Sulle orme di Santo Stefano: martiri e testimoni del Vangelo nel XXI secolo
Nella festa di Santo Stefano, primo martire, è bene ricordare che i cristiani ancora
oggi sono la comunità più perseguitata nel mondo: si parla di 200 milioni di fedeli
sottoposti ad attacchi, discriminazioni, limitazioni dei propri diritti. Il servizio
di Amedeo Lomonaco:
L’annuncio
del Vangelo in varie parti del mondo può essere visto come una provocazione, una sfida
od un procedere controcorrente. Ci sono luoghi dove questo annuncio è intimamente
legato alla storia della salvezza: essere testimoni nella Terra Santa, dove la Parola
è sgorgata per ogni uomo, significa percorrere un itinerario di fede spesso segnato
anche da sofferenze e discriminazioni. E’ quanto sottolinea daGerusalemmel’inviatodiAvvenire,Luigi Geninazzi:
R. - Essere
credenti qui, in questa terra, è una grande grazia, ma all'interno di una situazione
di sofferenza che dura da parecchi anni. E’ una situazione tipica della popolazione
della Terra Santa dove i cristiani, negli ultimi tempi, hanno qualche problema in
più. Ci sono state anche violenze, intimidazioni contro le famiglie cristiane nella
Striscia di Gaza, nella quale risiedono poco più di duemila fedeli. Tutto questo ci
fa capire come in questa terra martoriata per i cristiani la situazione diventi sempre
più difficile.
D. - Quali sono i frutti ottenuti
attraverso la testimonianza di quanti proclamano il Vangelo nei Luoghi Santi?
R.
- La testimonianza in questa terra è sempre stata molto presente: pur essendo una
comunità numericamente ridotta, ci sono tantissimi segni a livello educativo, a livello
di assistenza. Pensiamo alle scuole cristiane, nelle quali tanti musulmani vengono
educati: questo è un seme di speranza, per il futuro. E’ il migliore antidoto contro
la tentazione del fanatismo, dell’intolleranza e della violenza da parte dell’estremismo
islamico. Sono segni che convivono, purtroppo, accanto a segnali di intolleranza diventati
molto duri e pesanti, fino al martirio vero e proprio, come è successo in Iraq. Ma
incominciano ad avvertirsi un po’ in varie parti del Medio Oriente.
D.
- In Medio Oriente, c’è un altro fenomeno che desta molta preoccupazione: la strumentalizzazione
del martirio…
R. - Si tratta dei cosiddetti shahid
- i kamikaze - di parte islamica: questo è uno dei punti cruciali dei una pratica
che, per fortuna - almeno qui in Palestina e in Israele - si è interrotta. Però, è
chiaro che dello shahid, colui che sacrifica la propria vita contro il nemico,
si sente ancora il mito. E’ molto forte e viene incoraggiato nella Striscia di Gaza
dove comanda Hamas.
In Europa, le radici cristiane
sono oggi offuscate dalla secolarizzazione, da un preoccupante processo di allontanamento
da Dio. Ai valori spirituali si contrappongono modelli di vita incentrati sul materialismo
e sull’individualismo. Fulvio Scaglione, vicedirettore di “Famiglia
cristiana”:
R. - Se guardiamo al resto del mondo,
ci rendiamo conto di quanto spirito evangelico veramente ci voglia oggi e di quanto
bisogno abbiamo di tenere sempre presenti i grandi valori spirituali che il Vangelo
ci ha trasmesso. Altrimenti, finiamo per essere travolti da questo ritmo del benessere
che è una specie di "Kronos" che mangia i propri figli. Questa nostra società del
benessere - che è una grande conquista - si alimenta instillandoci un bisogno al giorno,
una dipendenza quotidiana. E quindi un grande messaggio di liberazione, come quello
del Vangelo, è più prezioso.
D. - Si deve evitare,
quindi, il rischio non tanto di una mancanza di libertà religiosa, quanto di una dissolvenza
religiosa. Spesso si tende in Europa a far sparire l’elemento spirituale…
R.
- Da questo punto di vista, credo che il secolarismo sia certamente il pericolo che
abbiamo tutti presente. Però, sono anni che i "defensores fidei" abbondano. Bisogna
fare un po’ d’attenzione, usare un minimo di discernimento, perché non si possono
adorare gli idoli e venerare il Crocifisso a settimane alterne. Il Vangelo ci insegna
cose precise. Il Vangelo è apertura a tutti, agli altri. E questa non è un’opzione:
questo è un valore ben preciso.
L’Africa, terra di
missione scossa dalla povertà e da varie forme di corruzione, richiede una costante
traduzione del Vangelo nella quotidianità. Schierarsi dalla parte dei poveri significa
per molti missionari esporsi ogni giorno a rischi che possono avere anche conseguenze
drammatiche. Sulla testimonianza di quanti proclamano il Vangelo in Africa, l'opinione
del missionario comboniano, padre Giulio Albanese:
R.
