Polemiche dopo l'inserimento delle coppie di fatto nelle graduatorie per le case popolari
a Venezia
Il Consiglio comunale di Venezia ha deciso di aprire le graduatorie delle case popolari
anche alle coppie di fatto, etero e non, accogliendo così una proposta avanzata da
Rifondazione Comunista. Per ottenere punti in graduatoria, le coppie di fatto dovranno
esibire la certificazione dell’avvio della loro coabitazione. Secondo la normativa
regionale, coppie sposate e non avranno lo stesso numero di punti. Debora Donnini
ha chiesto un commento a Francesco Belletti, presidente del Forum delle Associazioni
Familiari:
R. – Noi
siamo assolutamente contrari a iniziative di questo tipo perché si tratta di minacciare
l’identità stessa della famiglia. Non si tratta di negare l’accesso ai servizi a nessuno,
ma di fare politiche distintive. L’identità della famiglia è definita dall’articolo
29 della Costituzione ossia dal matrimonio che è un impegno pubblico e attribuisce
diritti e doveri. Assimilare le coppie di fatto ad una coppia legalmente costituita
è un’azione che genera iniquità e disparità proprio nell’accesso ai servizi.
D.
– Un legame fondato sul matrimonio fra un uomo e una donna …
R.
– Questo fa parte del dettato costituzionale, secondo tutti gli interpreti. Nell’articolo
29 non è esplicito perché quando è stata scritta la Costituzione era talmente evidente
che il matrimonio fosse tra un uomo e una donna...
D.
– Quanto peserà essere famiglie fondate sul matrimonio in termini di possibilità di
accesso alle case popolari?
R. – Le graduatorie si
fanno dando pesi giusti alle singole variabili: se uno sposta la rilevanza di alcune
questioni, si fa in fretta ad uscire dalla graduatoria. Ad esempio, nel film “Casomai”,
riguardo alla lista d’attesa per l’asilo nido si chiedeva se i protagonisti fossero
sposati o separati. Nel secondo caso il posto era assicurato. L’equilibrio dunque
nell’accesso ai servizi andrebbe ripensato in modo radicale.
D.
– Le coppie fondate sul matrimonio, in questo caso, si troveranno a concorrere con
le coppie di fatto anche omosessuali?
R. – Ma sì!
E poi forse avranno il vantaggio di poter presentare certificazioni di reddito distinte.
E’ una questione molto complicata; è un “cavallo di Troia” nel tentativo di assimilare
cose diverse per renderle uguali. La coppia di fatto, proprio per la sua intenzionalità,
per la libera scelta delle persone, non è uguale alla coppia fondata sul matrimonio.
D.
– A sostegno di questa decisione viene citato un decreto del presidente della Repubblica
del 1989, applicato negli Uffici di anagrafe d’Italia, in cui si afferma che, agli
effetti anagrafici, per famiglia si intende “un insieme di persone legati da vincoli
di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti
ed aventi dimora abituale nello stesso Comune…”
R.
– Questo è un articolo dentro ad un provvedimento che costruiva i sistemi demografici,
cioè per leggere dove stanno le persone in Italia; quindi è una definizione “amministrativa”
di famiglia. La definizione che conta, nel nostro Paese, è quella della Carta Costituzionale.
Questo è un corto circuito giuridico che viene usato appunto in modo strumentale e
noi continueremo a dire che è un modo inappropriato ed ingiusto di gestire le politiche
per la famiglia.