Omelia nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio. Testo integrale
Nel primo giorno del nuovo anno abbiamo la gioia e la grazia di celebrare la Santissima
Madre di Dio e, al tempo stesso, la Giornata Mondiale della Pace. In entrambe le ricorrenze
celebriamo Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine e nostra vera pace! A tutti
voi, che siete qui convenuti: Rappresentanti dei popoli del mondo, della Chiesa romana
e universale, sacerdoti e fedeli; e a quanti sono collegati mediante la radio e la
televisione, ripeto le parole dell’antica benedizione: il Signore rivolga a voi il
suo volto e vi conceda pace (cfr Nm 6,26). Proprio il tema del Volto e dei
volti vorrei sviluppare oggi, alla luce della Parola di Dio - Volto di Dio e volti
degli uomini - un tema che ci offre anche una chiave di lettura del problema della
pace nel mondo.
Abbiamo ascoltato, sia nella prima lettura – tratta dal Libro
dei Numeri – sia nel Salmo responsoriale, alcune espressioni che contengono la
metafora del volto riferita a Dio: “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
/ e ti faccia grazia” (Nm 6,25); “Dio abbia pietà di noi e ci benedica, / su
di noi faccia splendere il suo volto; / perché si conosca sulla terra la tua via,
/ la tua salvezza fra tutte le genti” (Sal 66/67,2-3). Il volto è l’espressione
per eccellenza della persona, ciò che la rende riconoscibile e da cui traspaiono sentimenti,
pensieri, intenzioni del cuore. Dio, per sua natura, è invisibile, tuttavia la Bibbia
applica anche a Lui questa immagine. Mostrare il volto è espressione della sua benevolenza,
mentre il nasconderlo ne indica l’ira e lo sdegno. Il Libro dell’Esodo dice
che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico”
(Es 33,11), e sempre a Mosè il Signore promette la sua vicinanza con una formula
molto singolare: “Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo” (Es 33,14).
I Salmi ci mostrano i credenti come coloro che cercano il volto di Dio (cfr
Sal 26/27,8; 104/105,4) e che nel culto aspirano a vederlo (cfr Sal
42,3), e ci dicono che “gli uomini retti” lo “contempleranno” (Sal 10/11,7).
Tutto il racconto biblico si può leggere come progressivo svelamento del volto
di Dio, fino a giungere alla sua piena manifestazione in Gesù Cristo. “Quando venne
la pienezza del tempo – ci ha ricordato anche oggi l’apostolo Paolo – Dio mandò il
suo Figlio” (Gal 4,4). E subito aggiunge: “nato da donna, nato sotto la legge”.
Il volto di Dio ha preso un volto umano, lasciandosi vedere e riconoscere nel figlio
della Vergine Maria, che per questo veneriamo con il titolo altissimo di “Madre di
Dio”. Ella, che ha custodito nel suo cuore il segreto della divina maternità, è stata
la prima a vedere il volto di Dio fatto uomo nel piccolo frutto del suo grembo. La
madre ha un rapporto tutto speciale, unico e in qualche modo esclusivo con il figlio
appena nato. Il primo volto che il bambino vede è quello della madre, e questo sguardo
è decisivo per il suo rapporto con la vita, con se stesso, con gli altri, con Dio;
è decisivo anche perché egli possa diventare un “figlio della pace” (Lc 10,6).
Tra le molte tipologie di icone della Vergine Maria nella tradizione bizantina, vi
è quella detta “della tenerezza”, che raffigura Gesù bambino con il viso appoggiato
– guancia a guancia – a quello della Madre. Il Bambino guarda la Madre, e questa guarda
noi, quasi a riflettere verso chi osserva, e prega, la tenerezza di Dio, discesa in
Lei dal Cielo e incarnata in quel Figlio di uomo che porta in braccio. In questa icona
mariana noi possiamo contemplare qualcosa di Dio stesso: un segno dell’amore ineffabile
che lo ha spinto a “dare il suo figlio unigenito” (Gv 3,16). Ma quella stessa
icona ci mostra anche, in Maria, il volto della Chiesa, che riflette su di noi e sul
mondo intero la luce di Cristo, la Chiesa mediante la quale giunge ad ogni uomo la
buona notizia: “Non sei più schiavo, ma figlio” (Gal 4,7) – come leggiamo ancora
in san Paolo.
Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Signori Ambasciatori,
cari amici! Meditare sul mistero del volto di Dio e dell’uomo è una via privilegiata
che conduce alla pace. Questa, infatti, incomincia da uno sguardo rispettoso, che
riconosce nel volto dell’altro una persona, qualunque sia il colore della sua pelle,
la sua nazionalità, la sua lingua, la sua religione. Ma chi, se non Dio, può garantire,
per così dire, la “profondità” del volto dell’uomo? In realtà, solo se abbiamo Dio
nel cuore, siamo in grado di cogliere nel volto dell’altro un fratello in umanità,
non un mezzo ma un fine, non un rivale o un nemico, ma un altro me stesso, una sfaccettatura
dell’infinito mistero dell’essere umano. La nostra percezione del mondo e, in particolare,
dei nostri simili, dipende essenzialmente dalla presenza in noi dello Spirito di Dio.
