Italia tra crisi e sprechi: la riflessione del sociologo Garelli
Due notizie in questi primi giorni del 2010 - rilanciate dai media - invitano ad una
riflessione sui modelli sociali, sugli stili di vita, sulle tendenze al consumo. Roberta
Gisotti ha intervistato il prof. Franco Garelli, sociologo dell’Università
di Torino.
D. - Prof.
Garelli iniziamo con la notizia del pane sprecato: solo a Milano ogni giorno 180 quintali
ne finisce nella spazzatura, tra quello acquistato e quello invenduto. Ma è possibile
che in una società evoluta non si riesca ad evitare uno spreco tanto evidente, con
risvolti etici gravi se pensiamo che oltre un miliardo di persone nel mondo non ha
da mangiare? R. – Certamente queste notizie sono sconcertanti,
tornano di tanto in tanto sui mezzi di informazione e ci dicono che probabilmente
la società italiana è meno povera di quello che ci immaginiamo, nel senso che i poveri
ci sono ma c’è anche un’ampia quota di popolazione che sta sufficientemente bene e
comunque non si pone problemi anche di sprechi o di parsimonia. Questo è un po’ il
prodotto della società dei consumi che emerge anche in un momento di crisi generali
come questa. D. – Quindi non c’è consapevolezza di questo modo
dissennato di consumare. Un’altra notizia che ha richiamato l’attenzione è l’inizio
anticipato dei saldi che ci ha mostrato, attraverso la tv e soprattutto attraverso
internet, orde di persone riversarsi per le strade, già di primo mattino, soprattutto
per raggiungere i centri commerciali. Li abbiamo visti in fila in auto per ore. Abbiamo
visto migliaia di persone perfino prendere le scale mobili all’incontrario, sottoponendosi
a sacrifici e rischi. Per che cosa, professore? R. - Io credo
che qui ci sia questa rincorsa al mito dell’ultimo acquisto, dell’acquisto di moda,
del colore dell’anno, insomma del non perdere il treno, di uno stile di vita emergente.
Questo può essere anche un prodotto della crisi: cioè, per alcuni mesi, per un anno
o più si è stati un po’ attenti, poi improvvisamente scatta questa corsa all’acquisto
dei saldi, quindi pensando di risparmiare proprio per mantenere un legame con gli
stili di vita emergenti. Questo mi sembra un elemento un po’ tipico di questa società,
anche questo sconcertante, nel senso che magari molta gente compra delle cose ma ha
comunque pieni gli armadi di tutta una seria di beni.. di vestiti, di cose per la
casa. Quindi c’è questa esigenza di aggrapparsi a un mito di cose ultime per soddisfare
dei bisogni che sono già mediamente e ampiamente soddisfatti. D.
- Quindi emerge la cultura dell’avere, la cultura del risparmio per avere ancora più
superfluo? R. - In questa rincorsa emerge un grosso investimento
anche affettivo che è anche un indice di povertà culturale se ci si aggrappa a queste
cose per rafforzare in modo significativo la propria identità, la propria idea di
sé, invece di pensare che ci può essere un impiego migliore delle risorse che si hanno. D.
– Tutto sommato queste due immagini del pane sprecato e della gente che corre a comprare
il superfluo sono immagini di tristezza esistenziale… R. –
Indubbiamente c’è da riflettere su questo grosso investimento sull’apparire, sugli
stili di vita sganciati dai bisogni reali.