2009-12-30 11:58:52

Il rabbino Di Segni: la visita del Papa alla Sinagoga di Roma, tappa fondamentale del dialogo


Proseguono i preparativi per la visita del Papa nella Sinagoga di Roma, il prossimo 17 gennaio in occasione della Giornata per il dialogo ebraico-cristiano. Si tratta della terza Sinagoga visitata da Benedetto XVI dopo quelle di Colonia, nel 2005, e di Park East a New York, nel 2008. Già subito dopo l’elezione al Soglio pontificio, Benedetto XVI aveva manifestato con un messaggio al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni la sua volontà di confidare “nell’aiuto dell’Altissimo per continuare il dialogo e rafforzare la collaborazione con i figli e le figlie del popolo ebraico”. L'evento si svolgerà a quasi 24 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nella Sinagoga di Roma, avvenuta il 13 aprile 1986. Ma con quale spirito la comunità ebraica della capitale vive questo appuntamento? Fabio Colagrande lo ha chiesto allo stesso rabbino Di Segni:RealAudioMP3

R. – Con la consapevolezza che si tratti di un avvenimento importante, di una tappa fondamentale nel dialogo, e con una grande attesa per tutto ciò che questo potrà significare in termini di prospettive del clima generale.
 
D. – Cosa ha rappresentato per i rapporti tra ebrei e cattolici la visita di Giovanni Paolo II del 13 aprile del 1986?
 
R. – Essenzialmente la caduta di un muro di diffidenza: ne abbiamo avuto proprio la sensazione palpabile nel corso degli anni.
 
D. – In qualche modo quindi leggete questa visita in continuità con quella?
 
R. – Sì, è un gesto di continuità, prima di tutto.
 
D. – Il Papa sarà in visita alla Sinagoga romana, in occasione della ricorrenza del Mo'ed di piombo. Che significato dà a questa coincidenza?
 
R. – Bisognerebbe spiegare che ricorrenza è: ci fu un assalto al ghetto nel 1793 da parte della plebaglia, chiamiamola così, che vedeva nella comunità ebraica la sostenitrice dei diritti promossi dalla Rivoluzione francese. Chiaramente la comunità ebraica non ne poteva più di stare chiusa nel ghetto sotto una politica restrittiva delle libertà e quindi simpatizzava per la Rivoluzione. Ci fu un assalto al ghetto. Si chiama di piombo, perché il cielo si colorò di un colorito plumbeo e cominciò un acquazzone che spense l’incendio che era stato appiccato alla Sinagoga e anche gli entusiasmi degli assalitori. Che significato ha? Chiaramente stiamo in una fase storica completamente differente, in cui è finito il ghetto con le repressioni della libertà e oggi dobbiamo guardare al rapporto tra ebraismo e cristianità in maniera completamente differente.
 
D. – La visita del prossimo 17 gennaio avverrà ad un anno di distanza dalla scelta dei rabbini italiani di non partecipare alla Giornata del dialogo ebraico-cristiano per la questione della preghiera del Venerdì Santo. Quella vicenda, rabbino Di Segni, è ormai chiusa?
 
R. – Diciamo che la vicenda è chiusa dal punto di vista diplomatico. Esiste ancora una preghiera che si chiama “De conversione iudeorum”. Quindi, era necessario avere dei chiarimenti, soprattutto a livello locale. Da quando il cardinale Bagnasco, nella sua qualità di presidente della Conferenza episcopale italiana, ha dichiarato esplicitamente che la Chiesa cattolica non ha intenzioni “conversionistiche” nei confronti degli ebrei, noi possiamo affrontare serenamente il dialogo, perché l’intenzione “conversionistica” è francamente un muro che impedisce la comunicazione. A questo punto andiamo avanti, sperando che sul campo si realizzi quello che desideriamo per il bene di tutti quanti.
 
D. – A proposito di chiarimenti, rabbino Di Segni, pochi giorni fa lei ha manifestato il suo apprezzamento per le parole di padre Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, dopo la pubblicazione del Decreto sulle virtù eroiche di Pio XII. Che importanza ha avuto questo chiarimento?
 
R. – Il chiarimento di padre Lombardi, che penso sia importante e come tale debba essere riconosciuto e non minimizzato, ha avuto un senso nel cambiare un clima, nel senso che ha dato un segno della sensibilità vaticana alla reazione ebraica a questo Decreto.
 
D. – Quindi momenti di divergenze, di contrasto, nonostante i quali il dialogo può e deve continuare. Lei la pensa così?
 
R. – Sì, assolutamente, perché se noi ci fermiamo alle cose che ci dividono profondamente non andiamo da nessuna parte. Dovremmo pensare piuttosto alle cose che ci uniscono, lasciando le controversie ai tavoli di discussione, che non devono mancare, ma che devono essere fatte al tempo giusto e con la serenità dovuta. D’altra parte il dialogo significa anche discussione. La discussione è necessaria. Se ci sono due persone che la pensano allo stesso modo, uno dei due è inutile. Quindi, le divergenze sono importanti per andare avanti. Al di là di questo, però, bisogna lanciare dei messaggi di fratellanza, di impegno per tutti quanti. Il mondo ci sta guardando appunto per vedere se riusciamo a realizzare queste cose. E questa è la sfida, chiamiamola così, che si pone di fronte a noi, nella prospettiva di questa visita.







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