2010-01-24 14:02:49

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma, grande contributo al dialogo tra ebrei e cattolici: così il rabbino David Rosen:


Una strada “lunga”, che viene da un passato anche difficile, ma non lastricata di “ostacoli insormontabili”. E’ così che vede l’evoluzione del dialogo tra ebrei e cattolici il rabbino David Rosen, direttore dell'American Jewish Committee, che si sofferma con parole molto positive sulla recente visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma. L’intervista è di Philippa Hitchen:RealAudioMP3

R. – We are involved in a process; people have forgotten that there were lots of …
Siamo nel pieno di un processo evolutivo. La gente ha dimenticato che molte persone non erano nemmeno favorevoli alla visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga. Qui, in Italia, ci fu una grossa discussione su quella opportunità, molti dibattiti: la gente ha dimenticato tutto questo. Hanno dimenticato anche che tutto il lavoro fatto per riavvicinare i lefebvriani di fatto fu iniziato da Giovanni Paolo II, mentre oggi è Benedetto XVI che viene reso responsabile di tutto. Come ho già detto, io spero che questi eventi mettano a tacere tante paure e tanti sospetti. Non ci si riuscirà sempre. Ma noi continueremo a lavorare: alcuni riusciremo a convincerli, nel tempo, ed altri no. Ma questa evoluzione nei rapporti cattolico-ebraici è ormai troppo grande, troppo importante perché si possa consentire ad uno solo di questi sospetti di boicottarla o comunque di metterla in qualsiasi modo in seria difficoltà.

 
D. – Eppure, l’ambasciatore d’Israele a Roma recentemente ha fatto notare che la maggioranza degli ebrei – forse si riferiva a Israele – non è interessata, non vede la necessità di un dialogo…

 
R. – We all know the difference between the optimist and the pessimist. …
Noi tutti conosciamo la differenza tra l’ottimista e il pessimista. Ma perché l’ottimista vede il bicchiere mezzo pieno e il pessimista lo vede mezzo vuoto? Dipende dal punto di vista. Il pessimista guarda dall’alto, e si aspetta di vedere un bicchiere pieno: per questo vede che manca qualcosa e se ne disturba molto. L’ottimista, invece, guarda da sotto e vede che, all’inizio, il bicchiere era vuoto e quindi ora vede tutto quello che c’è dentro e questo lo rende felice. Oggettivamente parlando, la strada da fare è ancora lunghissima perché le ferite della storia sono molto profonde, e perché, in definitiva, la Nostra Aetate ha solo 50 anni, che in termini relativi è un lasso di tempo molto breve. Il cambiamento veramente forte è avvenuto con la visita di Giovanni Paolo II in Israele. Quello che è importante comprendere in Israele - per quanto riguarda l’articolo dell’ambasciatore israeliano - è che la grande maggioranza di ebrei non ha mai incontrato un cristiano del mondo di oggi: anche se vanno all’estero, incontrano i “non-ebrei” come tali, appunto, e non come “cristiani”. Per questo, l’idea che hanno della cristianità è derivata soltanto dal passato, negativo e tragico. C’è una frase famosa di padre Edward Flannery, tratta dal suo libro “The Anguish of the Jews” (L’angoscia degli ebrei), che dice così: “Gli ebrei hanno imparato a memoria quelle pagine della storia che i cristiani hanno strappato”. Ecco: esiste una memoria profondamente traumatizzata, che viene potentemente lenita da un incontro positivo, quando questo avviene. Ma la grande maggioranza degli israeliani non ha l’occasione di un simile incontro positivo: questo è il potere delle immagini ed è per questo che è stata così importante la visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa, che sia stato visto al Muro del Pianto in solidarietà orante con la tradizione ebraica, e così pure il testo della sua preghiera, che chiedeva perdono a Dio per i peccati commessi dai cristiani contro gli ebrei nel corso dei secoli; o anche la sua presenza allo Yad Vashem, al Memoriale dell’Olocausto, con lacrime di compassione per le sofferenze degli ebrei. Tutto questo ha profondamente commosso gli israeliani e ha fatto loro comprendere che c’è stato veramente un cambiamento. In modo similare, ci sono stati alcuni che - in funzione delle difficoltà che sono nate durante il Pontificato di Benedetto XVI - hanno sollevato questioni durante la sua visita in Israele: tuttavia, parlando in termini generali - e anche se non tutti i media lo hanno sottolineato – questa visita è stata un grande successo. E la visita, domenica scorsa, alla Sinagoga credo che sia un grande contributo. Quindi, rispetto al punto al quale ci trovavamo dieci anni fa abbiamo percorso molta strada in un importante processo di “riparazione”. La strada da fare è ancora molto lunga? Sì. E’ insormontabile? Certamente no.







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