Il cardinale Sandri alla Roaco: l'Eritrea si apra al mondo!
Si è conclusa oggi in Vaticano l’assemblea della Roaco, l’organismo che coordina le
opere in aiuto alle Chiese Orientali. Al centro dell’appuntamento, tra i vari temi,
la situazione dei cristiani in Eritrea: un Paese molto provato, come ha detto - al
microfono di Romilda Ferrauto - il cardinale Leonardo Sandri, prefetto
della Congregazione per le Chiese Orientali e presidente della Roaco:
R.
– La Congregazione voleva sottoporre all’attenzione di tutti i membri della Roaco
la situazione di quel Paese, molto provato dal punto di vista economico, sociale con
grandissima povertà, con tanta sofferenza anche dal punto di vista politico e sociale,
perché di per sé c’è una grande mancanza di tutto quello che si riferisce ai diritti
umani, alla dignità umana, alle libertà individuali. Il Paese è dominato da questa
prospettiva militare di una possibile guerra e quindi tutti sono sottoposti ai condizionamenti
della guerra. Per esempio, i nostri cristiani, i nostri seminaristi, i nostri sacerdoti
non possono partire – gli uomini – prima dei 48-50 anni: immagini, per farli studiare
qui, a Roma, o in altre parti.
D. – Dunque avete difficoltà
perfino per venire loro in aiuto, per farli studiare all’estero, per la formazione
nei seminari?
R. – Esattamente. Tutto il condizionamento
della vita politica e sociale influisce anche sulla vita della Chiesa. Evidentemente,
per poter portare avanti l’educazione, l’assistenza sanitaria, tutte le opere della
Chiesa c’è bisogno di poter avere anche aiuto esterno. Quindi, possiamo dire che vogliamo
che il mondo, che le autorità internazionali abbiano un’attenzione speciale nei riguardi
di questo Paese in modo da aiutarlo a risolvere i conflitti in sospeso che pesano
su questo Paese, soprattutto quello con l’Etiopia, affinché non ci sia più lo spauracchio
della guerra che domina tutta l’attività interna del Paese. E poi, che tutte le agenzie
cattoliche internazionali possano portare il loro aiuto a questi nostri fratelli che
vivono in una povertà estrema e nella sofferenza.
D.
– Avete la sensazione, quindi, che questa situazione non sia abbastanza conosciuta,
non sia presa sufficientemente sul serio dalla comunità internazionale?
R.
– Ripeto le parole che ha detto il nunzio apostolico, che ci ha riferito le sue impressioni
su questo Paese: “Sono sorpreso che l’Eritrea sia portata proprio al centro dell’attenzione
della vostra riunione, perché - benché ci siano anche delle sanzioni delle Nazioni
Unite contro l’Eritrea, per il sostegno dato alle bande armate che operano in Somalia
- non c’è un’attenzione continua per aiutare questo Paese ad uscire dalla situazione
in cui si trova dal punto di vista sociale, politico, economico e alla sofferenza
della gente. Qui stiamo parlando di uno dei Paesi più poveri del mondo, e le vittime
– i bambini, le donne, quelli che soffrono di più – hanno bisogno dell’aiuto dall’estero!
D.
– Ma qualcosa si può fare?
R. – Qualcosa si può fare,
e soprattutto speriamo bene che si possa raggiungere la pace, che è alla base di tutta
l’attività sia della società civile, sia della Chiesa. Noi aiutiamo i nostri tre eparchi,
cerchiamo di dare loro tutto l’aiuto per le opere educative, per le opere assistenziali,
per le cliniche, per i seminari, per la formazione dei giovani … Però, ripeto, sono
sempre un aiuto ed una vicinanza molto condizionati da questa situazione. Speriamo
che il Signore con la sua grazia possa illuminare anche le menti dei governanti perché
si aprano al mondo. Ricordo sempre le parole di Giovanni Paolo II durante la sua visita
a Cuba, e le applico – con le dovute proporzioni – alla situazione dell’Eritrea: “Eritrea,
apriti al mondo!”.