Mons. Nosiglia: educare le comunità cristiane ad accogliere gli zingari
Come ricordato dal Papa all’udienza generale, è in corso in Vaticano l’Incontro dei
direttori nazionali della Pastorale degli Zingari in Europa. All’assise ecclesiale,
che si concluderà domani, è intervenuto ieri l’arcivescovo di Vicenza, Cesare Nosiglia,
che si è soffermato sulla pastorale degli Zingari nel contesto del territorio e della
diocesi. Al microfono di Marion Fontenille, mons. Nosiglia indica le priorità
per favorire un’integrazione che rispetti l’identità delle comunità zingare:
R. – Anzitutto,
si devono educare le comunità cristiane - a cominciare dalle parrocchie, dai sacerdoti,
dai consigli pastorali - ad accogliere la presenza degli zingari, conoscendoli, andandoli
a trovare, cercando di verificare quali sono le loro esigenze, i loro problemi, aiutandoli
in particolare per la scolarizzazione dei ragazzi, aiutando in situazioni di donne
in difficoltà per la maternità … cioè, cose molto concrete. Bisogna che questo sia
per la Chiesa un impegno di base, qualcosa che entri nella pastorale ordinaria. Qualsiasi
povero viene accettato ma purtroppo, spesso, solo a parlare di zingari ci si mette
subito in allarme perché - si dice - "rubano, perché sono violenti, perché non lavorano"
… Tanti stereotipi che non hanno ragione di essere. Quindi, il compito della Chiesa
è educare.
D. – Oltre ad educare la comunità cristiana
per migliorare l’accoglienza c’è qualche altro aspetto che dovrebbe avere la priorità?
R.
- Un altro aspetto importante è quello di stimolare, sollecitare un dialogo con le
istituzioni civili, perché diano la possibilità di avere delle piazzole dove gli zingari
possano collocarsi, eventualmente percorsi di inclusione sociale; i temi fondamentali
sono la scuola, il lavoro e anche la casa: ma questa è una cosa sempre molto difficile.
Purtroppo, capita che i comuni si rimbalzino l’uno con l’altro i problemi e quindi
cercano sempre di favorire una permanenza la più breve possibile, scaricandoli nei
comuni vicini, magari, perché non hanno un progetto su cui puntare. La Chiesa deve
cercare soprattutto di istituire una specie di tavolo di lavoro, attorno a cui diversi
comuni possano ritrovarsi per favorire sinergie e collaborazioni per affrontare insieme
questi problemi.
D. – Anche la comunità zingara dovrebbe
fare qualcosa per rendere più facile il dialogo?
R.
- Da parte degli zingari dovrebbe esserci un’accoglienza minima di quelle che sono
le regole del Paese in cui si trovano perché indubbiamente ci sono regole democratiche,
regole di civile convivenza che si esige che siano accolte, e quindi ci vuole anche
un cammino da parte loro. Parlando con loro ci si rende conto che sono anche disponibili
a compiere dei percorsi di inclusione sociale, per quanto riguarda il lavoro, per
quanto riguarda lo studio dei ragazzi … Però, hanno la loro natura, la loro mentalità,
insomma, per cui ci vuole tempo per adeguarsi ad un certo stile, ad un certo modo
di vivere proprio delle nostre società. Bisogna fare un cammino insieme: ognuno deve
fare la sua parte. (Montaggio a cura di Maria Brigini)