2009-12-27 14:59:59

Riparte lo sfruttamento del petrolio in Iraq: le speranze della popolazione


Nei giorni scorsi la questione del petrolio iracheno è balzata in primo piano: c’è stato il momento di grande tensione con l’Iran per il conteso campo di Fakka al confine tra Iraq e Iran e c’è stato il sabotaggio di un oleodotto, a 325 km a nord di Baghdad, che conduce al terminale turco di Ceyhan, con il conseguente blocco delle esportazioni. In tutto questo il petrolio ha fatto registrare un'impennata dei prezzi, circa una settimana dopo la seconda asta per l'assegnazione di altri pozzi petroliferi fatta dal governo iracheno. La prima c’è stata a giugno scorso. Ma a sei anni dallo scoppio della guerra in Iraq, che dire del mercato del petrolio iracheno? Fausta Speranza ne ha parlato con l’economista Alberto Quadrio Curzio:RealAudioMP3

R. – La situazione è in evoluzione, anche perché l’asta per lo sfruttamento di pozzi petroliferi, recentemente bandita, ha avuto la partecipazione di numerose società petrolifere, tra cui quella russa, quella norvegese, quella francese, e perciò credo che il mercato del petrolio iracheno si stia rimettendo in moto. Naturalmente, tutto ciò, se potrà portare dei vantaggi agli iracheni, potrà creare qualche problema nella regione perché altri produttori di petrolio vedranno ritornare sul mercato un concorrente di grandissime dimensioni e di ancor maggiori potenzialità.

D. – Forse già stiamo vedendo qualcosa, a questo proposito?

R. – La recente occupazione, peraltro di natura simbolica, da parte di truppe iraniane di un pozzo petrolifero, era determinata dalla vicinanza a quel pozzo di circa 3.500 fuoriusciti iraniani che rappresentano in qualche modo un fastidio per il regime degli ayatollah. E tuttavia, laddove l’Iraq ritornasse a pieno regime nella produzione petrolifera, sembra addirittura con 10-12 milioni di barili di petrolio al giorno, allora per l’Iran sarebbe un problema dal punto di vista economico, perché la concorrenza diventerebbe molto molto forte. In altre parole, con quella produzione l’Iraq sarebbe il secondo produttore al mondo subito dopo l’Arabia Saudita e probabilmente prima dell’Iran stesso.

D. – Professore, che cosa dire della presenza delle multinazionali, in questo momento?

R. – Le multinazionali sono abbastanza diversificate, nel senso che quelle americane sono ancora piuttosto caute e tuttavia, chiaramente, aspettano una maggiore normalizzazione della situazione per intervenire al fine di sfruttare i più grandi pozzi petroliferi, tra cui quello contiguo a Baghdad – Baghdad Est – che è probabilmente uno dei più grandi al mondo. Altre imprese sono presenti e sono attive, tra cui quelle italiane – l’Eni – ma direi che ovviamente tutto il mondo dell’estrazione petrolifera è attentissimo sull’evoluzione dell’Iraq perché le riserve petrolifere di questo Paese sono certamente molto, molto grandi, e vi è ancora spazio per l’utilizzo delle medesime.

D. – Le multinazionali sottostanno a delle regole: c’è un controllo?

R. – Certamente il controllo ci sarà, anche perché bisogna dire che le multinazionali petrolifere - tra cui si colloca anche l’Eni che, debbo dire, è una compagnia di tutto rispetto e anche tra le più accreditate anche per comportamenti corretti nei Paesi dove si estrae il petrolio - ebbene, le compagnie si controllano l’una con l’altra; ragion per cui non credo che ci possano essere forme particolari di attività sul confine del lecito da parte delle compagnie petrolifere. La mia impressione è che il vero problema dell’Iraq rimanga quello di trovare una nuova pacificazione che richiederà molto, molto tempo. E questo è certamente un fatto assai triste, perché in quell’area c’è bisogno di pace, non c’è bisogno di guerra!

Ma qual è il sentire della popolazione irachena in relazione alla questione dello sfruttamento del petrolio? Fausta Speranza lo ha chiesto al giornalista iracheno Latif Al Saadi:RealAudioMP3

R. – La situazione in Iraq è molto difficile, molto complicata, ma in mezzo a tanta preoccupazione rimane comunque la speranza. La gente guarda al futuro con paura, ma coglie qualunque elemento possa far rinascere la speranza e un sentimento positivo. Si guarda dunque agli accordi stipulati con compagnie multinazionali ed agli investimenti che ne conseguiranno in termini positivi. Gli iracheni sono intelligenti, anche i più semplici, e hanno capito che, contrariamente a quello che hanno detto i mass media, non sarà soltanto la compagnia americana che dominerà le risorse petrolifere irachene, perché già sono entrate a far parte degli accordi una compagnia dell’Angola, una della Malaysia, una della Turchia, e altre … Tutti sono entrati a far parte di un consorzio: non è una compagnia ma un collettivo di diversi elementi. I cinesi hanno una forte partecipazione, per esempio. Un altro aspetto molto importante è che questi accordi non sono accordi di partecipazione, cioè le compagnie non prendono percentuali, non si torna alla statalizzazione del petrolio: sono tutti accordi di servizio. Ma c’è anche paura, la paura viene dal fatto che questi accordi hanno una durata di 20 anni: la gente teme che questi 20 anni possano compromettere o influenzare la capacità di autodeterminazione degli iracheni sul futuro dell’Iraq, per quanto riguarda le risorse petrolifere. Comunque, negli iracheni in generale prevale la speranza di migliorare la vita, di un progresso per la costruzione di un Iraq democratico, capace di essere un elemento fondamentale in Medio Oriente. Posso garantire che questa è l’opinione della maggior parte degli iracheni!







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