Santo Stefano, la fierezza di essere un cristiano. Intervista con mons. Michele Masciarelli
Coraggio e mitezza, orgoglio per la propria identità di cristiano e capacità di perdono
fino all'ultimo istante del sacrificio più estremo: c'è tutto questo in Santo Stefano
che affronta il martirio per Cristo. Al microfono di Federico Piana, ne parla
mons. Michele Giulio Masciarelli, docente alla Pontificia Facoltà Teologica
Marianum e all’Istituto teologico abruzzese-molisano di Chieti:
R. - E’ il
primo che testimonia la fedeltà a Cristo. E’ significativo che proprio a ridosso del
Natale cada la festività di Santo Stefano. San Fulgenzio di Ruspe dice: “Ieri il nostro
re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare
il mondo; oggi il combattente uscito dalla tenda del suo corpo, è salito trionfante
in cielo”. Dunque, c’è una omogeneità di mistero fra la festa di Santo Stefano e l’evento
dell’Incarnazione. Direi che la figura di Stefano è anche molto attuale: Giovanni
Paolo II parlava del Novecento come del secolo dei martiri: ci sono più santi oggi
che nella prima ora del cristianesimo, e questo è impressionante. E’ impressionante
come in una società come la nostra così gaudente, così frivola - che ha scelto l’effimero
come cifra di riconoscimento - venga invece praticato questo cristianesimo severo,
agonico, martiriale.
D. - Santo Stefano è stato lapidato:
una storia drammatica ma allo stesso tempo bellissima, perché ha testimoniato Cristo…
R.
- E’ un cristiano della prima ora, fiero di Cristo: si sente, questa fierezza, si
sente la sua mitezza. E poi, è un testimone del perdono: è assai importante, questo.
La cultura del perdono dovrebbe tornare ad essere un distintivo del cristianesimo.
Stefano ci richiama a tanto. Il cristianesimo non può parlare di perdono solo negli
intervalli tra un’epoca e l’altra segnata dai Giubilei: il cristianesimo dev’essere
pensato come una religione sempre giubilare: cioè è una religione che, oltre al simbolo
dell’itineranza, ha quello del perdono.
D. - Nonostante
tutto, Santo Stefano non recede mai dall’amore a Cristo, non lo rinnega pur sapendo
di venire di lì a poco lapidato: dove sta la forza di Santo Stefano, di questo Santo
così coraggioso?
R. - La forza di Stefano è l’attrazione
per il Cristo. Stefano si percepisce nei due capitoli degli Atti che lo riguardano,
è profondamente attratto da Cristo. Questo è sempre attuale. Anche noi, nella nostra
scelta educativa e nell’educazione che dobbiamo promuovere, non dobbiamo spingere
il popolo cristiano dalle "spalle": è offensivo, questo. E' sbagliato anche per un
insegnante sospingere l’alunno: dai, fai qualcosa, vai avanti... no. Il problema è
attrarre dal davanti: presentare la bellezza di Gesù e di fronte a questa bellezza
noi confidiamo che l’uomo non possa resistere. Il legame di amore così potente tra
Cristo e Stefano e tra Stefano e Cristo fa sì che il martirio non venga evitato, ma
accettato, sì con paura, ma anche con slancio amoroso. (Montaggio a cura
di Maria Brigini)