I vescovi europei e americani del Coordinamento per la Terra Santa in visita al muro
di Gerusalemme Est. Intervista con mons. Franco
Giornata intensa quella di oggi per i vescovi del Coordinamento Usa-Ue per la Terra
Santa, che fino al 14 gennaio saranno a Gerusalemme per la tradizionale visita alle
comunità locali. Oggi, i presuli che prendono parte al 10.mo Incontro di coordinamento
hanno toccato con mano i gravi disagi della popolazione nella zona est della Città
santa. Il servizio di Daniele Rocchi, inviato dell’Agenzia Sir:
Il programma
ha avuto inizio con una sessione tenuta da Daniel Seideman, fondatore dell’Associazione
no-profit "Ir Amim", che da anni lavora per uno sviluppo di Gerusalemme
sostenibile e giusto sia per i palestinesi che per gli israeliani. Al termine, Seiderman
ha accompagnato la delegazione a Gerusalemme Est, dove ha mostrato case palestinesi
demolite e soprattutto il muro di separazione, che ha tagliato la città e che ha creato
problemi drammatici alla popolazione palestinese locale, che in breve tempo si è vista
privata di ospedali, scuole, posti di lavoro divenuti irraggiungibili proprio a causa
di quella barriera. Successivamente, i vescovi si sono recati a Beit Safafa, dove
vivono alcune giovani coppie cristiane che hanno avuto dalle abitazioni in locazione
vantaggiosa dal Patriarcato Latino. Nel frattempo, una piccola rappresentanza del
Coordinamento dei vescovi veniva ricevuto da Denni Ayalon, viceministro degli esteri
israeliano. Nel pomeriggio, il Coordinamento incontrerà a Betlemme gli studenti della
locale università cattolica, fondata nel 1973 - la prima in assoluto dei Territori
palestinesi - e successivamente esponenti della comunità ecclesiale.
La
Chiesa in Terra Santa non vuole particolari privilegi, ma la possibilità di poter
esercitare liberamente la propria missione. Il concetto è stato ribadito dal nunzio
apostolico in Israele, l’arcivescovo Antonio Franco, presente all’incontro
di Gerusalemme. Le parole del presule ai microfoni di Daniele Rocchi e Sara
Fornari:
R. - Noi
riaffermiamo quella che è la nostra posizione di fondo e cioè che su alcune cose non
possiamo rinunciare e non perché vogliamo dei privilegi eccezionali, ma perché vogliamo
consentire alla Chiesa di poter vivere e di poter continuare la sua missione, la sua
funzione sociale qui in Israele. Su alcuni punti, quindi, noi non possiamo cedere.
Se riusciremo a comprenderci e a vedere le ragioni gli uni degli altri, capendo il
perché noi chiediamo alcune cose, allora forse riusciremo a fare dei progressi. Se
non riusciamo in questo, dobbiamo insistere ancora e dobbiamo avere ancora pazienza.
D. - Le parlava della fiducia… R. - La
fiducia cresce quanto più ci si conosce e quanto più si vede cosa veramente si vuole.
Noi possiamo continuare a parlare, a spiegare, a precisare meglio. Noi siamo fiduciosi
che alla fine le cose si potranno capire bene. D. - Lei diceva
che un punto importante è costruire la fiducia reciproca… R.
- Questo è basilare in ogni rapporto umano e lo è ancor più quando si fanno dei negoziati
per un qualcosa di concreto, e non soltanto quando si discute accademicamente. Bisogna
che ci sia la fiducia reciproca, perché altrimenti si rimane sulle difensive, cercando
di capire come poterci difendere da qualcuno. Noi, invece, vogliamo costruire qualcosa
e per farlo abbiamo bisogno della fiducia. D. - Ci sono passi
positivi circa la restituzione del Cenacolo? R. - Questo è un
punto che noi stiamo trattando e dove forse non siamo ancora riusciti a capire bene
le rispettive posizioni, ma che speriamo possano essere considerate anche in futuro,
quando tratteremo più specificatamente di questi argomenti riguardanti il Cenacolo,
così come anche altre proprietà della Chiesa che sono state prese per altri scopi
da altri enti statali o meno. Noi speriamo di poter chiarire bene il valore di queste
cose e il perché insistiamo su uno o l’altro aspetto. D. -
Quali sono i frutti che si aspetta da questa visita e dall’incontro con questi vescovi
e Conferenze episcopali? R. - E’ un’iniziativa che, anno dopo
anno, si ripete. Quello che mi aspetto è che anche in questo caso ci sia una consapevolezza
migliore, più chiara, più precisa della realtà e di quello che interessa alla Chiesa
universale della vita della Chiesa qui in questa terra, perché questa è certamente
una terra particolare e la presenza della Chiesa ha un riflesso ed una ripercussione
su tutta la Chiesa universale e su tutta la cristianità. Qui, ci sentiamo tutti un
po’ coinvolti: i cristiani sono una minoranza e dobbiamo quindi cercare di lavorare
sempre di più in collaborazione, perché ciò che succede qui ha un interesse ed un
valore per tutta la cristianità. (Montaggio a cura di Maria Brigini)