Il dramma di Haiti: un Paese da ricostruire. La mobilitazione della Chiesa
A quattro giorni dal terremoto che ha devastato Haiti è ancora impossibile fare un
bilancio delle vittime. Si temono 200 mila morti, 40 mila i cadaveri sotterrati mentre
prosegue l’opera dei soccorritori: una bambina di due anni è stata trovata viva oggi
sotto le macerie della sua scuola materna; solo ieri altre 23 persone era state salvate
tra i resti di un hotel. L’Onu ha fatto sapere che la priorità è quella di cercare
i sopravvissuti ma la preoccupazione più grande è il pericolo di epidemie: e si temono
anche rivolte. Si tratta – fanno sapere – del peggior disastro mai affrontato. La
Chiesa è in prima fila negli aiuti attraverso la fitta rete di Caritas e associazioni.
Il servizio di Benedetta Capelli:
I soccorritori
non si arrendono. Si cercano i sopravvissuti, si continua a scavare tra le macerie
grazie al clima favorevole e al tipo di strutture cadute. Sono tanti i bambini che,
piccolissimi, hanno avuto la fortuna di rimanere intrappolati negli ampi varchi creati
dai crolli e quindi di non restare schiacciati. Per le strade di Pourt-au-Prince
si comincia a respirare un clima di tensione, ci sono centinaia e centinaia di cadaveri
per le strade, in migliaia cercano cibo e acqua. Almeno seimila detenuti sono scappati
dalle carceri. Alcuni spari sono risuonati per le vie probabilmente per scongiurare
razzie e saccheggi. Moltissimi haitiani si sono spinti verso la Repubblica Domenicana
in cerca di approvvigionamento. Ma ascoltiamo alcune testimonianze da Haiti
raccolte dalla Cnn, iniziando da quella di due sorelle americane, Jamie
ed Ellie, che da più di 3 anni gestiscono a Port-au-Prince un orfanatrofio. Sono moltissimi
i bimbi rimasti soli e che vagano per le strade della capitale. L’istituto, nonostante
il devastante terremoto, ha invece retto e i suoi ospiti, 25 orfanelli, si sono salvati:
“It’s
backling and we can hear noises like it’s falling … Tutto l’edificio
si muove e sentiamo rumori come se stesse per crollare. Quindi, certamente non torneremo
più dentro. I nostri piccoli sono salvi e tranquilli. Ma abbiamo bisogno di cibo e
acqua. Questi bambini sono in attesa di essere adottati da famiglie americane. In
condizioni normali, questa procedura richiede un anno e mezzo o più, a causa della
burocrazia sia haitiana che americana. Ma ora tutti i loro documenti non ci sono più.
Che ne sarà di loro?”
“Un mur s'est écroulé sur
mon fils… Un muro è crollato suo mio figlio, Gabriel, e l’ha ucciso.
Aveva sette anni. Ora non so cosa farò: non ho denaro, non ho niente da dare da mangiare
ai figli che mi sono rimasti, non ho acqua, non so cosa farò…”
“Fifteen
minutes after… Quindici minuti dopo che l’ho tirata fuori dalle
macerie, mia moglie è morta. Ho fatto quello che potevo, ma non avevo gli strumenti
per fare presto. Le parlavo, le davo da mangiare, lei piangeva. Ora aspetto di seppellirla…”
“I
cannot even find the right way… Non riesco nemmeno a trovare il modo
giusto per descrivere cosa ho provato quando mi hanno salvata; quando ho sentito le
voci dei soccorritori che mi chiamavano mi sono detta: “Non morirò”. Sono rimasta
sotto le macerie due giorni. Ma non ho mai pensato di morire; pensavo ai miei genitori
e non volevo che perdessero la loro unica figlia. Poi devo dire che non ho mai, mai
smesso di pregare. E sono molto grata di non avere mai perso la fede. Ringraziavo
Dio, per essermi trovata in un luogo dove ero protetta ...”
