Riparte lo sfruttamento del petrolio in Iraq: le speranze della popolazione
Nei giorni scorsi la questione del petrolio iracheno è balzata in primo piano: c’è
stato il momento di grande tensione con l’Iran per il conteso campo di Fakka al confine
tra Iraq e Iran e c’è stato il sabotaggio di un oleodotto, a 325 km a nord di Baghdad,
che conduce al terminale turco di Ceyhan, con il conseguente blocco delle esportazioni.
In tutto questo il petrolio ha fatto registrare un'impennata dei prezzi, circa una
settimana dopo la seconda asta per l'assegnazione di altri pozzi petroliferi fatta
dal governo iracheno. La prima c’è stata a giugno scorso. Ma a sei anni dallo scoppio
della guerra in Iraq, che dire del mercato del petrolio iracheno? Fausta Speranza
ne ha parlato con l’economista Alberto Quadrio Curzio:
R. – La situazione
è in evoluzione, anche perché l’asta per lo sfruttamento di pozzi petroliferi, recentemente
bandita, ha avuto la partecipazione di numerose società petrolifere, tra cui quella
russa, quella norvegese, quella francese, e perciò credo che il mercato del petrolio
iracheno si stia rimettendo in moto. Naturalmente, tutto ciò, se potrà portare dei
vantaggi agli iracheni, potrà creare qualche problema nella regione perché altri produttori
di petrolio vedranno ritornare sul mercato un concorrente di grandissime dimensioni
e di ancor maggiori potenzialità.
D. – Forse già stiamo vedendo qualcosa,
a questo proposito?
R. – La recente occupazione, peraltro di natura
simbolica, da parte di truppe iraniane di un pozzo petrolifero, era determinata dalla
vicinanza a quel pozzo di circa 3.500 fuoriusciti iraniani che rappresentano in qualche
modo un fastidio per il regime degli ayatollah. E tuttavia, laddove l’Iraq ritornasse
a pieno regime nella produzione petrolifera, sembra addirittura con 10-12 milioni
di barili di petrolio al giorno, allora per l’Iran sarebbe un problema dal punto di
vista economico, perché la concorrenza diventerebbe molto molto forte. In altre parole,
con quella produzione l’Iraq sarebbe il secondo produttore al mondo subito dopo l’Arabia
Saudita e probabilmente prima dell’Iran stesso.
D. – Professore, che
cosa dire della presenza delle multinazionali, in questo momento?
R.
– Le multinazionali sono abbastanza diversificate, nel senso che quelle americane
sono ancora piuttosto caute e tuttavia, chiaramente, aspettano una maggiore normalizzazione
della situazione per intervenire al fine di sfruttare i più grandi pozzi petroliferi,
tra cui quello contiguo a Baghdad – Baghdad Est – che è probabilmente uno dei più
grandi al mondo. Altre imprese sono presenti e sono attive, tra cui quelle italiane
– l’Eni – ma direi che ovviamente tutto il mondo dell’estrazione petrolifera è attentissimo
sull’evoluzione dell’Iraq perché le riserve petrolifere di questo Paese sono certamente
molto, molto grandi, e vi è ancora spazio per l’utilizzo delle medesime.
D.
– Le multinazionali sottostanno a delle regole: c’è un controllo?
R.
– Certamente il controllo ci sarà, anche perché bisogna dire che le multinazionali
petrolifere - tra cui si colloca anche l’Eni che, debbo dire, è una compagnia di tutto
rispetto e anche tra le più accreditate anche per comportamenti corretti nei Paesi
dove si estrae il petrolio - ebbene, le compagnie si controllano l’una con l’altra;
ragion per cui non credo che ci possano essere forme particolari di attività sul confine
del lecito da parte delle compagnie petrolifere. La mia impressione è che il vero
problema dell’Iraq rimanga quello di trovare una nuova pacificazione che richiederà
molto, molto tempo. E questo è certamente un fatto assai triste, perché in quell’area
c’è bisogno di pace, non c’è bisogno di guerra!
Ma qual è il sentire della
popolazione irachena in relazione alla questione dello sfruttamento del petrolio?
Fausta Speranza lo ha chiesto al giornalista iracheno Latif Al Saadi:
R. – La situazione
in Iraq è molto difficile, molto complicata, ma in mezzo a tanta preoccupazione rimane
comunque la speranza. La gente guarda al futuro con paura, ma coglie qualunque elemento
possa far rinascere la speranza e un sentimento positivo. Si guarda dunque agli accordi
stipulati con compagnie multinazionali ed agli investimenti che ne conseguiranno in
termini positivi. Gli iracheni sono intelligenti, anche i più semplici, e hanno capito
che, contrariamente a quello che hanno detto i mass media, non sarà soltanto la compagnia
americana che dominerà le risorse petrolifere irachene, perché già sono entrate a
far parte degli accordi una compagnia dell’Angola, una della Malaysia, una della Turchia,
e altre … Tutti sono entrati a far parte di un consorzio: non è una compagnia ma un
collettivo di diversi elementi. I cinesi hanno una forte partecipazione, per esempio.
Un altro aspetto molto importante è che questi accordi non sono accordi di partecipazione,
cioè le compagnie non prendono percentuali, non si torna alla statalizzazione del
petrolio: sono tutti accordi di servizio. Ma c’è anche paura, la paura viene dal fatto
che questi accordi hanno una durata di 20 anni: la gente teme che questi 20 anni possano
compromettere o influenzare la capacità di autodeterminazione degli iracheni sul futuro
dell’Iraq, per quanto riguarda le risorse petrolifere. Comunque, negli iracheni in
generale prevale la speranza di migliorare la vita, di un progresso per la costruzione
di un Iraq democratico, capace di essere un elemento fondamentale in Medio Oriente.
Posso garantire che questa è l’opinione della maggior parte degli iracheni!