- E’ testimonianza allo stato puro. Questo significa essere al fianco dei poveri,
di coloro che vivono nei cosiddetti bassifondi della storia, nelle periferie del villaggio
globale. In Africa, tutto questo ha un significato particolare, soprattutto se si
pensa al caro prezzo pagato dalle Chiese locali in molte circostanze. Pensiamo al
Sudan meridionale, alla Repubblica Democratica del Congo, tutti scenari che ancora
oggi sono infuocati. Direi che la differenza sostanziale, rispetto alla Chiesa dei
primi secoli, è che oggi in molte circostanze i missionari - religiose, religiosi,
sacerdoti "fidei donum", volontari, ma anche tanti laici, sacerdoti diocesani locali
- pagano il prezzo della testimonianza: innanzitutto e soprattutto, perché hanno fatto
la scelta di difendere i diritti umani, di difendere la sacralità della vita umana
nel suo complesso. Pagano questo prezzo perché vedono, innanzitutto e soprattutto
nei poveri, l’immagine del Cristo Crocifisso: i poveri che sono davvero l’icona di
Cristo nella società contemporanea.
D. - Qualche
storia emblematica sul senso del martirio in Africa…
R.
- Testimonianze più emblematiche ci vengono proprio da quelle realtà che sono una
sorta di linea di faglia tra gli opposti schieramenti. Penso a tanti missionari che,
per esempio, in un contesto come è quello dell’ex Zaire - il settore orientale della
Repubblica Democratica del Congo - hanno fatto la scelta di rimanere.Mi vengono
in mente, per esempio, i Missionari Saveriani, ma anche di altri Istituti che hanno
deciso di rimanere al fianco della gente proprio perché di fatto la Chiesa è l’unica
realtà, l’unica istituzione che li sostiene.
Anche in America Latina,
proclamare il Vangelo può portare alla persecuzione e al martirio. E un altro dramma,
sempre più frequente, è quello della violenza comune che colpisce diversi missionari,
vittime di rapine e agguati. Il giornalista cileno della nostra emittente, Luis
Badilla:
R. - Purtroppo, in l’America
Latina nel 2009 ancora una volta la situazione, per quanto riguarda la vita dei missionari,
è sempre critica. L’America Latina continua ad essere quella parte della Chiesa, quel
territorio missionario dove più è pericoloso proclamare il Vangelo.
D.
- Quali sono le cause di queste violenze?
R. - Questi
missionari sono vittime - o sono stati vittime - o della violenza anti-religiosa,
per la stragrande maggioranza, oppure della violenza comune, delinquenziale. Molti
di questi sacerdoti hanno perso la vita per ciò che dicevano, per quello che proclamavano
come pastori nelle loro chiese, all’interno delle comunità, nei loro Paesi, nel loro
territorio di missione. Altri sono stati uccisi come un qualsiasi cittadino. Sono
stati vittime della violenza comune che in America Latina negli ultimi anni è molto
aumentata. Dobbiamo quindi distinguere in questo senso: da una parte, evidentemente
c’è un odio alla fede, alla religione, alla Chiesa cattolica e al suo magistero e,
soprattutto, ai suoi pastori. D’altra parte, anche i sacerdoti spesso subiscono le
conseguenze della violenza comune, dei furti, degli agguati. Anche questo purtroppo
fa parte della vita della Chiesa. E’ doloroso tanto quanto la violenza anti-religiosa.
In
Asia, infine, la mappa del martirio e della persecuzione contro i cristiani è alimentata
soprattutto dalla mancanza di libertà religiosa e dal fondamentalismo. Padre
Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:
R.
- Si può dire che più di due terzi - credo - dei Paesi dell’Asia soffrano di mancanza
di libertà religiosa. I cristiani ne fanno le spese. Ci sono degli Stati che limitano
la libertà religiosa per legge. Ci sono casi come la Cina, il Vietnam, la Corea del
Nord e ci sono invece aree dove, anche se ci sono Stati che riconoscono o garantiscono
la libertà religiosa, c’è però una pressione sociale anticristiana. Per esempio, l’India,
il Pakistan, l’Indonesia… E poi ci sono tutti i Paesi musulmani nei quali, effettivamente,
c’è grande difficoltà da parte dei cristiani, perché ci sono sia leggi che limitano
l’espressione religiosa, sia una mentalità diffusa se non di odio, di emarginazione
verso i cristiani.
D. - Ricordando alcune straordinarie
figure di martiri in Asia del nostro tempo, quale eredità ci hanno lasciato?
R.
- Io ho incontrato un sacerdote che era stato condannato per 30 anni ai lavori forzati
e quando è stato liberato, pur essendo anziano, ha continuato a fare catechismo nei
villaggi del Guandong, nel Sud della Cina. Ha continuato la sua missione portando
la sua gioia: una gioia della fede che è più forte delle sofferenze che aveva vissuto.
La stessa cosa mi è capitato di vedere con alcuni cristiani indiani che sono stati
torturati dai fondamentalisti indù in Orissa. Anche per loro la gioia e la voglia
di fare missione è più grande anche del martirio che hanno subito. La vittoria di
Cristo passa anche attraverso il martirio. E' più forte e produce molto più frutto
che non l’odio di cui si è oggetto.