Terremoto Haiti. A rilento i soccorsi, è paura epidemie
Si continua a scavare ad Haiti, devastata dal sisma di tre giorni fa: è corsa contro
il tempo nel tentativo di ritrovare ancora vite umane. 50 mila i morti secondo la
croce rossa, ma si teme che le vittime possano essere alcune centinaia di migliaia.
23 i corpi estratti vivi dal crollo dell’Hotel Montana a Port au Prince. E mentre
prosegue anche la corsa agli aiuti umanitari è polemica sul ritardo delle operazioni
di soccorso. Dal segretario generale dell’Onu Ban Ki Moon appello alla comunità internazionale:
servono 550 milioni di dollari per l’emergenza. Stanziati già oltre 185 milioni.
Il servizio è di Paolo Ondarza:
Ascoltiamo
alcune drammatiche testimonianze di cittadini haitiani raccolte dalla Bbc:
“That was my
father’s house… Quella era la casa di mio padre. Non c’è più, è crollata…qui sotto
le macerie c’è qualcuno, ci sono alcune persone, ma non riusciamo a salvarle: non
abbiamo una scavatrice per tirarle fuori!”
“Many people died... Sono morte
molte persone! Abbiamo bisogno dell’aiuto internazionale! Servono aiuti d’emergenza!
Non c’è più ospedale, non c’è più l’elettricità, niente! Non c’è telefono, non c’è
più cibo, né acqua, niente! Troppe persone sono morte!”
“My daughter is lying
... Mia figlia giace come spazzatura, lì per terra, morta, non posso lasciarla
così! E’ stata estratta da sotto le macerie di una scuola”
“I’m happy ... Io
sono felice, sono vivo, ho perso tutto ma sono vivo! Questa è la cosa più importante”.
“I
need help... Ho bisogno di aiuto. Mia figlia è ferita, sta lottando per sopravvivere
ma ho bisogno di aiuto. In quest’ospedale non c’è aiuto. Mia figlia sta morendo. Vuole
lottare. Ha bisogno di andare in sala operatoria, ma non c’è più nessuno, non c’è
aiuto. Cerco di salvare almeno lei: mia figlia più piccola è morta, sepolta dalle
macerie non so dove, così mia nonna, anche lei è sepolta da qualche parte. Ma adesso
sto lottando con tutte le forze per salvare questa piccola, per cercare di tenerla
in vita.
Il dramma mostra scenari impensati: Cuba ha aperto il proprio spazio
aereo agli Stati Uniti per i voli umanitari e il trasporto dei feriti. Nel Paese caraibico
intanto agli aiuti della comunità internazionale si aggiungono quelli preziosi della
Chiesa, come conferma al microfono di Amedeo Lomonaco Alessandra Arcidiacono,
del Dipartimento emergenze della Caritas Internationalis:
R. – La Caritas
Internationalis ha iniziato immediatamente la distribuzione di coperte e tende alla
popolazione colpita. Fornisce anche assistenza medico-sanitaria. La prima consegna
di alimenti avverrà proprio questo pomeriggio a Port-au-Prince; razioni alimentari
vengono preparate proprio in questo momento da volontari, che stanno lavorando però
a Santo Domingo. Da Santo Domingo le razioni verranno poi spedite a Port-au-Prince.
La Caritas Internationalis cercherà di portare i primi aiuti sanitari e quindi anche
cibo ed acqua potabile. Si preoccupa di fornire riparo anche se temporaneo. Il presidente
di Caritas Haiti ha lanciato appelli alla calma, alla pace per evitare episodi di
violenza.
D. – Ci sono altre iniziative previste in futuro per rispondere anche
agli appelli lanciati in questi giorni dal Papa?
R. – Stiamo cercando proprio
di organizzare una risposta più forte. Adesso stiamo mobilitando tutta la nostra concertazione.
Tutte le Caritas nazionali si stanno muovendo. Stiamo creando anche una squadra di
rappresentanti Caritas come appoggio alla Caritas Haiti sul posto. Il cardinale Oscar
Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente di Caritas Internationalis, ha anche lanciato
un appello alla Comunità internazionale, richiamando alla solidarietà. La prossima
domenica alcune Caritas hanno promosso la lettura di una preghiera speciale durante
la Santa Messa per le vittime del sisma, con annessa raccolta fondi.
