Solidarietà del cardinale Kasper alla Chiesa copta ortodossa per le violenze anticristiane
in Egitto
“Quando i cristiani soffrono ingiustamente è il Corpo di Cristo ad essere ferito”:
sono parole del cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la
Promozione dell’Unità dei Cristiani, che, dopo i gravi fatti della notte del Natale
ortodosso in Egitto, ha scritto una lettera a Sua Santità Shenouda III, Papa di Alessandria
d’Egitto e Patriarca della sede di San Marco del Cairo. Il servizio di Fausta Speranza: “Tutti
i cristiani devono essere uniti di fronte all’oppressione e cercare insieme la pace
che solo Cristo può dare”. Il cardinale Kasper richiama all’unità, assicurando vicinanza
e preghiera ed esprimendo la sua tristezza nell’apprendere delle violenze avvenute
nell’Alto Egitto la notte tra il 6 e il 7 gennaio, che per le chiese che seguono il
calendario giuliano è la notte di Natale. Nel villaggio meridionale di Nagaa Hamadi,
otto cristiani della comunità copta e un poliziotto sono rimasti uccisi da tre musulmani
che hanno sparato contro i fedeli in uscita dalla Messa. A spingere al gesto omicida,
di cui sarebbe responsabile un pregiudicato già identificato dalle forze dell'ordine,
la vicenda di un presunto rapimento con abusi sessuali ai danni di una giovane musulmana,
attribuito ad un giovane cristiano. Da parte sua, il vescovo copto cattolico di Luxor,
mons. Youhannes Zakaria, sottolinea che l’attacco durante il Natale ortodosso non
e' avvenuto a caso. Parla di “un disegno evidente di trasformare i giorni di festa
cristiani in giorni del dolore'', ricordando che anche a Pasqua scorsa è stata attaccata
la comunità cristiana nel villaggio di Nagaa Hamadi, con tre giovani vite spezzate.
Mons. Zakaria denuncia motivazioni politiche: alcune forze intendono promuovere l'islam
politico, dice. Di fronte a tutto ciò quale possibile impegno da parte dell’Europa?
L’abbiamo chiesto a Mario Mauro, presidente del gruppo Pdl al
Parlamento Europeo e rappresentante personale della Presidenza dell’Osce contro
razzismo, xenofobia e discriminazione, con particolare riferimento alla discriminazione
dei cristiani: R. - Da parte delle istituzioni locali
così come anche da parte della comunità internazionale bisogna ricordare con forza
due cose. Primo, che la libertà religiosa non è una libertà come tutte le altre ma
è condizione indispensabile perché tutte le altre libertà vengano riconosciute. Secondo,
che una convivenza civile e pacifica è impossibile se viene impedito ad una persona
di poter affermare liberamente e poter sostenere attraverso opere e fatti le cose
in cui crede. E’ proprio per questo che noi dobbiamo essere vicini al governo egiziano
nel tentare di arginare la violenza del radicalismo islamico ma al tempo stesso dobbiamo
essere vigili e far sentire all’interno del consesso internazionale una voce forte:
una voce di monito anche nei confronti delle istituzioni locali perché l’aspetto della
tutela delle comunità cristiane non venga considerato semplicemente un gesto di buona
volontà ma un dovere essenziale se si vuole essere definiti uno Stato democratico. D.
- L’attenzione della comunità internazionale è molto concentrata su Iraq ma ancora
di più su Afghanistan e Pakistan. Stiamo forse dimenticando Paesi come l’Egitto, in
tema di fondamentalismo? R. – In realtà l’Egitto rappresenta
un Paese chiave. E’ un Paese di 80 milioni di abitanti, un Paese dove oltre la metà
sono giovani sotto i 25 anni, un Paese con sacche di povertà profonda, un Paese in
cui in realtà le radici del radicalismo islamico sono incredibili. E’ il Paese dove
si è diffusa la dottrina dei cosiddetti Fratelli musulmani, dove questa è diventata
pratica e posizionamento politico che è a ridosso del governo di Mubarak, che soffia
sul collo di questo stesso governo e che probabilmente ha gettato un’ipoteca addirittura
sul futuro dell’Egitto. Non dimentichiamo che la zona in cui sono accaduti questi
disordini è una zona non lontana dal confine con il Sudan, nell’area di Luxor, nel
sud dell’Egitto, e quindi dove le infiltrazioni di elementi radicali e le tensioni
sono possibili in ogni momento. Anche se da un lato si sono moltiplicati gli sforzi
delle autorità egiziane, l’Egitto non è un Paese sullo sfondo della tragedia del fondamentalismo
islamico ma è un Paese, per molti versi, centrale rispetto a questa esperienza. E
ancora poco sappiamo della capacità di alcune sue forze di investire attraverso atti
terroristici e infiammare non solo le aree ma in qualche modo anche altre aree del
mondo. Non dimentichiamo, inoltre, che un uomo come Al Zawahiri è un egiziano e che
sono egiziani coloro che hanno operato molti attentati nell’area degli alberghi a
ridosso del confine con Israele e sono egiziani anche coloro che hanno fatto attentati
in località famose come Sharm el Sheikh. Parimenti è un Paese che ha bisogno degli
sforzi e della concentrazione della comunità internazionale per poter risolvere a
pieno i propri problemi e soprattutto è un Paese dove la tutela e la libertà per le
comunità cristiane è ipso facto tutela del valore della tolleranza e della vita di
comunità per tutte le genti che abitano in Egitto. Difendere i cristiani non vuol
dire mettere un cordone di protezione intorno a una comunità ghetto: difendere i cristiani
vuol dire contribuire a fare dell’Egitto un Paese di democrazia e di libertà: diversamente
si getterebbe un’ombra sinistra sul destino dell’intero Medio Oriente. D.
- Dunque, non è da dimenticare quello che è successo in occasione del Natale copto,
non é da archiviare come episodio… R. – No, non è da dimenticare.
Come dice il ministro Frattini, è un fatto che provoca orrore nella nostra comunità
per i tanti legami che abbiamo con il Paese egiziano, però allo stesso tempo dobbiamo
essere molto chiari: è l’ennesimo episodio di una situazione, quella egiziana, che
preoccupa per la complessità ma anche per la gravità e in ogni momento può diventare
la modalità con cui si accende il dramma dello sconvolgimento ulteriore del Medio
Oriente.