Benedetto XVI al Corpo diplomatico: la Chiesa è aperta a tutti perché esiste per gli
altri. Difendiamo il creato dall'egoismo dell'uomo
La difesa dell’ambiente non è un fatto “estetico” ma “morale”, ma è prima di tutto
l’uomo, in quanto figlio di Dio, a dover essere tutelato nella sua dignità, perché
è dal rispetto dell’“ecologia umana” che deriva il rispetto di quella ambientale.
Benedetto XVI ha articolato attorno a questo principio l’importante discorso rivolto,
questa mattina, al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuto in
Vaticano per la consueta udienza di inizio anno. Attuali e delicati i temi affrontati
dal Papa: dalla crisi economica al proliferare delle armi nucleari, dal fenomeno del
terrorismo a quello dell’immigrazione, dalla difesa dei cristiani perseguitati a quella
delle radici cristiane dell’Europa. Ha rivolto l’indirizzo di omaggio al Santo Padre,
come decano del Corpo diplomatico, l’ambasciatore dell’Honduras Alejandro Emilio Valladares
Lanza. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Valutare
cosa gli uomini fanno per la pace nel mondo osservando in che modo rispettano il loro
pianeta. Una delle punte più recenti del magistero di Benedetto XVI - custodire la
pace, custodendo il creato - è la chiave di lettura anche del lungo discorso agli
ambasciatori dei 178 Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche piene
con la Santa Sede: di poche settimane è la ratifica siglata con la Federazione Russa.
La premessa che il Papa fa al suo discorso è un atto di libertà: il “Successore di
Pietro - ha affermato - mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera
avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana”, così come la
Chiesa - dice - “è aperta a tutti perché - in Dio - esiste per gli altri”. Da qui
parte il primo sguardo del Papa al mondo. In cima, come nel 2009, c’è ancora la crisi
economica, ma con una forte correlazione in primo piano: se la crisi è stata provocata,
ripete, dal materialismo che pensa solo al profitto, questa “stessa mentalità” oggi
“minaccia anche il creato”. Come prova, Benedetto XVI indica quelle “profonde ferite”
che il sistema ateo del socialismo est europeo aveva inferto agli uomini e alla natura
e che furono evidenti dopo il crollo del Muro di Berlino: “Le négation
de Dieu... La negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana,
ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non risponde
in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale, perché
la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene da Dio”.
Il mondo fatica a trovare un linea comune nel campo della tutela dell’ambiente.
Il Papa rileva le “resistenze di ordine economico e politico” registrate al recente
Vertice di Copenaghen sul clima e dice di sperare che un “accordo” possa emergere
dai prossimi appuntamenti di Bonn e Città del Messico. “Ne va - osserva - del destino
stesso di alcune nazioni”, specie se insulari. E se al clima si aggiungono i fenomeni
della desertificazione o l’esigenza di una "corretta gestione delle risorse naturali”,
ecco che l’Africa diventa per Benedetto XVI una porzione di pianeta fortemente emblematica: “En
Afrique, comme ailleurs... In Africa, come altrove, è necessario
adottare scelte politiche ed economiche che assicurino ‘forme di produzione agricola
e industriale rispettose dell’ordine della creazione e soddisfacenti per i bisogni
primari di tutti. Come dimenticare, poi, che la lotta per l’accesso alle risorse naturali
è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri in Africa, così come la sorgente
di un rischio permanente in altre situazioni?”. E subito, quando il
discorso si sposta di poco sui modi di sfruttamento della terra, Benedetto XVI si
riferisce a quanto avviene in Afghanistan come in America Latina, dove “purtroppo”,
nota: “...l'agriculture est ancore liée... L’agricoltura
è ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile
di occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato
con la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale,
ancora una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi
morali e sociali che essa genera”. E a tale richiesta, il Papa fa seguire
un altro dei molti appelli che costelleranno tutto il suo discorso. In questo caso,
a preoccuparlo “sono le ingenti risorse” di denaro spese per le armi piuttosto che
per i più poveri: “J'espère fermament que... Confido,
fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato di Non-Proliferazione nucleare,
in programma per il maggio prossimo a New York, vengano prese decisioni efficaci in
vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare il pianeta dalle armi nucleari”.
