San Francesco, gigante della santità, al centro dell'udienza generale di Benedetto
XVI. Testo integrale
Benedetto XVI oggi ha dedicato la catechesi dell’udienza generale alla figura di San
Francesco, “autentico ‘gigante’ della santità”. Ecco il testo integrale della sua
catechesi. Cari fratelli e sorelle, in una recente catechesi,
ho già illustrato il ruolo provvidenziale che l’Ordine dei Frati Minori e l’Ordine
dei Frati Predicatori, fondati rispettivamente da san Francesco d’Assisi e da san
Domenico da Guzman, ebbero nel rinnovamento della Chiesa del loro tempo. Oggi vorrei
presentarvi la figura di Francesco, un autentico “gigante” della santità, che continua
ad affascinare moltissime persone di ogni età e di ogni religione. “Nacque
al mondo un sole”. Con queste parole, nella Divina Commedia (Paradiso, Canto XI),
il sommo poeta italiano Dante Alighieri allude alla nascita di Francesco, avvenuta
alla fine del 1181 o agli inizi del 1182, ad Assisi. Appartenente a una ricca famiglia
– il padre era commerciante di stoffe –, Francesco trascorse un’adolescenza e una
giovinezza spensierate, coltivando gli ideali cavallereschi del tempo. A vent’anni
prese parte ad una campagna militare, e fu fatto prigioniero. Si ammalò e fu liberato.
Dopo il ritorno ad Assisi, cominciò in lui un lento processo di conversione spirituale,
che lo portò ad abbandonare gradualmente lo stile di vita mondano, che aveva praticato
fino ad allora. Risalgono a questo periodo i celebri episodi dell’incontro con il
lebbroso, a cui Francesco, sceso da cavallo, donò il bacio della pace, e del messaggio
del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano. Per tre volte il Cristo in croce si
animò, e gli disse: “Va’, Francesco, e ripara la mia Chiesa in rovina”. Questo semplice
avvenimento della parola del Signore udita nella chiesa di S. Damiano nasconde un
simbolismo profondo. Immediatamente san Francesco è chiamato a riparare questa chiesetta,
ma lo stato rovinoso di questo edificio è simbolo della situazione drammatica e inquietante
della Chiesa stessa in quel tempo, con una fede superficiale che non forma e non trasforma
la vita, con un clero poco zelante, con il raffreddarsi dell’amore; una distruzione
interiore della Chiesa che comporta anche una decomposizione dell’unità, con la nascita
di movimenti ereticali. Tuttavia, in questa Chiesa in rovina sta nel centro il Crocifisso
e parla: chiama al rinnovamento, chiama Francesco ad un lavoro manuale per riparare
concretamente la chiesetta di san Damiano, simbolo della chiamata più profonda a rinnovare
la Chiesa stessa di Cristo, con la sua radicalità di fede e con il suo entusiasmo
di amore per Cristo. Questo avvenimento, accaduto probabilmente nel 1205, fa pensare
ad un altro avvenimento simile verificatosi nel 1207: il sogno del Papa Innocenzo
III. Questi vede in sogno che la Basilica di San Giovanni in Laterano, la chiesa madre
di tutte le chiese, sta crollando e un religioso piccolo e insignificante puntella
con le sue spalle la chiesa affinché non cada. E’ interessante notare, da una parte,
che non è il Papa che dà l’aiuto affinché la chiesa non crolli, ma un piccolo e insignificante
religioso, che il Papa riconosce in Francesco che Gli fa visita. Innocenzo III era
un Papa potente, di grande cultura teologica, come pure di grande potere politico,
tuttavia non è lui a rinnovare la Chiesa, ma il piccolo e insignificante religioso:
è san Francesco, chiamato da Dio. Dall’altra parte, però, è importante notare che
san Francesco non rinnova la Chiesa senza o contro il Papa, ma solo in comunione con
lui. Le due realtà vanno insieme: il Successore di Pietro, i Vescovi, la Chiesa fondata
sulla successione degli Apostoli e il carisma nuovo che lo Spirito Santo crea in questo
momento per rinnovare la Chiesa. Insieme cresce il vero rinnovamento. Ritorniamo
alla vita di san Francesco. Poiché il padre Bernardone gli rimproverava troppa generosità
verso i poveri, Francesco, dinanzi al Vescovo di Assisi, con un gesto simbolico si
spogliò dei suoi abiti, intendendo così rinunciare all’eredità paterna: come nel momento
della creazione, Francesco non ha niente, ma solo la vita che gli ha donato Dio, alle
cui mani egli si consegna. Poi visse come un eremita, fino a quando, nel 1208, ebbe
luogo un altro avvenimento fondamentale nell’itinerario della sua conversione. Ascoltando
un brano del Vangelo di Matteo – il discorso di Gesù agli apostoli inviati in missione
–, Francesco si sentì chiamato a vivere nella povertà e a dedicarsi alla predicazione.
