Chiusura a Capo Verde dei lavori della Fondazione “Giovanni Paolo II per il Sahel”
Si conclude oggi a Praia, capitale di Capo Verde, la sessione annuale del Consiglio
di amministrazione della Fondazione pontificia “Giovanni Paolo II per il Sahel”, istituita
nel 1984 per sostenere le popolazioni saheliane provate dalla desertificazione e dalla
siccità. L’organismo opera a favore di nove Paesi: Niger, Mali, Guinea Bissau, Capo
Verde, Mauritania, Senegal, Gambia, Ciad e Burkina Faso. Gli interventi sono mirati
al di là delle necessità contigenti a promuovere lo sviluppo nella regione del Sahel,
come spiega mons. Jean-Pierre Bassène, vescovo senegalese di Kolda, presidente
del Consiglio di amministrazione della Fondazione, intervistato da Armance Bourgois:
R. – En matière
de secours d’urgence, la Fondation Jean Paul II… La Fondazione Giovanni
Paolo II non interviene direttamente nelle situazioni d’emergenza: questi tipi di
interventi sono gestiti dalle Caritas locali. Il nostro punto di forza sono i progetti
a lungo termine: formare i saheliani affinché diventino i migliori esperti nell’agricoltura
e nell’allevamento, per ottenere risultati durevoli nel tempo.
D.
– Come affrontate questo impegno?
R. – D’abord, la
sensibilisation… Innanzitutto con la sensibilizzazione della popolazione
nei riguardi dell’importanza della vegetazione, di non praticare abusivismo, di non
distruggere la natura; l’insegnamento alla gestione delle terre, alla costruzione
di dighe anti-sale che impediscano l’avanzata dei laghi salati o semplicemente del
mare, o del deserto; e tutto questo consentirà di realizzare delle colture con rendimenti
tangibili e visibili a vantaggio del saheliani.
D.
– Da quanto è stata creata la Fondazione, lei ha avuto la sensazione che ci sia stato
un cambiamento nella mentalità per quanto riguarda il problema della desertificazione?
R.
– En effet, le grand changement c’est au niveau effectivement des mentalités; … In
realtà, il cambiamento più rilevante è proprio a livello della mentalità, e i risultati
ci sono perché i saheliani stessi hanno scoperto che l’investimento fatto ha portato
frutti. Ma c’è anche un altro aspetto: si sono ritrovate insieme tre federazioni di
tipo etnico e i saheliani stanno imparando a vivere insieme, e questo è un contributo
alla pace. E questo si ricollega un po’ al messaggio del Papa per la Giornata mondiale
della pace di quest’anno, e io vi assicuro che l’appello è stato raccolto!
D.
– Come la lotta alla desertificazione e la tutela della natura possono diventare,
per i Paesi saheliani, strumento di pace?
R. – L’environnement
c’est vraiment notre lieu de vie. Si l’environnement est … L’ambiente è
il nostro luogo di vita; se l’ambiente è degradato, anche gli animi sono esacerbati
ed è facile che nascano conflitti: per l’acqua, per la terra, per le foreste. In questo
momento, il fatto stesso di rendersi conto che la natura è in pericolo e che invece
si possono unire le volontà e le energie per sostenere la natura: questo già di per
sé è un elemento di pace. Se riusciremo ad avere la meglio su questo fenomeno minaccioso,
ritroveremo l’ambiente ed una dimensione vivibile che consentiranno a tutti ed a ciascuno
di vivere in pace.