Al rischio
di epidemie si aggiunge adesso a Port-au-Prince il dramma delle rivolte. Nelle ultime
ore si segnalano numerosi saccheggi di negozi. Bande armate sono attive nel cuore
del centro commerciale ridotto ora ad un ammasso di macerie. Dalle prigioni sono fuggite
migliaia di detenuti e persone esasperate per i ritardi negli aiuti hanno addirittura
eretto blocchi stradali utilizzando i cadaveri. Secondo diversi osservatori è anche
alto il rischio che qualcuno possa approfittare della situazione per conquistare il
potere con le armi. Molti deputati e senatori sono morti, il presidente René Preval
ha ammesso di non avere più un ufficio. Al microfono di Amedeo Lomonaco l’addetto
stampa delle Nazioni Unite per l’Italia, Fabio Graziosi:
R. – Il primo
ministro haitiano ha espressamente rivolto alle Nazioni Unite la preoccupazione di
tutto il governo perché non si riescono a trovare strutture presso le quali iniziare
a ricominciare il lavoro. La polizia locale sembra non essere più presente. Naturalmente,
vista la latitanza della struttura governativa, di fatto la popolazione si attende
azioni da parte della missione Onu.
D. – Come procede il coordinamento degli
aiuti delle Nazioni Unite per far fronte all’emergenza?
R. – Le Nazioni Unite
stanno già predisponendo, sulla base della struttura esistente, un’attività di coordinamento.
Questo è un punto che Ban Ki-moon ha espresso chiaramente fin da subito, basandosi
anche sull’esperienza dello tsunami di cinque anni fa. Si tratta cioè di garantire
un ruolo di coordinamento per le Nazioni Unite, in modo che si possa il più efficacemente
possibile utilizzare tutto quel gran flusso di aiuti che la comunità internazionale
ha promesso ai vari livelli: a livello privato, a livello delle organizzazioni non
governative, e delle agenzie nazionali per lo sviluppo. Il problema successivo sarà
quello di organizzare e dare sicurezza alle attività di distribuzione degli aiuti.
Dopo
lo shock e il caos iniziale, ad Haiti cominciano quindi ad arrivare i primi aiuti:
generi di prima necessità ma anche soccorritori, team di medici e materiale per ospedali
da campo. Il presidente americano Barack Obama ha promesso “uno dei più grandi sforzi
umanitari della storia” degli Usa. La macchina dei soccorsi può far affidamento, in
particolare, sul prezioso aiuto assicurato dalla confinante Repubblica Dominicana.
Ascoltiamo al microfono di Luca Collodi la direttrice ente turismo della Repubblica
Dominicana, Neyda Garcia Castillo:
R. – Già da
martedì sera e mercoledì mattina, tutti gli ospedali dominicani si sono messi a disposizione.
Il presidente della Repubblica Dominicana ha messo a disposizione tutti i mezzi di
trasporto; ha messo a disposizione i militari in modo da aiutare gli haitiani ad attraversare
la frontiera e ad andare in ospedale. In questo momento, tutti gli ospedali dominicani
sono al servizio dei feriti haitiani, come è nostro dovere, essendo nostri vicini.
D.
– Molti haitiani stanno cercando di entrare nella Repubblica Dominicana per avere
i primi aiuti...
R. – Siamo noi che stiamo prendendo gli haitiani e li stiamo
portando nella Repubblica Dominicana, soprattutto in ospedale per curarli. Tutti quanti
siamo vicini ai nostri connazionali e siamo vicini agli haitiani per aiutarli in questa
disgrazia, per aiutarli a passare la notte in modo umano.
Anche dall’Italia
è previsto l’invio di aiuti per la popolazione di Haiti. Al microfono di Luca Collodi
il generale Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore della Difesa:
R. – Credo che
questa sia una circostanza in cui la piena disponibilità delle risorse umane, tecniche,
che le forze armate possono dispiegare, sia più che doverosa. In effetti, abbiamo
già risposto alla richiesta della Protezione Civile di mettere a disposizione un velivolo
per il trasporto di un ospedale da campo che, tra poche ore, potrà già cominciare
ad operare in questa terra devastata. E’ chiaro che, sempre nei limiti delle nostre
possibilità siamo a piena disposizione; attendiamo disposizioni ovviamente dal governo
per quello che ci verrà chiesto di fare.