Altri compagni si associarono a lui, e nel 1209 si recò a Roma, per sottoporre al
Papa Innocenzo III il progetto di una nuova forma di vita cristiana. Ricevette un’accoglienza
paterna da quel grande Pontefice, che, illuminato dal Signore, intuì l’origine divina
del movimento suscitato da Francesco. Il Poverello di Assisi aveva compreso che ogni
carisma donato dallo Spirito Santo va posto a servizio del Corpo di Cristo, che è
la Chiesa; pertanto agì sempre in piena comunione con l’autorità ecclesiastica. Nella
vita dei santi non c’è contrasto tra carisma profetico e carisma di governo e, se
qualche tensione viene a crearsi, essi sanno attendere con pazienza i tempi dello
Spirito Santo. In realtà, alcuni storici nell’Ottocento e anche
nel secolo scorso hanno cercato di creare dietro il Francesco della tradizione, un
cosiddetto Francesco storico, così come si cerca di creare dietro il Gesù dei Vangeli,
un cosiddetto Gesù storico. Tale Francesco storico non sarebbe stato un uomo di Chiesa,
ma un uomo collegato immediatamente solo a Cristo, un uomo che voleva creare un rinnovamento
del popolo di Dio, senza forme canoniche e senza gerarchia. La verità è che san Francesco
ha avuto realmente una relazione immediatissima con Gesù e con la parola di Dio, che
voleva seguire sine glossa, così com’è, in tutta la sua radicalità e verità. E’ anche
vero che inizialmente non aveva l’intenzione di creare un Ordine con le forme canoniche
necessarie, ma, semplicemente, con la parola di Dio e la presenza del Signore, egli
voleva rinnovare il popolo di Dio, convocarlo di nuovo all’ascolto della parola e
all’obbedienza verbale con Cristo. Inoltre, sapeva che Cristo non è mai “mio”, ma
è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io” contro la
Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa
costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola
di Dio. E’ anche vero che non aveva intenzione di creare un
nuovo ordine, ma solamente rinnovare il popolo di Dio per il Signore che viene. Ma
capì con sofferenza e con dolore che tutto deve avere il suo ordine, che anche il
diritto della Chiesa è necessario per dar forma al rinnovamento e così realmente si
inserì in modo totale, col cuore, nella comunione della Chiesa, con il Papa e con
i Vescovi. Sapeva sempre che il centro della Chiesa è l'Eucaristia, dove il Corpo
di Cristo e il suo Sangue diventano presenti. Tramite il Sacerdozio, l'Eucaristia
è la Chiesa. Dove Sacerdozio e Cristo e comunione della Chiesa vanno insieme, solo
qui abita anche la parola di Dio. Il vero Francesco storico è il Francesco della Chiesa
e proprio in questo modo parla anche ai non credenti, ai credenti di altre confessioni
e religioni. Francesco e i suoi frati, sempre più numerosi, si stabilirono
alla Porziuncola, o chiesa di Santa Maria degli Angeli, luogo sacro per eccellenza
della spiritualità francescana. Anche Chiara, una giovane donna di Assisi, di nobile
famiglia, si mise alla scuola di Francesco. Ebbe così origine il Secondo Ordine francescano,
quello delle Clarisse, un’altra esperienza destinata a produrre frutti insigni di
santità nella Chiesa. Anche il successore di Innocenzo III,
il Papa Onorio III, con la sua bolla Cum dilecti del 1218 sostenne il singolare sviluppo
dei primi Frati Minori, che andavano aprendo le loro missioni in diversi paesi dell’Europa,
e persino in Marocco. Nel 1219 Francesco ottenne il permesso di recarsi a parlare,
in Egitto, con il sultano musulmano Melek-el-Kâmel, per predicare anche lì il Vangelo
di Gesù. Desidero sottolineare questo episodio della vita di san Francesco, che ha
una grande attualità. In un’epoca in cui era in atto uno scontro tra il Cristianesimo
e l’Islam, Francesco, armato volutamente solo della sua fede e della sua mitezza personale,
percorse con efficacia la via del dialogo. Le cronache ci parlano di un’accoglienza
benevola e cordiale ricevuta dal sultano musulmano. È un modello al quale anche oggi
dovrebbero ispirarsi i rapporti tra cristiani e musulmani: promuovere un dialogo nella
verità, nel rispetto reciproco e nella mutua comprensione (cfr Nostra Aetate, 3).