A più riprese, il Pontefice prende spunto da situazioni specifiche
per sollecitare la comunità internazionale a muoversi con più decisione per risolvere
crisi o conflitti . E’ il caso del Darfur o della Repubblica democratica del Congo,
quando il Papa è diretto nello stigmatizzare “l’incapacità” di chi combatte a “sottrarsi
alla spirale della violenza” ma anche, dice, l’“impotenza” di chi dovrebbe mediare
o, peggio, l’“indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica mondiale”. Le armi,
poi, alimentano un’altra piaga che sfigura il pianeta e provoca tra i suoi abitanti
“un diffuso senso di angoscia”, il terrorismo: “En cette circonstance
solennelle... In questa solenne circostanza, desidero rinnovare l’appello
che ho lanciato il 1° gennaio durante la preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte
di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché abbandonino la strada della violenza e
aprano il loro cuore alla gioia della pace”. A questo punto
il Papa, che poco più tardi evocherà le sofferenze causate a milioni di persone dalle
catastrofi naturali accadute nel 2009 - dai terremoti in Indonesia e in Abruzzo, alle
devastazioni nelle Filippine e nel sudest asiatico - constata che violenze, disastri
e degrado ambientale “contribuiscono a ingrossare le fila di quanti abbandonano la
propria terra”. Chiedendo per loro ai governi “solidarietà e lungimiranza”, Benedetto
XVI apre l’appassionato e minuzioso capitolo in difesa dei cristiani perseguitati: “En
particulier, je voudrais... In particolare, vorrei menzionare i
Cristiani in Medio Oriente: colpiti in varie maniere, fin nell’esercizio della loro
libertà religiosa, essi lasciano la terra dei loro padri in cui si è sviluppata la
Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire loro un sostegno e per far loro sentire la
vicinanza dei fratelli nella fede, che ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea
Speciale del Sinodo dei Vescovi sul Medio Oriente”. In modo analogo,
chiede “rispetto, sicurezza e libertà” per i cristiani in Iraq e integrazione per
quelli in Pakistan. E allargando il discorso all’Europa, dove l’avversario del cristianesimo
non è la violenza ma il relativismo che, asserisce, suscita un “sentimento di scarsa
considerazione e, talvolta, di ostilità”, Benedetto XVI afferma: “Il
est clair que... E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come
un elemento costitutivo essenziale della democrazia, si rischia di concepire la laicità
unicamente in termini di esclusione o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale
del fatto religioso. Un tale approccio crea tuttavia scontro e divisione, ferisce
la pace, inquina l’’ecologia umana’ e, rifiutando, per principio, le attitudini diverse
dalla propria, si trasforma in una strada senza uscita. Urge, pertanto,
definire una laicità positiva, aperta, che, fondata su una giusta autonomia tra l’ordine
temporale e quello spirituale, favorisca una sana collaborazione e un senso di responsabilità
condivisa”. E il Pontefice coglie un attacco al Creato di Dio e alle
sue creature anche in quelle leggi o progetti che, scandisce, “in nome della lotta
contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico della differenza fra
i sessi”, come accade in alcuni Stati europei o del continente americano: “La
liberté ne peut... La libertà non può essere assoluta, perché l’Uomo
non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura. Per l’uomo, il cammino da seguire non
può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio, ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere
alla struttura voluta dal Creatore”. Oltre che rispetto per i cristiani
di Terra Santa, Benedetto XVI torna a implorare l’avvento della pace tra israeliani
e palestinesi, con la possibilità per entrambi di godere della sicurezza garantita
da due Stati, oltre che rispetto per “il carattere sacro” di Gerusalemme. E tra tanti
scampoli di umanità in cerca di distensione, il Pontefice indica anche, quasi come
segnali di speranza, i risultati ottenuti da quei Paesi che hanno posto fine a conflitti
o dispute territoriali: Colombia-Ecuador, Croazia e Slovenia, Armenia e Turchia. Ad
essi, Benedetto XVI fa seguire auspici per Iran, Libano, Honduras. Sì,
riconosce il Papa, “c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano ferisce la
creazione in molteplici modi”. La Chiesa, soggiunge, indica che la risposta all’anelito
di pace universale è Cristo: “Fixant sur Lui mon regard... Fissando
lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona volontà ad operare con fiducia
e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo. Che la luce e la forza di Gesù
ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli che anche l’ecologia ambientale
ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura è uno ed indivisibile. E’ così che
potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni che verranno”. (applausi)