Ad Haiti la terra continua a tremare: nella notte è stata registrata una scossa di
4.9 della scala Richter. Ieri, intanto, è stato salvato un uomo di 31 anni. Sembra
sia rimasto sotto le macerie per almeno 12 giorni dopo una delle tante scosse di assestamento
seguita al sisma del 12 gennaio. Nel Paese caraibico la priorità adesso è quella di
avviare l’iter della ricostruzione, come ribadisce al microfono di Emanuela Campanile,
il responsabile dell’area internazionale della Caritas italiana, Paolo Beccegato:
R. - La primissima
emergenza è finita o comunque sta finendo. Passiamo adesso alla fase successiva in
cui bisogna assistere migliaia di persone. Si parla di circa 800 mila persone che
sono in questo momento senza casa, soprattutto a Port-au-Prince. Si parla poi di 250
mila persone che sono già scappate dalla capitale. Contemporaneamente, bisogna pensare
anche a piani di più lungo periodo, come la ricostruzione delle case, delle strutture,
con progetti anche generanti reddito.
D. - Quali
sono le incognite più grandi quando si organizza una macchina di aiuti di questo genere?
R.
- C’è un problema enorme che è quello dell’aumentare dell’inflazione. C’è una scarsità
dell’offerta, soprattutto dei generi di prima necessità, dovuta a tutti i crolli e
alle difficoltà interne al Paese. Poi è chiaro che in questo caso oltre a normali
problemi di sicurezza, ad Haiti soprattutto il problema della violenza urbana è particolarmente
grave. Gli operatori umanitari rischiano in alcuni casi saccheggi o comunque possono
andare incontro a situazioni difficili. Poi il discorso della ricostruzione e dello
sviluppo in un Paese già colpito dalla povertà pone tutta una serie di difficoltà
e di sfide che ad Haiti diventano più complesse. Penso, ad esempio, al problema della
deforestazione. Haiti resta un Paese molto a rischio dal punto di vista della prevenzione
di uragani futuri. C’è dunque una serie di problemi che andranno considerati molto
attentamente nelle fasi successive.
D. - Il progetto
della Caritas è pluriennale. Si parla della ricostruzione di Haiti in 10 anni…
R.
– Sono state fatte delle stime ancora molto approssimative. Secondo una del governo
di Haiti sono necessari circa 3 miliardi di dollari per ricostruire solo la capitale.
Noi come rete Caritas cercheremo di fare la nostra parte in coordinamento. Adesso,
man mano che il tempo passa, sarà un po’ più facile sedersi attorno ad un tavolo e
definire ogni aspetto degli interventi. Le difficoltà di coordinamento restano ma
questo non vuol dire che non si stiano realizzando tanti progetti.
Esperti
delle Nazioni Unite inviati ad Haiti hanno espresso preoccupazione anche per gli ingenti
danni al patrimonio storico e culturale del Paese caraibico. Per la ricostruzione
del tessuto sociale occorre, secondo l’Onu, investire sull’istruzione. Ad Haiti, intanto,
il terremoto ha lasciato drammatiche e laceranti ferite anche nelle comunità di religiosi
e missionari. Ad essere colpiti sono stati, in particolare, i salesiani. Ascoltiamo,
al microfono di Fabio Colagrande, la giornalista Alessandra D’Asaro,
a seguito del Volontariato internazionale per lo sviluppo (Vis) raggiunta telefonicamente
a Port-au-Prince:
R. – I salesiani
sono presenti ad Haiti già dagli anni Trenta. Avevano 9 case, di cui 6 sono state
praticamente distrutte. In una di queste case, nella quale avevano una scuola che
era anche un centro di accoglienza per bambini di strada, sono morti 300 ragazzi.
Si deve poi sottolineare che i salesiani sono sempre stati per la popolazione di Haiti
un punto di riferimento. Il fatto che queste case siano crollate a causa del terremoto
rappresenta un problema non soltanto per i salesiani, ma anche per la popolazione
stessa.
D. – Come si sono organizzati i missionari
sopravvissuti dopo il terremoto?
R. – Continuano
a vivere nelle case diroccate e dormono nelle tende. Nella comunità dei salesiani
tre sacerdoti sono morti a causa del terremoto. Alcuni si sono salvati ed uno in particolare
- padre Attilio - ora si trova all’ospedale di Santo Domingo. Ovviamente sono tutti
sotto shock.
D. – Stanno provando lo stesso ad offrire
il loro aiuto alla popolazione?
R. – Sì! Nella filosofia
di Don Bosco c’è sempre un campo di calcio in ogni casa salesiana. In questi momenti
il campo di calcio sta diventando un grande centro di accoglienza per tendopoli improvvisate.
Ce ne è uno in particolare dove sono accolte circa 700 famiglie, alle quali viene
dato anche da mangiare.
D. – Quale è la situazione
ad Haiti?
R. – E’ drammatica. Gli haitiani sono diventati
un popolo nomade. I cadaveri non ci sono più per le strade, ma si continua a sentire
un odore forte. Questo fa pensare che sotto le macerie ci siano ancora migliaia di
persone.
D. – In Italia prosegue la polemica sulla
disorganizzazione dei soccorsi. Quale è stata l’impressione che hai avuto sul campo?
R.
– Sicuramente si può dire che c’è stata una difficoltà nell’organizzazione. Chi arriva
adesso ad Haiti, però, non ha idea della situazione dei primi giorni successivi alla
scossa. C’erano cadaveri per le strade, non si riusciva a camminare a causa delle
macerie ed era molto difficile soccorrere i sopravvissuti. A causa del terremoto sono
morti molti dirigenti sia delle Nazioni Unite sia di tutto il governo haitiano. Era
veramente complicato, quindi, coordinare tutto.
D.
– Di cosa c’è bisogno? Di denaro, di aiuti?
R. –
In questo momento c’è bisogno di denaro. Per quanto riguarda gli aiuti, invece, si
è addirittura creato un “tappo” all’aeroporto di Port-au-Prince. Se si riuscisse a
dare qualche somma di denaro anche proprio alle comunità di religiosi presenti ad
Haiti, sarebbe certamente l’opera migliore che in questo momento si possa fare.