Benedetto XVI alla Rota Romana: non separare carità e giustizia nei processi di nullità
matrimoniale
Sentenziare l’annullamento di un matrimonio senza rispettare l’oggettività del Sacramento,
ma solo per la soddisfazione soggettiva dei richiedenti che si trovano in una posizione
di irregolarità, vuol dire strumentalizzare la verità e la giustizia e manifestare
un malriposto senso di carità. Con chiarezza Benedetto XVI si è rivolto questa mattina
in udienza ai membri del Tribunale della Rota Romana, ricevuti per l’inizio dell’Anno
giudiziario. Sollecitudine e tempestività, ha affermato il Papa, non devono mai essere
intese a scapito dell’“indissolubilità” del vincolo matrimoniale. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
Il Papa pone
alla fine del suo discorso il puntello attorno al quale ruotano e si reggono le altre
considerazioni, esposte con puntualità e fermezza appropriate al pubblico che lo ascolta
nella Sala Clementina, in Vaticano. Il matrimonio, afferma, “gode del favore del diritto”:
“Pertanto,
in caso di dubbio, esso si deve intendere valido fino a che non sia stato provato
il contrario. Altrimenti, si corre il grave rischio di rimanere senza un punto di
riferimento oggettivo per le pronunce circa la nullità, trasformando ogni difficoltà
coniugale in un sintomo di mancata attuazione di un'unione il cui nucleo essenziale
di giustizia – il vincolo indissolubile – viene di fatto negato”. Sul
rapporto fra giustizia, carità e verità Benedetto XVI aveva impostato la propria riflessione,
chiamando in causa alcune delle affermazioni più pertinenti contenute nella Caritas
in veritate. “Occorre prendere atto – ha osservato – della diffusa e radicata tendenza,
anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità,
quasi che una escluda l’altra”:
“In questa linea,
riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità
pastorale potrebbe giustificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del
vincolo matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione
matrimoniale irregolare. La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così
ad essere vista in un'ottica strumentale, che l’adatterebbe di volta in volta alle
diverse esigenze che si presentano”. Alla
base di questo errato modo di procedere, ha stigmatizzato il Pontefice, c’è quella
mentalità – presente, ha rilevato, anche all’interno della Chiesa – che a volte sottovaluta
il Diritto Canonico “come se esso – ha notato – fosse un mero strumento tecnico al
servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità”. Viceversa,
solo se la giustizia e la verità sul matrimonio cristiano sono correttamente intese,
è possibile comprendere quale posto abbia la carità nel giudizio. L’azione di chi
amministra la giustizia, ha ribadito il Papa, “non può prescindere dalla carità”,
a partire da quella “dovuta tempestività” alla quale esorta, e il Pontefice lo ha
richiamato, l’art. 72 dell’Istruzione Dignitas Connubii, secondo cui, fatta “salva
la giustizia”, tutte le cause devono protrarsi “non più di un anno nel tribunale di
prima istanza”, e “non più di sei mesi” in quello di seconda istanza:
“In
pari tempo, è importante adoperarsi fattivamente ogni qualvolta si intraveda una speranza
di buon esito, per indurre i coniugi a convalidare eventualmente il matrimonio e a
ristabilire la convivenza coniugale. Non va, inoltre, tralasciato lo sforzo di instaurare
tra le parti un clima di disponibilità umana e cristiana, fondata sulla ricerca della
verità”. Quindi, Benedetto XVI
si è soffermato su un altro possibile errore, indotto da quelli che ha definito “richiami
pseudopastorali”, che dietro richiesta dei contraenti premono “per giungere ad ogni
costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro, gli ostacoli
alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia”:
“Il
bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione
sacramentale, esige invece di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile
dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave
mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione
dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità
della propria condizione personale”. Vorrei
sottolineare, ha concluso il Papa, come “sia la giustizia, sia la carità postulino
l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ricerca del vero”:
“Senza
verità la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da
riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità.
Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola
abusata e distorta, fino a significare il contrario”.