In questo
contesto di desolazione e morte, ma anche di speranza, cominciano ad arrivare gli
aiuti internazionali: grandi le difficoltà organizzative e logistiche. Sono però numerosi
gli esempi di solidarietà, la Croce Rossa americana ha registrato una raccolta record
via sms pari a oltre 10milioni di dollari. Notevole lo sforzo delle Caritas di tutto
il mondo che hanno subito raccolto l’appello del Papa ad intervenire in favore del
popolo haitiano. Al microfono della nostra collega inglese Irene Lagan
ascoltiamo il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo
di Tegucigalpa, e presidente della Caritas Internationalis:
R. – E’
una delle tragedie più grandi che abbiamo avuto nel nostro continente, in uno dei
Paesi più poveri, che si trova in grandissima difficoltà. La Caritas Internationalis
ha già iniziato a distribuire tende, coperte, sta prestando i primi soccorsi, e verranno
forniti alimenti, generi di prima necessità ed utilizzati circa 200 centri sanitari
per offrire cure mediche. Il nostro segretario della Regione di Messico e America
Centrale è già ad Haiti. Francia, Stati Uniti, Svizzera avevano del personale ad Haiti
ancora prima del terremoto. Il nostro team internazionale della Caritas include anche
Austria, Germania, Messico e Olanda. La maggior parte delle chiese sono crollate,
inclusa la cattedrale di Port-au-Prince. Seminari, scuole, case religiose sono state
gravemente danneggiate. Con grande dolore sappiamo che l’arcivescovo di Port-au-Prince,
mons. Serge Miot, è deceduto. Noi esprimiamo il nostro dolore ai nostri
fratelli e sorelle di Haiti e a tutte le vittime del terremoto. E’ veramente una tragedia.
Arriverà
oggi sull’isola il segretario di Stato americano Hillary Clinton che avrà un incontro
con il presidente Preval. Lo stesso capo di Stato oggi ha parlato con il segretario
generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon che domani si recherà ad Haiti. Uno scenario
devastante è quello raccontato dal padre camilliano Gianfranco Lovera,
raggiunto telefonicamente ad Haiti. Così descrive i primi momenti del terremoto:
R.
– Dal primo piano del mio studio ho sentito un grande sibilo, un rumore forte. I muri
mi sembravano di gomma, non potevo muovermi assolutamente, perché ero sbattuto per
terra. Ho detto: “Ecco, è il momento di andare dal Signore”. E’ durato non so quanto.
Poi sono sceso e, arrivato al cancello, mi vedo subito una madre con un bimbo tra
le braccia, con la testa spaccata in due, un bimbo di tre anni, che questa donna aveva
a lungo atteso e che io avevo a lungo aiutato. Mi dice: “Padre, eccolo qui”. E poi
non c’è più stato tempo di riflettere: feriti, urla, sangue, odore di sangue. Insomma,
una cosa incredibile.
D. – Qual è la situazione?
R.
– La situazione è una situazione terribile, una situazione di morte. La Port-au-Prince
che noi conoscevamo fino ad alcuni giorni fa non esiste più. E’ crollato quasi tutto.
Sono morti personaggi illustri. E’ morto il nostro vescovo, sono morti un sacco di
seminaristi. Quelli del nostro istituto, per fortuna, sono tutti vivi. In questo momento
le strade sono ancora disseminate di morti, che stanno raccogliendo per portarli fuori
nelle fosse comuni. Sono inebetito. Siamo sconcertati. Ci sembra di vivere un incubo.
D.
– Per quanto riguarda la vostra struttura, il vostro ospedale?
R.
– Noi abbiamo un ospedale e, fortunatamente, i muri sono lesionati ma hanno retto.
Stiamo curando tantissimi ammalati, tantissimi feriti. Sono già venute più di 500
persone in questi due giorni e le abbiamo già dimesse. Si lavora ad un grosso ritmo
insomma.
D. – E di cosa avete bisogno?
R.
– Noi abbiamo bisogno di tutto. Anzitutto, in questo momento di anestetici, di antibiotici,
abbiamo bisogno di mangiare: la gente ha fame. Se il mondo sapesse cosa vuol dire
avere fame!
D. – Qual è la sua speranza per questa
popolazione e per questo Paese, uno tra i più poveri al mondo?
R.
– La mia speranza è che questo popolo non perda la speranza e che continui a pregare
come, in fondo, fa. Ero qui in mezzo ai feriti e ai morti, ad un tappeto di feriti
e di morti, e mi commuoveva sentire cantare dalla gente i loro salmi, potrei dire,
al Signore. Mi sembravano i Salmi della Bibbia: “Signore perché ci hai abbandonati?
Signore perché è morto mio figlio, mia figlia? Perché è crollato tutto?” Io prego
solo che questo popolo non perda la speranza e che continui nonostante tutto ad avere
questa forza, che dà loro solo Dio, che non è una rassegnazione, ma credo sia in fondo,
una vera fede.