La preghiera del Papa per il mese di gennaio 2010 dedicata ai giovani e al loro corretto
rapporto con i media
L’intenzione generale di preghiera di Benedetto XVI per il mese di gennaio 2010 si
collega strettamente con le sue più recenti considerazioni sul mondo dei media e recita:
“Perché i giovani sappiano utilizzare i moderni mezzi di comunicazione sociale per
la loro crescita personale e per meglio prepararsi a servire la società”. Ma in che
modo ciò è possibile, considerando i grandi benefici ma anche i grandi rischi di una
comunicazione spesso usata dai giovani senza grandi filtri critici? Alessandro
De Carolis ha rivolto la domanda Stefano De Martis, direttore delle testate
giornalistiche “TV2000” e Radio InBlu della Conferenza episcopale italiana (Cei):
R. - Sicuramente,
una televisione come la nostra si pone il tema di educare questa generazione digitale
ad un utilizzo responsabile dei nuovi mezzi e se lo pone come un tema che attraversa
un po’ tutta la sua programmazione e questo soprattutto per le ripercussioni antropologiche
dell’utilizzo stesso dei media, che è al centro delle preoccupazioni anche della Chiesa
italiana. Non a caso nel prossimo aprile è previsto un grande convegno, già nel titolo
piuttosto eloquente - “Testimoni digitali” - durante il quale verrà messo a fuoco
il rapporto con i nuovi e con i vecchi mezzi di comunicazione sociale. Per quanto
riguarda la nostra programmazione specifica, abbiamo dei programmi che ormai da alcuni
anni si pongono l’obiettivo di far conoscere ai telespettatori i meccanismi di costruzione
delle notizie e dei programmi che trovano poi spazio sia nella televisione, sia nei
nuovi mezzi di comunicazione. Questi programmi sono "TG TG", in onda la sera, e il
settimanale "Il Grande Talk.
D. - Nel suo ultimo
messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, il Papa parla dei benefici
apportati dalla "nuova cultura della comunicazione" - maggiore informazione, maggiore
possibilità di essere collegati anche a grandissime distanze. Dal vostro punto di
vista, è chiara fra i giovani la percezione di questi benefici o la comunicazione
per loro è più che altro svago?
R. - Le giovani generazioni - soprattutto
le giovanissime generazioni - sono nate già in questo ambiente così fortemente interconnesso
a livello multimediatico. In qualche modo, è l’unico mondo che conoscono e questo
è un condizionamento non da poco, nel senso che non aiuta in partenza ad avere quel
minimo di distacco critico, o quel massimo di distacco critico, che è necessario per
un utilizzo responsabile, attento, utile dei mezzi di comunicazione. Gli educatori
sono, quindi, molto interpellati per sollecitare le risorse interiori, che pure i
ragazzi hanno e che devono essere sviluppate perché poi di questi nuovi mezzi possano
prendere le enormi potenzialità positive - come quelle che enuncia il Santo Padre
- tenendo a bada o addirittura scartando le ripercussioni negative.
D.
- Allora, in che modo non solo i giovani, ma anche gli adulti che vivono in un’epoca
di consumo "bulimico" di comunicazione, possono fare per avere e mantenere un equilibrio?
R.
- Anzitutto, gli adulti e in generale tutti gli educatori devono confrontarsi con
questi nuovi mezzi, cercando di impadronirsi delle logiche di fondo perché altrimenti
rischiano di essere tagliati fuori da qualsiasi progresso educativo. Secondo me, l’approccio
è sempre a due filoni: c’è un filone dell’educazione - come dicevo prima - al senso
critico e quindi saper discernere e selezionare nella marea di informazioni che ci
sono. E c’è poi però un esercizio che va secondo me stimolato in rapporto alla gestione
dei tempi di questa interconnessione perenne: se riusciamo a far capire che ci sono
anche altre forme di rapporto con il mondo, come educatori raggiungiamo già un risultato
importante rispetto ai nostri giovani.
D. - Come
risolvete quello che per molti operatori dei media è un dilemma irrisolvibile, e cioè
coniugare qualità e valori, laddove per molti i secondi vanno a scapito della prima?
R.
- La nostra esperienza ci dice questo: non sono possibili scorciatoie e che bisogna
essere molto professionali nel mondo della comunicazione. Quando c’è professionalità
è possibile parlare in televisione, alla radio e in tutti i mezzi di comunicazione
anche di argomenti che a torto vengono considerati i più difficili, noiosi e che oggettivamente
a volte sono estremamente complessi, come quelli che toccano il cuore antropologico
della vita dell’uomo. Secondo me, la grande sfida come operatori cattolici dei media
è proprio quella della professionalità. Attraverso la qualità televisiva e degli altri
mezzi, riusciamo poi a veicolare in maniera credibile anche dei contenuti forti.