Lo Yemen, nuova frontiera Usa della lotta al terrore
E il fallito attentato all’aereo diretto a Detroit, negli Stati Uniti, ha portato
a puntare i riflettori sullo Yemen, dove, secondo il "New York Times", gli Stati Uniti
avrebbero aperto un nuovo fronte di lotta al terrorismo di Al Qaeda. Secondo le indiscrezioni
alcune unità speciali dei Servizi segreti americani avrebbero iniziato ad addestrare
le forze di sicurezza yemenite alle tattiche antiterrorismo. Sembra che lo stesso
giovane nigeriano autore del fallito attacco abbia ricevuto l’esplosivo e le istruzioni
per l’assemblaggio nello Yemen, circostanza ancora non confermata ufficialmente. Sull’attentato
e sulla situazione nello Yemen, Debora Donnini ha intervistato Maurizio
Calvi, presidente del Ceas, Centro Alti studi per la lotta al terrorismo:
R. – Se è
accaduto questo fatto lo si deve essenzialmente alle maglie che si sono aperte nella
lotta al terrorismo islamico. Il governo yemenita è alleato con il governo degli Stati
Uniti e nonostante ciò lo Yemen ha un’area non sotto controllo e dalla quale provengono
ovviamente le minacce alla Comunità internazionale. Non vi è dubbio che lo Yemen e
la Somalia siano Stati nei quali si concentrino, dal punto di vista territoriale,
masse fortissime jihadiste. Il problema è che si tratta anzitutto di cellule – come
io le definisco – di "cani sciolti", anche se debbo ritenere che il tentativo di attentato
sull’aereo diretto a Detroit abbia visto non solo la presenza di questo nigeriano,
ma anche la possibilità che questo nigeriano sia stato accompagnato sia nella concertazione,
sia nella formazione, a livelli più alti di alleanze. Di questo non vi è dubbio. D.
– Si è fatto il nome di Anwar al-Awlaki, l’imam che si troverebbe nello Yemen e che
avrebbe legami anche con Nidal Malik Hasan, il maggiore dell’esercito americano autore
della strage di Fort Hood in Texas, compiuta in novembre e nella quale sono morte
13 persone. Questo Anwar al-Awlaki potrebbe essere una nuova figura di spicco di Al
Qaeda? R. - Anwar al-Awlaki, secondo analisi che abbiamo fatto,
è l’espressione più alta oggi dell’organizzazione di Al Qaeda nel mondo. E’ lui la
persona su cui si debbono concentrare le maggiori attenzioni. D.
– Il governo dello Yemen è alleato con gli Stati Uniti e il nome del giovane nigeriano
era segnalato. Cosa non ha funzionato? R. – Se è accaduto questo
lo si deve essenzialmente ad un rallentamento dell’azione di prevenzione e di contrasto
al terrorismo internazionale e soprattutto dell’elemento di prevenzione, perché bastavano
3-4 piccoli controlli.