Sembra poi che nel 1220 Francesco abbia visitato la Terra Santa, gettando così un
seme, che avrebbe portato molto frutto: i suoi figli spirituali, infatti, fecero dei
Luoghi in cui visse Gesù un ambito privilegiato della loro missione. Con gratitudine
penso oggi ai grandi meriti della Custodia francescana di Terra Santa. Rientrato
in Italia, Francesco consegnò il governo dell’Ordine al suo vicario, fra Pietro Cattani,
mentre il Papa affidò alla protezione del Cardinal Ugolino, il futuro Sommo Pontefice
Gregorio IX, l’Ordine, che raccoglieva sempre più aderenti. Da parte sua il Fondatore,
tutto dedito alla predicazione che svolgeva con grande successo, redasse una Regola,
poi approvata dal Papa. Nel 1224, nell’eremo della Verna, Francesco vede
il Crocifisso nella forma di un serafino e dall’incontro con il serafino crocifisso,
ricevette le stimmate; egli diventa così uno col Cristo crocifisso: un dono, quindi,
che esprime la sua intima identificazione col Signore. La morte di Francesco
– il suo transitus - avvenne la sera del 3 ottobre 1226, alla Porziuncola. Dopo aver
benedetto i suoi figli spirituali, egli morì, disteso sulla nuda terra. Due anni più
tardi il Papa Gregorio IX lo iscrisse nell’albo dei santi. Poco tempo dopo, una grande
basilica in suo onore veniva innalzata ad Assisi, meta ancor oggi di moltissimi pellegrini,
che possono venerare la tomba del santo e godere la visione degli affreschi di Giotto,
pittore che ha illustrato in modo magnifico la vita di Francesco. È
stato detto che Francesco rappresenta un alter Christus, era veramente un’icona viva
di Cristo. Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”. In effetti, questo era il
suo ideale: essere come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente,
imitarne le virtù. In particolare, egli ha voluto dare un valore fondamentale alla
povertà interiore ed esteriore, insegnandola anche ai suoi figli spirituali. La prima
beatitudine del Discorso della Montagna - Beati i poveri in spirito perché di essi
è il regno dei cieli (Mt 5,3) - ha trovato una luminosa realizzazione nella vita e
nelle parole di san Francesco. Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti
della Bibbia; essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio, la rendono più che
mai attraente, così che parla realmente con noi. La testimonianza di Francesco, che
ha amato la povertà per seguire Cristo con dedizione e libertà totali, continua ad
essere anche per noi un invito a coltivare la povertà interiore per crescere nella
fiducia in Dio, unendo anche uno stile di vita sobrio e un distacco dai beni materiali. In
Francesco l’amore per Cristo si espresse in modo speciale nell’adorazione del Santissimo
Sacramento dell’Eucaristia. Nelle Fonti francescane si leggono espressioni commoventi,
come questa: “Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando
sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore
stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così
si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane” (Francesco
di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401). In
quest’anno sacerdotale, mi piace pure ricordare una raccomandazione rivolta da Francesco
ai sacerdoti: “Quando vorranno celebrare la Messa, puri in modo puro, facciano con
riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù
Cristo” (Francesco di Assisi, Scritti, 399). Francesco mostrava sempre una grande
deferenza verso i sacerdoti, e raccomandava di rispettarli sempre, anche nel caso
in cui fossero personalmente poco degni. Portava come motivazione di questo profondo
rispetto il fatto che essi hanno ricevuto il dono di consacrare l’Eucaristia. Cari
fratelli nel sacerdozio, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucaristia
ci chiede di essere puri, di vivere in modo coerente con il Mistero che celebriamo. Dall’amore
per Cristo nasce l’amore verso le persone e anche verso tutte le creature di Dio.
Ecco un altro tratto caratteristico della spiritualità di Francesco: il senso della
fraternità universale e l’amore per il creato, che gli ispirò il celebre Cantico delle
creature. È un messaggio molto attuale. Come ho ricordato nella mia recente Enciclica
Caritas in veritate, è sostenibile solo uno sviluppo che rispetti la creazione e che
non danneggi l’ambiente (cfr nn. 48-52), e nel Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace di quest’anno ho sottolineato che anche la costruzione di una pace solida
è legata al rispetto del creato. Francesco ci ricorda che nella creazione si dispiega
la sapienza e la benevolenza del Creatore. La natura è da lui intesa proprio come
un linguaggio nel quale Dio parla con noi, nel quale la realtà diventa trasparente
e possiamo noi parlare di Dio e con Dio. Cari amici, Francesco
è stato un grande santo e un uomo gioioso. La sua semplicità, la sua umiltà, la sua
fede, il suo amore per Cristo, la sua bontà verso ogni uomo e ogni donna l’hanno reso
lieto in ogni situazione. Infatti, tra la santità e la gioia sussiste un intimo e
indissolubile rapporto. Uno scrittore francese ha detto che al mondo vi è una sola
tristezza: quella di non essere santi, cioè di non essere vicini a Dio. Guardando
alla testimonianza di san Francesco, comprendiamo che è questo il segreto della vera
felicità: diventare santi, vicini a Dio! Ci ottenga la Vergine,
teneramente amata da Francesco, questo dono. Ci affidiamo a Lei con le parole stesse
del Poverello di Assisi: “Santa Maria Vergine, non vi è alcuna simile a te nata nel
mondo tra le donne, figlia e ancella dell’altissimo Re e Padre celeste, Madre del
santissimo Signor nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo: prega per noi...
presso il tuo santissimo diletto Figlio, Signore e Maestro” (Francesco di Assisi,
Scritti, 163).