Mons. Crociata: più sostanza spirituale nelle omelie domenicali
Una "poltiglia" insulsa, quasi una "pietanza immangiabile" o, comunque, ben "poco
nutriente". Così, agli occhi di molti fedeli italiani, devono apparire non poche delle
omelie che ogni domenica vengono pronunciate dai pulpiti. A dirlo è stato il vescovo
Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei),
intervenuto a Roma al XIV convegno liturgico per seminaristi. La tre-giorni organizzata
dal Centro di azione liturgica - associazione promossa dalla Cei - si è conclusa con
la Messa celebrata dal presidente, il vescovo di Cerignola-Ascoli Satriano, Felice
di Molfetta. Al centro dei lavori dell'assemblea "L'omelia tra celebrazione e ministerialità".
Tema che, senza troppi giri di parole, è stato affrontato dal segretario generale
della Cei. "Sarebbe oltremodo deplorevole - ha detto mons. Crociata, ripreso da L’Osservatore
Romano - far diventare le omelie occasioni per scagliare accuse e contumelie, rimproveri
e giudizi di condanna; ma anche il contrario risulta insulso, quando le nostre parole
si riducono a poveri raccatti di generiche esortazioni al buonismo universale". Insomma,
l'obiettivo è quello di riuscire a coniugare, sia nella vita spirituale che nell'azione
pastorale, "consolazione e monito, speranza e serietà d'impegno, fiducia gioiosa e
necessaria severità, annuncio della salvezza e invito, direi sfida, alla decisione".
Un equilibrio delicato e fragile, una "tensione polare" - afferma mons. Crociata -
che può mantenere "solo chi ha imparato a reggerla, solo chi si è deciso per Cristo
sperimentandone allo stesso tempo la dolcezza e la consolazione". Esiste, insomma
- rileva il segretario generale della Cei - "un principio d'ordine teologico-spirituale
che presiede al servizio ministeriale della predicazione liturgica". E cioè che "anche
la presa di parola nella liturgia è espressione del comune stare sotto la Parola di
Dio, "in religioso ascolto di essa, come esordisce la Dei Verbum, proprio di tutta
la Chiesa sempre". In primo luogo - spiega Crociata - "poiché anche l'omelia è trasmissione
della Parola di Dio". E poi "perché il primato rimane all’iniziativa di Dio che agisce
con efficacia in essa e attraverso di essa". Pertanto, "è decisivo che l'omileta abbia
coscienza d'essere egli stesso un ascoltatore, anzi d'essere il primo ascoltatore
delle parole che pronuncia. Egli deve sapere innanzitutto, se non solamente, rivolta
a sé quella parola che sta pronunciando per altri". "Non si tratta - avverte Crociata
- di recepire la novità portata da Cristo come una mera conoscenza intellettuale,
secondo una "posizione gnostica ricorrente nella storia, dentro o fuori lo spazio
ecclesiale". Così "se in passato dovevamo guardarci dalla tentazione del moralismo,
oggi a essa se ne aggiungono altre, le quali arrivano a relegare la fede in una sfera
interiore, anzi quasi privata o intimistica, per lasciare poi libero campo a ogni
genere di comportamenti ". (V.V)