2010-02-15 14:52:42

Chiusura a Capo Verde dei lavori della Fondazione “Giovanni Paolo II per il Sahel”


Si conclude oggi a Praia, capitale di Capo Verde, la sessione annuale del Consiglio di amministrazione della Fondazione pontificia “Giovanni Paolo II per il Sahel”, istituita nel 1984 per sostenere le popolazioni saheliane provate dalla desertificazione e dalla siccità. L’organismo opera a favore di nove Paesi: Niger, Mali, Guinea Bissau, Capo Verde, Mauritania, Senegal, Gambia, Ciad e Burkina Faso. Gli interventi sono mirati al di là delle necessità contigenti a promuovere lo sviluppo nella regione del Sahel, come spiega mons. Jean-Pierre Bassène, vescovo senegalese di Kolda, presidente del Consiglio di amministrazione della Fondazione, intervistato da Armance Bourgois:RealAudioMP3

R. – En matière de secours d’urgence, la Fondation Jean Paul II…
La Fondazione Giovanni Paolo II non interviene direttamente nelle situazioni d’emergenza: questi tipi di interventi sono gestiti dalle Caritas locali. Il nostro punto di forza sono i progetti a lungo termine: formare i saheliani affinché diventino i migliori esperti nell’agricoltura e nell’allevamento, per ottenere risultati durevoli nel tempo.

 
D. – Come affrontate questo impegno?

 
R. – D’abord, la sensibilisation…
Innanzitutto con la sensibilizzazione della popolazione nei riguardi dell’importanza della vegetazione, di non praticare abusivismo, di non distruggere la natura; l’insegnamento alla gestione delle terre, alla costruzione di dighe anti-sale che impediscano l’avanzata dei laghi salati o semplicemente del mare, o del deserto; e tutto questo consentirà di realizzare delle colture con rendimenti tangibili e visibili a vantaggio del saheliani.

 
D. – Da quanto è stata creata la Fondazione, lei ha avuto la sensazione che ci sia stato un cambiamento nella mentalità per quanto riguarda il problema della desertificazione?

 
R. – En effet, le grand changement c’est au niveau effectivement des mentalités; …
In realtà, il cambiamento più rilevante è proprio a livello della mentalità, e i risultati ci sono perché i saheliani stessi hanno scoperto che l’investimento fatto ha portato frutti. Ma c’è anche un altro aspetto: si sono ritrovate insieme tre federazioni di tipo etnico e i saheliani stanno imparando a vivere insieme, e questo è un contributo alla pace. E questo si ricollega un po’ al messaggio del Papa per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, e io vi assicuro che l’appello è stato raccolto!

 
D. – Come la lotta alla desertificazione e la tutela della natura possono diventare, per i Paesi saheliani, strumento di pace?

 
R. – L’environnement c’est vraiment notre lieu de vie. Si l’environnement est …
L’ambiente è il nostro luogo di vita; se l’ambiente è degradato, anche gli animi sono esacerbati ed è facile che nascano conflitti: per l’acqua, per la terra, per le foreste. In questo momento, il fatto stesso di rendersi conto che la natura è in pericolo e che invece si possono unire le volontà e le energie per sostenere la natura: questo già di per sé è un elemento di pace. Se riusciremo ad avere la meglio su questo fenomeno minaccioso, ritroveremo l’ambiente ed una dimensione vivibile che consentiranno a tutti ed a ciascuno di vivere in pace.







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