rafforzare i gruppi di insurrezione, che ancora ci sono. Non dimentichiamoci che l’anno scorso – anche se le truppe internazionali hanno avuto molte meno vittime che in passato – la popolazione irachena ha pagato ancora un tributo di migliaia di morti.







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