Malaysia: i vescovi dicono no all'uso politico della religione
“La situazione è ancora un po’ tesa. I cristiani e i credenti di altre religioni sono
un po’ impauriti e sperano che i piccoli incidenti alle moschee non siano sfruttati
da politici senza scrupoli per rastrellare consensi e generare, in tal modo, uno scontro
fra i musulmani e i fedeli di altre religioni”: lo afferma in un colloquio con l’agenzia
Fides mons. Paul Tan Chee Ing, vescovo di Melaka-Johor, nel Sud della Malaysia peninsulare,
dopo gli ultimi atti vandalici ai danni di due moschee, profanate con teste di maiale.
Fra l’8 e il 27 gennaio atti vandalici più o meno gravi hanno colpito 18 luoghi di
culto: 11 chiese cristiane, un convento, un tempio sikh, tre moschee e due aule di
preghiera musulmane. “Nell’opinione pubblica è ancora molto vivo il ricordo degli
scontri interetnici, dei disordini e dei morti del 1969: perciò speriamo che tutti
stiano attenti a non far degenerare la situazione”, nota il vescovo. Alcuni analisti
hanno riportato alla memoria i fantasmi del violento conflitto etnico post-elezioni
che, fra maggio e luglio 1969, contrappose la popolazione malay a quella cinese. “Piccoli
atti vandalici contro le chiese e le aule di preghiera islamiche continuano. Sono
atti che condanniamo fermamente. Nulla di grave, pochissimi danni. ma il punto non
è questo. Il fatto è - osserva il vescovo - che i partiti stanno cercando di trarre
un vantaggio politico da questi eventi, in vista delle prossime elezioni". (R.P.)