2010-02-05 16:13:59

La Chiesa ricorda don Andrea Santoro: le testimonianze di mons. Padovese e mons. Di Tora


Proseguono le celebrazioni per ricordare la figura di don Andrea Santoro, il sacerdote fidei donum ucciso quattro anni fa nella chiesa di Santa Maria a Trabzon, in Turchia. Ieri la veglia di preghiera presieduta dal vescovo ausiliare del settore est di Roma, mons. Giuseppe Marciante. Questa sera il vescovo ausiliare del settore nord della capitale, mons. Guerino Di Tora, celebrerà la Messa nella parrocchia romana di Gesù di Nazareth. Davide Dionisi ha chiesto all’ex direttore della Caritas diocesana quale eredità ha lasciato don Andrea:RealAudioMP3

R. – L’eredità che ci lascia è quella di una coerenza di testimonianza nel silenzio di quello in cui lui credeva profondamente: il riportare l’idea del cristianesimo in quelli che erano i luoghi dove la cristianità è nata, le Chiese dell’Apocalisse, la Turchia, le comunità evangelizzate da San Paolo, e riportarlo dove oggi è abbastanza dimenticato.

D. – Quanto è attuale il messaggio di don Andrea?

R. – L’attualità è quella di riportare la presenza cristiana in ogni luogo: nei nostri luoghi di lavoro, negli ambienti che frequentiamo, nelle scuole. Quindi, questa idea di poter e voler riportare una presenza di testimonianza cristiana nel luogo dove la Divina Provvidenza ci ha fatto trovare.

La testimonianza di don Santoro in Turchia ha aggiunto un ulteriore tassello a quello che è l’impegno della Chiesa locale sul fronte del dialogo e del confronto pacifico tra le varie religioni. Il sacrificio del missionario nella testimonianza di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia:

R. - Mi piace rilevare che sia stato ucciso come simbolo, come realtà di sacerdote cattolico. Non è stata uccisa soltanto la persona, ma si è voluto colpire il simbolo che la persona rappresentava: ricordarlo in questo momento, all’interno dell’anno dedicato ai sacerdoti, è quanto mai significativo, per ricordare a tutti noi che la sequela di Cristo può arrivare anche all’offerta del proprio sangue.

D. – A che punto è il dialogo in Turchia, mons. Padovese?

R. – Il dialogo in Turchia, segue momenti alterni. Ci sono tante espressioni di buona volontà da parte anche delle autorità. Si intende il dialogo con la parte civile. Devo dire però che effetti vistosi di questo dialogo ancora non se ne vedono tanti. Un buon rapporto si è creato con il nuovo ambasciatore di Turchia presso la Santa Sede, anche con alcune autorità locali, ci sono attestazioni di volontà di collaborazione. Ecco su questo punto devo dire che i segni ci sono. Per quello che riguarda poi certe richieste concrete che sono state fatte, come ad esempio la Chiesa di Tarso, ci troviamo in una situazione ancora di stallo.

D. – Quale è l’impegno della Chiesa, quotidiano e a medio termine, per incentivare il dialogo?

R. – Abbiamo avuto l’incontro della Conferenza Episcopale turca, e pensiamo che il dialogo debba innanzitutto partire da una presa di coscienza dei cristiani stessi in Turchia, cioè essere coscienti della propria identità e di quello che sono. E’ inutile pensare ad un dialogo con chi non è cristiano, quando non si è pienamente consapevoli di quello che si è. Quindi buona parte della nostra azione pastorale quest’anno, è, e sarà concentrata nel rendere i cristiani più consapevoli della propria identità. A parte questo ci saranno i momenti di incontri a livello nazionale per i sacerdoti del Paese e i vescovi a Efeso. E’ la prima volta che comunità cristiane di diversi riti, ci ritroviamo a pregare e a riflettere insieme sulle situazioni della Chiesa in Turchia. (Montaggio di Maria Brigini)







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