La Carità è la forza che muove la storia: dopo il pranzo del Papa con i poveri
di Sant’Egidio, il commento del prof. Impagliazzo
Una giornata indimenticabile nel segno dell’amore verso i più bisognosi: è lo spirito
che ha contraddistinto il pranzo del Papa con i poveri, ieri, alla mensa di Trastevere
della Comunità di Sant’Egidio. “Un’esperienza commovente”, l’ha definita Benedetto
XVI, che ha vissuto con grande semplicità la giornata assieme ai poveri accolti nella
struttura. Uno dei momenti più significativi è stato l’incontro con una trentina di
stranieri che studiano l’italiano presso la Comunità. A loro il Papa ha rivolto un
saluto a braccio. Il servizio di Alessandro Gisotti: “La lingua
- ha detto Benedetto XVI - è realmente la chiave dell’integrazione per vivere insieme,
per essere una famiglia”: “Nella lingua si nasconde tutta
una cultura, una storia di cultura e anche il futuro della cultura”. Ha
quindi ringraziato la Comunità di Sant’Egidio per l’impegno a far entrare persone
straniere nella ricchezza di una grande lingua come quella italiana che “porta in
sé la radice latina e porta in sé anche il futuro dell’Europa”. Il Papa ha espresso
l’auspicio che gli insegnanti siano “capaci di integrare altri in questa cultura e
in questa nazione e costruire insieme” il “futuro dell’Europa, un’Europa basata sulle
culture”. Infine, ha sottolineato che Cristo è la fonte di ogni autentica cultura: “Alla fine il Signore ha ispirato la cultura, ha ispirato la lingua.
Imparando la lingua impariamo anche la vicinanza con Dio.” Per
una riflessione sul significato di questa visita alla mensa di Trastevere, Alessandro
Gisotti, ha intervistato il prof. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità
di Sant’Egidio:
R. - E’ stato
un evento di grande festa, un prolungamento del Natale nella festa della Santa Famiglia.
Quello che mi è parso molto significativo è stata la serenità che ha contraddistinto
l’incontro del Santo Padre con tanti poveri e il fatto che i poveri siano stati messi
al centro dell’attenzione: sono stati i poveri nel cuore della Chiesa e nel cuore
del mondo, attraverso la presenza del Papa. D. - Il Papa ha
detto ieri: “Chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito”. Il Papa ha
dunque indicato l’importanza della dimensione familiare che si respira alla mensa
di Sant’Egidio... R. - Sì, nel senso che i poveri non sono i
"clienti" della Chiesa, ma sono fratelli e sorelle dell’unica grande famiglia, che
è la comunione della Chiesa: è quel “noi” della Chiesa di cui ha parlato il Santo
Padre nel messaggio natalizio per la benedizione Urbi et Orbi. E tutti abbiamo
sperimentato e sperimentiamo ogni giorno la forza della Parola di Gesù, che dice che
c’è più gioia nel dare che nel ricevere. D. - Il Papa ha ascoltato
con grande attenzione le storie anche di sofferenza di queste persone... R.
- Con grande attenzione, con grande partecipazione, perché gli sono state raccontate
le storie di un’immigrazione molto difficile, molto complicata - fosse quella dall’Afghanistan
o della Somalia - con quei lunghi viaggi terribili che gli immigrati stessi hanno
raccontato al Papa, viaggi caratterizzati dalla morte di tanti loro compagni. Oppure,
le storie di sofferenza di persone che vivono la crisi economica dei senza fissa dimora
o degli anziani che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e quindi hanno
bisogno di trovare accoglienza per il pranzo, per avere qualcosa per continuare a
vivere. Ho visto un Papa totalmente partecipe di questa sofferenza. D.
- Può raccontarci un evento, un aneddoto della bella giornata di ieri che, secondo
lei, riassume il significato di questa visita del Papa alla mensa di Sant’Egidio? R.
