Padova in festa per l’ostensione delle spoglie di Sant’Antonio. Con noi, il rettore
della Basilica antoniana, padre Enzo Poiana
È festa nella città di Padova che si prepara a vivere l’ostensione delle spoglie mortali
di Sant’Antonio, sacerdote francescano e Dottore della Chiesa, definito da Benedetto
XVI, nel corso dell’udienza generale di mercoledì scorso, “uno dei Santi più popolari
in tutta la Chiesa cattolica”. Da domani al 20 febbraio, i fedeli potranno venerare
le ossa del Santo, ricomposte e visibili in un’urna di vetro. L’ostensione segna il
termine del restauro della Cappella dell’Arca, che da oltre seicento anni ospita la
tomba del Santo. Ma cosa significa, per i Frati Minori Conventuali, questo evento?
Isabella Piro lo ha chiesto a padre Enzo Poiana, rettore della Basilica
di Sant’Antonio a Padova:
R. – Rappresenta
un motivo per riflettere sulla nostra spiritualità. Il nostro carisma è dato da una
tradizione: Sant’Antonio fa parte di questa tradizione ed è un personaggio importante
di questa tradizione. In questi anni, anche la nostra Provincia religiosa del nord
Italia sta cercando di recuperare questo contenuto che ci è consegnato per diventare
anche motivo di stimolo, per tutti i fedeli, a percorrere la via del Vangelo che è
la via di Sant’Antonio, come di San Francesco nostro padre fondatore.
D.
– Ricordiamo, tra l’altro, che l’ostensione cade proprio all’inizio della Quaresima,
il che dà un valore in più all’evento…
R. – Certamente,
perché Sant’Antonio ha vissuto proprio la sua ultima fatica apostolica pochi mesi
prima della sua morte qui a Padova, quando, per la prima volta, ci fu una predicazione
della Quaresima, quotidiana e più volte al giorno, per tutta la città. Le cronache
dicono che Sant’Antonio con la sua parola forte, suadente, riusciva a convertire il
cuore della gente che correva dai sacerdoti per ricevere il perdono sacramentale.
Non c’erano sufficienti sacerdoti per poter venire incontro alle esigenze di tutti
i fedeli. Se nel 1231 Sant’Antonio ha dato le sue ultime forze per predicare il Vangelo
di Gesù Cristo e riportare al centro dell’attenzione dei fedeli il messaggio del Vangelo,
che è l’amore di Dio che si manifesta in noi attraverso la persona di Gesù Cristo.
Credo che la società di oggi, la Chiesa di oggi abbiano bisogno di risentire questo
importante messaggio del Vangelo.
D. – Per i padovani
Sant’Antonio è semplicemente “il Santo”. Cosa vuol dire questo?
R.
– C’è una piena identificazione tra Antonio e la città. Questo lo è per i padovani
perché lo sentono come il loro Santo, ma anche andando per il mondo per far conoscere
Padova bisogna dire che è la Città del Santo. Molti che non conoscono Padova, conoscendo
Sant’Antonio, fanno immediatamente riferimento a lui per riconoscere la città.
D.
– Per quella che è la sua esperienza cosa cercano, cosa chiedono i pellegrini che
si recano a venerare la tomba del Santo?
R. - Fondamentalmente
cercano la pace del cuore. Sant’Antonio non guarda né alla provenienza etnica, né
religiosa, né alla fede che uno ha. Le persone che vengono qui sono persone che vivono
delle tribolazioni più o meno evidenti, più o meno gravi. Sono persone che hanno cercato,
magari anche altrove e non nel Vangelo, in Gesù Cristo, nella fede, la risposta alle
loro sofferenze. Vengono qui con quella fiducia di essere esauditi. La vera pace nasce
solo se accogliamo l’annuncio evangelico, quel lieto annuncio dell’amore di Dio per
noi.
D. - Qual è l’insegnamento principale che Sant’Antonio
di Padova lascia all’uomo di oggi?
R. – Vale la pena
credere. La fede non deve essere una realtà che ci coinvolge solo in alcuni momenti,
ma deve permeare tutta la nostra vita. La fede è bellezza. Spendere la vita per Gesù
Cristo è mettere veramente a frutto tutta la nostra esistenza, cioè dare il significato
vero alla nostra esistenza, tenendo presente che ognuno di noi ha una chiamata da
parte di Dio e a questa chiamata deve rimanere fedele per poter apprezzare la vita
e viverla fino in fondo.