Festa della Santa Famiglia: la riflessione di padre Piergiordano Cabra
“Prototipo di ogni famiglia cristiana”: così Benedetto XVI definisce la Santa Famiglia
di Gesù, Giuseppe e Maria che la Chiesa celebra oggi, nella domenica successiva al
Natale e prima dell’inizio del nuovo anno. Ma come nasce la Festa della Santa Famiglia?
Isabella Piro lo ha chiesto a padre Piergiordano Cabra, appartenente
alla Congregazione della Sacra Famiglia di Nazaret:
R. – Si può
dire che è una festa piuttosto recente, a conclusione – però – di secoli di crescente
devozione. È stata istituita da Papa Benedetto XV intorno al 1920; la Santa Famiglia
inizia con l’incontro di due giovani e del loro fidanzamento, ma il corso ordinario
della loro storia diventa straordinario per l’intervento di Dio. E così, analogamente,
anche la famiglia cristiana è una famiglia normale, ma è straordinaria perché ha il
compito di far crescere i figli di Dio nel mondo.
D. – Cosa dice questa
festa alle famiglie di oggi, spesso minacciate da chi parla di aborto o di unioni
alternative al matrimonio tra uomo e donna?
R. – La Santa Famiglia si
può dire che è un modello alternativo ai modelli alternativi. Se Giuseppe, perplesso
e sconvolto di quello che succede in Maria, avesse insistito per l’aborto, noi non
avremmo avuto Gesù. E se Dio avesse voluto, per venire al mondo gli bastava Maria:
Giuseppe, in fondo, era superfluo. Ma Dio volle che suo Figlio crescesse in una famiglia
normale, con mamma e papà, perché assieme potessero affrontare le difficoltà di educare
il figlio secondo la legge del Signore che intendeva far di lui un suo servo.
D.
– Maria e Giuseppe quale modello di genitori sono?
R. – In primo luogo,
sono genitori che vivono la presenza di Dio, che sanno che quando Dio parla tutto
diventa possibile. Maria e Giuseppe, poi, sono educatori secondo le loro caratteristiche
peculiari: Maria trasmette il suo sentirsi amata dal Signore ed è il punto fondamentale
– penso – di ogni educazione cristiana. Se Maria trasmette il senso del dono, Giuseppe
trasmette il senso della risposta al dono, cioè della responsabilità, dell’impegno,
dell’affrontare con forza le difficoltà della vita. Ma entrambi, poi, sono sorpresi
dall’inattesa affermazione di indipendenza di Gesù: ad un certo punto, a 12 anni,
egli dice “Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Anche oggi
i genitori possono sentirsi dire dai figli affermazioni di indipendenza e purtroppo,
non sempre per fare le cose del Padre, ma per fare cose che non sembra giusto fare.
Cosa fare, allora? Talvolta, amare e richiamare quello che è giusto, altre volte amare
e tacere. Spesso, amare e accompagnare; sempre, amare e accompagnare con la preghiera.
D.
– I figli di oggi, invece, cosa imparano guardando a Gesù?
R. – I figli
possono imparare che hanno il diritto di scegliere la loro strada nella vita, ma che
la maniera più sicura è quella di viverla all’interno della propria famiglia, imparando
che l’obbedienza è la via più sicura per far sì che la libertà non diventi libertinaggio,
che l’affermazione di sé non si trasformi in una lotta contro tutti e per rendersi
conto che la vita non è fatta solo di diritti, ma anche di doveri; non solo di rivendicazioni,
ma anche di servizio, ma soprattutto essere grati di avere avuto chi ha pensato a
noi.
D. – La Congregazione della Sacra Famiglia di
Nazaret cui lei appartiene, come mette in pratica gli insegnamenti evangelici sulla
famiglia?
R. – La Congregazione si adopera nei vari
campi della gioventù più povera, nel Terzo Mondo con gli orfanotrofi, con l’educazione
dei meno privilegiati, sempre preparando – per quanto sia possibile – alla famiglia.
La Congregazione si adopera per dare esempio di vita fraterna vissuta e qui facciamo
l’impossibile, ma sempre guardando al modello della Santa Famiglia che ci incoraggia,
ci impegna, ma soprattutto ci sostiene.