E’ una sorta di “risonanza”: chi ha il cuore vuoto, non percepisce che immagini piatte,
prive di spessore. Più, invece, noi siamo abitati da Dio, e più siamo anche sensibili
alla sua presenza in ciò che ci circonda: in tutte le creature, e specialmente negli
altri uomini, benché a volte proprio il volto umano, segnato dalla durezza della vita
e dal male, possa risultare difficile da apprezzare e da accogliere come epifania
di Dio. A maggior ragione, dunque, per riconoscerci e rispettarci quali realmente
siamo, cioè fratelli, abbiamo bisogno di riferirci al volto di un Padre comune, che
tutti ci ama, malgrado i nostri limiti e i nostri errori.
Fin da piccoli, è
importante essere educati al rispetto dell’altro, anche quando è differente da noi.
Ormai è sempre più comune l’esperienza di classi scolastiche composte da bambini di
varie nazionalità, ma anche quando ciò non avviene, i loro volti sono una profezia
dell’umanità che siamo chiamati a formare: una famiglia di famiglie e di popoli. Più
sono piccoli questi bambini, e più suscitano in noi la tenerezza e la gioia per un’innocenza
e una fratellanza che ci appaiono evidenti: malgrado le loro differenze, piangono
e ridono nello stesso modo, hanno gli stessi bisogni, comunicano spontaneamente, giocano
insieme… I volti dei bambini sono come un riflesso della visione di Dio sul mondo.
Perché allora spegnere i loro sorrisi? Perché avvelenare i loro cuori? Purtroppo,
l’icona della Madre di Dio della tenerezza trova il suo tragico contrario nelle dolorose
immagini di tanti bambini e delle loro madri in balia di guerre e violenze: profughi,
rifugiati, migranti forzati. Volti scavati dalla fame e dalle malattie, volti sfigurati
dal dolore e dalla disperazione. I volti dei piccoli innocenti sono un appello silenzioso
alla nostra responsabilità: di fronte alla loro condizione inerme, crollano tutte
le false giustificazioni della guerra e della violenza. Dobbiamo semplicemente convertirci
a progetti di pace, deporre le armi di ogni tipo e impegnarci tutti insieme a costruire
un mondo più degno dell’uomo.
Il mio Messaggio per l’odierna XLIII Giornata
Mondiale della Pace: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, si pone all’interno
della prospettiva del volto di Dio e dei volti umani. Possiamo, infatti, affermare
che l’uomo è capace di rispettare le creature nella misura in cui porta nel proprio
spirito un senso pieno della vita, altrimenti sarà portato a disprezzare se stesso
e ciò che lo circonda, a non avere rispetto dell’ambiente in cui vive, del creato.
Chi sa riconoscere nel cosmo i riflessi del volto invisibile del Creatore, è portato
ad avere maggiore amore per le creature, maggiore sensibilità per il loro valore simbolico.
Specialmente il Libro dei Salmi è ricco di testimonianze di questo modo propriamente
umano di relazionarsi con la natura: con il cielo, il mare, i monti, le colline, i
fiumi, gli animali… “Quante sono le tue opere, Signore! – esclama il Salmista – /
Le hai fatte tutte con saggezza; / la terra è piena delle tue creature” (Sal
104/103,24).
In particolare, la prospettiva del “volto” invita a soffermarsi
su quella che, anche in questo Messaggio, ho chiamato “ecologia umana”. Vi
è infatti un nesso strettissimo tra il rispetto dell’uomo e la salvaguardia del creato.
“I doveri verso l’ambiente derivano da quelli verso la persona considerata in se stessa
e in relazione agli altri” (ivi, 12). Se l’uomo si degrada, si degrada l’ambiente
in cui vive; se la cultura tende verso un nichilismo, se non teorico, pratico, la
natura non potrà non pagarne le conseguenze. Si può, in effetti, constatare un reciproco
influsso tra volto dell’uomo e “volto” dell’ambiente: “quando l’ecologia umana è rispettata
dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibid.; cfr
Enc. Caritas in veritate, 51). Rinnovo, pertanto, il mio appello ad investire
sull’educazione, proponendosi come obiettivo, oltre alla necessaria trasmissione di
nozioni tecnico-scientifiche, una più ampia e approfondita “responsabilità ecologica”,
basata sul rispetto dell’uomo e dei suoi diritti e doveri fondamentali. Solo così
l’impegno per l’ambiente può diventare veramente educazione alla pace e costruzione
della pace.
Cari fratelli e sorelle, nel Tempo di Natale ricorre un Salmo che
contiene, tra l’altro, anche un esempio stupendo di come la venuta di Dio trasfiguri
il creato e provochi una specie di festa cosmica. Questo inno inizia con un invito
universale alla lode: “Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore, uomini
di tutta la terra. / Cantate al Signore, benedite il suo nome” (Sal 95/96,1).
Ma a un certo punto questo appello all’esultanza si estende a tutto il creato: “Gioiscano
i cieli, esulti la terra, / risuoni il mare e quanto racchiude; / sia in festa la
campagna e quanto contiene, / acclamino tutti gli alberi della foresta” (vv. 11-12).
La festa della fede diventa festa dell’uomo e del creato: quella festa che a Natale
si esprime anche mediante gli addobbi sugli alberi, per le strade, nelle case. Tutto
rifiorisce perché Dio è apparso in mezzo a noi. La Vergine Madre mostra il Bambino
Gesù ai pastori di Betlemme, che gioiscono e lodano il Signore (cfr Lc 2,20);
la Chiesa rinnova il mistero per gli uomini di ogni generazione, mostra loro il volto
di Dio, perché, con la sua benedizione, possano camminare sulla via della pace. /Fine