D. – Generale Camporini, possiamo
dire quindi che la Difesa italiana è pronta ad un eventuale rafforzamento dell’aiuto
umanitario in Haiti?
R. – Certo, questo fa parte del nostro dna. Noi siamo
sempre pronti in queste emergenze a dare il nostro contributo per cercare di ristabilire
quelle condizioni di vivibilità che sono prerequisito essenziale per un positivo sviluppo
delle società, in cui ci troviamo ad operare.
Tra le organizzazioni impegnate
da anni ad Haiti c’è il Movimento Laici America Latina (Mlal), che ha in corso un
programma per la sicurezza alimentare per oltre 4000 persone e in fase di avvio un
altro progetto per la ricostruzione del territorio. Se si guarda agli ultimi prestiti
della Banca Mondiale per Haiti, con un’economia già piegata da uragani e recessione,
si nota come si sia trattato di finanziamenti per la ricostruzione di strade e ponti
devastati da eventi naturali disastrosi. Sulla situazione ad Haiti, ascoltiamo Martino
Vinci, coordinatore del Progetto Mondo-Mlal in Centro America e Caraibi, raggiunto
telefonicamente in Nicaragua da Giada Aquilino:
R. – Haiti è
un Paese che ha problemi di povertà estrema e che, per debolezze strutturali, non
è in grado ancora di poter condurre politiche di sviluppo. Credo che in questo momento
la gravità della situazione sia legata al fatto che - a differenza di altri disastri
che avevano prevalentemente riguardato le zone rurali, come i più recenti uragani
- si tratta di un evento che ha colpito la capitale, che ha colpito il Paese nel suo
centro più vitale. Non credo che si esageri nelle notizie quando si parla di una situazione
catastrofica. E’ un Paese che in questo momento vede seriamente pregiudicata qualsiasi
possibilità di intraprendere nuovamente un percorso di sviluppo. La Comunità internazionale
dovrà dare un grande aiuto.
D. – Il Movimento Laici America Latina ad Haiti
ha due progetti: uno agricolo ed alimentare ed uno, previsto per i prossimi mesi,
proprio per la ricostruzione del territorio. Come questi progetti potranno essere
utili al Paese nel dopo terremoto?
R. – Uno dei progetti è stato realizzato,
fra l’altro, in una zona prossima all’epicentro. Abbiamo rafforzato delle organizzazioni
contadine, le abbiamo dotate di alcune infrastrutture che certamente in una situazione
di crisi come questa potranno costituire un punto di riferimento per le comunità in
loco. Per quanto riguarda l’altro progetto, si ribadisce l’importanza di continuare
a lavorare a programmi che permettano al territorio di essere maggiormente in grado
di resistere a qualsiasi tipo di emergenza. Siamo in contatto con una Ong della Repubblica
Dominicana, dove si sta cercando di organizzare i soccorsi. Non è disponibile alcun
bene di prima necessità; la capacità di Port-au-Prince riguardo alla fornitura di
qualsiasi bene è assolutamente nulla. Stessa situazione anche per la mobilitazione
di risorse finanziarie: abbiamo in loco dei soldi legati ai progetti e che potremmo
utilizzare magari per far fronte a questa emergenza, ma è assolutamente impossibile.
Le banche sono crollate, i sistemi di comunicazione non esistono. Sarebbe, quindi,
assolutamente impossibile fare qualsiasi operazione.
D. – Al fianco di organizzazioni
come la vostra e dell’aiuto della Comunità internazionale, che ruolo possono avere
– per esempio – i tanti haitiani che vivono all’estero?
R. – Molte delle Organizzazioni
con cui lavoriamo e la società civile sperano che la diaspora haitiana – come viene
definita – possa assumere un ruolo più importante nella ricostruzione del Paese. Io
credo che la tragedia appena avvenuta possa avere davvero un impatto, almeno a livello
psicologico, nei confronti della diaspora e possa ricompattare anche questo settore,
che è chiaramente fondamentale. Penso che siano circa 4 milioni gli haitiani che vivono
all’estero, tra Stati Uniti, Francia e Paesi limitrofi. Il problema è che ad Haiti
deve ricostituirsi una minima capacità di azione e di coordinamento.