Haiti: le difficoltà non fermano la solidarietà internazionale
Ad Haiti sono almeno settantamila i cadaveri seppelliti in fosse comuni dopo il terremoto
che ha sconvolto il Paese. Secondo una stima fornita da esperti americani, i morti
potrebbero essere oltre 200 mila. Circa 100 bambini sarebbero rimasti sepolti sotto
le macerie di una scuola crollata nel villaggio di Leogane. Lo riporta la Cnn. Leogane,
a pochi chilometri dall'epicentro del terremoto, è stata completamente distrutta.
Intanto, secondo la Croce Rossa aumentano violenze e saccheggi. Ma in questo tragico
scenario non mancano segnali di speranza: a Port-au-Prince altre due persone sono
state salvate dalle macerie. E nel solco della speranza c'è da sottolineare la vasta
solidarietà internazionale per Haiti: in questo contesto si collocano anche le iniziative
della Chiesa con il Pontificio Consiglio Cor Unum e le Caritas di tutto il mondo.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Ad Haiti
si continua a scavare nella speranza di trovare persone ancora in vita oltre cumuli
di cemento, mattoni e calcinacci. Finora, 62 persone sono state salvate dalle macerie.
Il Paese è un groviglio di rovine e il governo ha dichiarato lo stato di emergenza
fino alla fine di gennaio e un periodo di lutto nazionale di un mese. I Paesi che
stanno aiutando economicamente Haiti si riuniranno il 25 gennaio a Montreal,
in Canada, per pianificare la ricostruzione e affidare all’Onu il compito di coordinare
gli aiuti internazionali. La comunità internazionale si è mobilitata in massa per
aiutare il Paese più povero del continente americano, ma sono molteplici gli ostacoli
per la macchina dei soccorsi: a Port-au-Prince l’aeroporto è ingolfato, il porto è
distrutto e molte strade non sono percorribili. Gli Stati Uniti intendono inviare
più truppe per partecipare alle operazioni di soccorso. Circa 2.200 i marines - dotati
di attrezzature per rimuovere le macerie, aiuti sanitari ed elicotteri - andranno
ad aggiungersi agli oltre 5.000 soldati americani già presenti nella regione. Nella
capitale i sopravvissuti vivono ammassati in bidonville improvvisate. L’Onu riferisce
che sono in corso operazioni di distribuzione di aiuti ma rifugi, impianti igienici,
acqua e cure mediche restano “estremamamente limitati”. La priorità è quella di evitare
una catastrofe sanitaria, alimentata da colera ed epidemie. A rendere difficili le
operazioni di soccorso sono anche i molteplici episodi di violenza e sciacallaggio.
La Chiesa è in prima linea per aiutare la popolazione del Paese caraibico. Alla luce
della richiesta del Pontificio Consiglio Cor Unum, il Catholic Relief Services (Crs)
– l’agenzia internazionale umanitaria dei vescovi degli Stati Uniti, ha promosso una
serie di incontri con i presuli di Haiti e diverse agenzie caritative cattoliche per
rispondere alla drammatica emergenza provocata dal terremoto. L’agenzia Crs – si legge
nel comunicato di Cor Unum – si è immediatamente attivata per fornire cibo, acqua,
vestiti, alloggi e assistenza medica. La distribuzione degli aiuti è assicurata in
12 siti. Personale e beni di prima necessità continuano ad arrivare dalla vicina Repubblica
Dominicana e da altri Paesi. Come nel caso di disastri precedenti – sottolinea Cor
Unum – è di nuovo manifesta “la generosità concreta della Chiesa, di istituzioni e
privati in tutto il mondo”. Il nunzio apostolico in Haiti, l’arcivescovo Bernardito
Auza, sta visitando le zone colpite dal terremoto, in particolare le comunità ecclesiali.
Dalla Caritas della Repubblica Dominicana sono arrivati venti camion e una nave con
80 cointainer di cibo. Le organizzazioni della rete Caritas hanno inviato coperte,
tende e taniche d’acqua. Finora la Caritas Haiti ha aiutato oltre 3 mila famiglie.
Nelle prossime settimane si prevede di raggiungere 100 mila persone. La Chiesa italiana
ha indetto per domenica prossima una raccolta straordinaria in tutte le parrocchie.
Iniziative e progetti sono infine promossi, tra gli altri, dall’organizzazione spagnola
Manos Unidas, dal Sovrano Ordine di Malta e dall’Avsi. Gli operatori dell’Associazione
Volontari per il Servizio Internazionale (Avsi) sono dunque ad Haiti per cercare di
sostenere la popolazione in questo drammatico momento. In un Paese dove case ed edifici
sono crollati come cartapesta la priorità adesso è di fornire cibo, acqua e rifugi.
E’ quanto sottolinea, al microfono di Gabriella Ceraso, il segretario generale
dell’Avsi Alberto Piatti:
R. – Quello
che stiamo facendo adesso è creare, per quello che è possibile, dei rifugi improvvisati,
gli “shelter”, soprattutto nella baraccopoli di Cité Soleil, dove i bambini possano
essere accuditi, rifocillati e rivestiti. La gente in questo momento ha bisogno di
avere un materasso dove dormire, un telo con cui coprirsi, qualcosa da mangiare ma
soprattutto acqua potabile. D. – La situazione sul terreno
qual è? R. – Si temono due fattori. Il primo è quello di possibili
epidemie e l’altro è quello delle rivolte. Hanno fatto dei blocchi stradali con dei
cadaveri; poi è intervenuta la forza delle Nazioni Unite per rimuoverli. Seppur contenuto,
comunque qualche episodio di violenza c’è: per questo la nostra è una presenza rassicurante
che calma anche gli animi. D. – Quante persone state riuscendo
ad assistere per ora? R. – In questo momento sono un migliaio
di persone, però vorremmo riuscire ad arrivare – appena le possibilità di spostamento
saranno più favorevoli – a raggiungere le settemila persone con cui da dieci anni
siamo in contatto. Abbiamo già portato tre carichi di coperte e teli per tende improvvisate
da Santo Domingo. Cominciamo già a distribuirle. D. – A proposito
degli aiuti, c’è una polemica sul fatto che siano lenti o che non siano ben distribuiti… R.
– Evidentemente questa massa di aiuti deve passare per due strozzature: il porto,
che è inagibile e l’aeroporto. Fin quando non aprono, come stanno dicendo, a Les Cayes,
e riattivano la pista a sud del Paese, l’unico ingresso in questo momento è l’aeroporto.
Il porto di Porte-au-Prince è inagibile. Quindi gli aiuti arrivano con piccole imbarcazioni. D.
– Le cose di cui c’è bisogno per voi quali sono? R. – La cosa
migliore è non mandare materiali, perché – come abbiamo detto prima – c’è una strozzatura.
E’ necessario poter disporre di somme di denaro affinché si possa comprare in loco
ciò che serve in modo molto mirato e preciso.