L'esigenza di nuove politiche familiari di fronte alle difficoltà indotte dalla crisi
economica. L'opinione di Gian Carlo Blangiardo
Nel 2009, il potere d’acquisto delle famiglie è calato dell’1,6%. La stima è stata
resa nota ieri dall’Istat che spiega come il dato sia riferito al reddito reale. Cresce
invece la propensione al risparmio con un aumento di 0,4%. Le associazioni dei consumatori
puntano il dito contro la crisi economica. Ma quanto pesa la penalizzazione da un
punto di vista fiscale, che le famiglie italiane vivono? Debora Donnini lo
ha chiesto a Gian Carlo Blangiardo, docente di demografia all’università di
Milano Bicocca:
R. - Pesa
in maniera abbastanza consistente, nel senso che non viene riconosciuto in un costo
di produzione. La famiglia produce il capitale umano, i cittadini del futuro, e sostanzialmente
è un elemento di utilità per la società. Ma questo tipo di costi non le vengono riconosciuti
fiscalmente. Quindi, di fatto, su ciò che si spende per allevare i figli, in realtà
deve pagarci su anche le tasse.
D. - In questi giorni,
si sta parlando di una riforma del fisco con l’introduzione del quoziente familiare,
cioè di una tassazione che tenga conto del numero dei figli per famiglia, che dunque
non penalizzi troppo una famiglia. Quanto, secondo lei, per il sistema Paese, sarebbe
utile questa riforma?
R. - Assolutamente avrebbe
due elementi a favore. Uno, sarebbe un discorso di equità: è comunque giusto, per
quanto si è detto prima, riconoscere i costi di produzione del capitale sociale. Secondariamente,
potrebbe essere anche un modo per far sì che le famiglie abbiano una maggiore capacità
anche di spesa. Quindi, potrebbe essere un elemento forse anche per sostenere gli
stessi consumi e soprattutto poi per dare la possibilità di poter realizzare una serie
di bisogni, senza necessariamente davvero faticosamente tirare fino alla fine del
mese.
D. - Secondo lei, sarebbe importante anche
adottare delle misure come assegni familiari, sgravi nei trasporti e nei servizi,
anche a prescindere dal reddito, per dare un segnale culturale?
R.
- Sì, io ho sempre sostenuto che questa doveva essere la linea, perché un conto era
la pura e semplice assistenza: giustamente, si deve contrastare l’esclusione sociale
e la povertà - e questo è un discorso. Ma altra cosa è il riconoscimento dell’investimento
nel capitale umano, e questo ovviamente vale da parte di tutti, a prescindere dal
reddito. Sarebbe, quindi, dare un segnale forte di riconoscimento da parte della società
nel suo complesso e nei riguardi di coloro che contribuiscono alla continuazione della
società in quanto tale: un elemento importante. Questo riconoscimento può avvenire
sia in termini economici, sia in termini di clima sociale in genere, quindi in una
maggiore disponibilità ad andare incontro alle famiglie per alcuni servizi: i trasporti,
piuttosto che le stesse vacanze, cosa che ad esempio succede in Francia.