Le sfide del nuovo anno della Chiesa romana. Intervista con mons. Luigi Moretti
Il nuovo anno è appena cominciato e la diocesi di Roma si appresta a viverlo proponendo
diverse iniziative con uno sguardo alla realtà multietnica e multiculturale della
capitale. Di fronte alle problematiche sociali della città sono svariate le sfide
che il vicariato vuole affrontare. Ma quali gli impegni più importanti della Chiesa
romana quest’anno? Tiziana Campisi lo ha chiesto a mons. Luigi Moretti,
vicegerente della diocesi di Roma:
R. – In questo
nuovo anno il nostro impegno principale è quello di aiutare questa comunità cristiana
a rendersi conto che più cresce, più qualifica la sua esperienza di fede in Gesù,
più si deve aprire ad un impegno missionario: passare da un vivere la fede come qualcosa
che serve a me, a vivere la fede per tutti. Quindi è l’impegno a far sì che la prassi
pastorale delle nostre comunità diventi sempre più questa proposta: una testimonianza,
una proposta di annunciare Gesù come unica speranza, come unica salvezza. Quest’anno,
poi, siamo impegnati in particolare in una rilettura del significato, e quindi anche
la riqualificazione dell’esperienza, che per noi è centrale, dell’eucaristia domenicale:
una riflessione su cos’è l’esperienza dell’eucaristia, la presenza di Gesù che si
offre per noi, per la salvezza, come fonte e culmine della vita cristiana, ma anche
collocata nel giorno del Signore, la domenica. E come questa esperienza debba aprire
ad un impegno di carità.
D. – Che stagione sta vivendo
la diocesi di Roma?
R. – E’ una stagione, direi,
di passaggio, di crescita, di trasformazione. Nel senso che cresce sempre di più la
percezione di sentirsi Chiesa, cioè di far capire come l’esperienza della fede non
sia un fatto privato: si colloca dentro l’esperienza della Chiesa, dentro un’esperienza
di comunità. Questo credo che sia un passaggio molto importante. Proprio questo essere
Chiesa porta con sé una responsabilità verso gli altri: quella di essere luce, testimonianza,
sale capace di dare sapore nel senso di uscire da una logica puramente di Chiesa ripiegata
su se stessa, che si ripete anno dopo anno. Noi siamo corpo che cresce, una dimensione
che tende ad offrire a tutti quella stessa possibilità di vivere il rapporto con Gesù.
Questa spinta credo che si stia cogliendo un po’ a tutti i livelli nell’attenzione
alla famiglia, nell’attenzione ai giovani, nell’attenzione ai deboli, agli emarginati.
D.
– Roma, città multietnica e multiculturale; ma anche multi religiosa: come guarda
il Vicariato a questa realtà?
R. – Roma credo che
viva da sempre una sua vocazione universalistica, di apertura al mondo: è una città
che ha sempre accolto! Quindi, questo per noi non diventa un fatto traumatico, ma
piuttosto ci spinge a diventare un’esperienza che è capace di integrare perché il
problema non è solo accogliere ma trovare la modalità per integrare. Per esempio,
noi abbiamo più di 40 comunità etniche che sono ecclesialmente organizzate come comunità,
come missioni, come parrocchie. Sono organizzate in modo che tutti coloro che arrivano
a Roma – soprattutto nella prima generazione – trovino un luogo, un’esperienza che
da una parte non li sradichi rispetto a quello che è il luogo e la tradizione di provenienza,
ma nello stesso tempo li integri e li porti ad inserirsi nel tessuto della nostra
Chiesa. (Montaggio a cura di Maria Brigini)