- Quando il Papa ha scoperto la targa che ricorda la sua visita alla mensa, ha detto:
“No, non dovevate fare questo!”. E noi abbiamo detto: “Padre Santo, è un fatto storico
che lei abbia mangiato con i poveri a questa mensa”. E lui ha risposto: “Il fatto
storico è questa carità della vostra comunità e della Chiesa, che si esprime ogni
giorno verso i poveri. Questa è la storia, perché è la storia del Vangelo che si realizza”. La
Carità, l’amore evangelico, è stato dunque il cuore di questo evento di ieri. E’ quanto
sottolinea il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi,
al microfono di Sergio Centofanti:
R. - Il
Papa parla molto di amore. Ha messo la parola “amore” due volte nei titoli delle sue
tre Encicliche, ma il Papa non ne parla solo: cerca anche di viverlo, di viverlo personalmente
e di darci così dei modelli e degli esempi di come si può vivere l’amore. Il Papa,
all’inizio dell’Avvento, ha visitato i malati terminali nell’Hospice, ieri è stato
a visitare i poveri e le persone ospiti della Comunità di Sant’Egidio nella mensa.
A febbraio prossimo, sarà anche nell’Ostello della Caritas alla Stazione Termini.
Incontrare coloro che stanno male, che sono gli ultimi, le persone in difficoltà nella
società è qualcosa che per il Papa è doveroso ed è naturale, vorrei dire. Questo è
un messaggio per tutta la Chiesa, ma anche per la società perché siamo in un mondo
in cui l’accoglienza del diverso, l’accoglienza del debole, l’accoglienza dello straniero,
di colui che parla altre lingue, di colui che ha una cultura o una religione diversa
non è sempre scontato. Pone dei problemi, genera delle difficoltà anche nella nostra
società. Ebbene, il Papa ci dà invece un esempio di fiducia nell’andare incontro agli
altri, nel vivere con gli altri in solidarietà e in amicizia. D.
- Padre Lombardi, cosa l’ha colpito in particolare di questo evento? R.
- Ci sono due aspetti che mi hanno colpito guardando proprio il Papa. Il primo è stato
l’incontro con i bambini per dare loro tanti doni, doni personalizzati, un dono che
andava bene per ognuno dei bimbi, circa una trentina, tra i due e i sette anni. Erano
bimbi molto carini ed anche di diverse provenienze, di diverse lingue - di diversi
colori, diciamo pure - e il Papa che, come un grande anziano, un saggio, si volgeva
verso di loro, dando loro un dono, naturalmente esprimeva poi il dono più profondo
della sua saggezza, del suo amore, come tramite dell’amore di Dio per loro. Il secondo
è quello dell’ascolto delle persone che si avvicinavano a lui, durante il pranzo,
degli altri commensali che erano un po’ più distanti e che non potevano parlargli
facilmente, da vicino e che quindi si avvicinavano, gli parlavano all’orecchio, gli
raccontavano la loro storia. Il Papa ascolta sempre molto ed ha ascoltato queste storie;
ha fatto riferimento anche nel suo discorso alle storie che ha ascoltato, che sono
storie di singole persone, ma naturalmente tutti noi siamo singole persone e abbiamo
le nostre storie. E questo il Papa lo sa bene e porta tutte queste cose nel cuore
e le mette davanti a Dio. Ci invita ad avere questo atteggiamento di ascolto e di
accoglienza reciproca. D. - In questi giorni, si è parlato
tanto di misure di sicurezza. Eppure, il Papa vuole continuare a stare in mezzo alla
gente… R. - Certamente, e questo era proprio un caso tipico
in cui il Papa, arrivando, si sarebbe trovato in mezzo ad una gran folla che si sarebbe
assiepata all’ingresso per vederlo, per toccarlo, per stringergli la mano, per presentargli
i bambini da baciare. Ma anche all’interno, in due sale, c’erano almeno 200 persone.
Insomma, il Papa è sempre in mezzo a tanta gente, perché sono tanti quelli che vogliono
vederlo e che vogliono avvicinarsi a lui. Vive pastoralmente questa vocazione dell’incontro
con il popolo di Dio e dell’incontro con il popolo in generale, con tutti gli uomini,
con i nostri fratelli e le nostre sorelle. Se gli si toglie questo, è come togliergli
l’aria, è come togliergli veramente l’ambito naturale del suo servizio pastorale.
Certamente, bisogna avere prudenza, misure di attenzione, ma non si può togliere quella
che è la sostanza del rapporto pastorale tra il Papa e la gente. Questo comporta naturalmente,
qualche volta, anche qualche rischio. Per fortuna, la grandissima maggioranza di persone
gli vuole molto bene e sarebbe ben contenta di poterlo proteggere nel modo migliore.