Natale nel mondo: l'appello di pace da Betlemme e la paura in Iraq per le violenze
anticristiane
Migliaia di pellegrini sono giunti in Terra Santa per celebrare il Natale nei luoghi
di Gesù. Il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal - nella Messa della
Notte nella Basilica della Natività a Betlemme - ha detto che “il regalo più bello”
per israeliani e palestinesi, “al di sopra di denaro e ricchezza, è la pace”. Stamani
la Messa del Giorno di Natale. Da Betlemme il servizio di Sara Fornari: E’
tornato il Natale, a Betlemme. Intorno alla Basilica della Natività, le tenebre della
notte sono state squarciate da luminosi canti di speranza e di gioia. Centinaia di
pellegrini, a piccoli gruppi, hanno avuto la grazia di celebrare Messe, fino al mattino,
nelle grotte sottostanti l’antica Basilica e nel Campo dei pastori. Mentre nella chiesa
di Santa Caterina, adiacente la Basilica della Natività, erano almeno 2.500 i fedeli
riuniti per la Messa della Notte, una liturgia solenne, in latino, che è stata presieduta
dal patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e concelebrata – tra gli altri
- dal nunzio in Israele e delegato apostolico per Gerusalemme e Palestina, mons. Antonio
Franco, insieme alla comunità francescana, e più di 70 sacerdoti. Un’assemblea riunita
da tutte le nazioni della terra, venute ad adorare Gesù, nel luogo della sua nascita,
a cui ha preso parte anche il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas.
A tutti, il patriarca ha dato il benvenuto, “a nome del Bambino di Betlemme, e a nome
di coloro che gli sono simili: i molti bambini nati senza casa o che si trovano nei
campi profughi”. “Desideriamo tanto che questa salvezza possa continuare a realizzarsi
nell’‘oggi’ di Dio, a partire da questa città, da questa
grotta e dalla mangiatoia verso cui ci dirigeremo portando in processione il bambino
divino!”, ha proseguito mons. Twal, che ha ripetuto l’annuncio: “Il nostro Signore
e Salvatore nasce oggi, di nuovo, in mezzo a noi.La parola ‘oggi’,
rivolta dal Cielo alla Terra più di duemila anni fa, si rivolge allo stesso modo al
nostro ‘oggi’, e all’‘oggi’
degli uomini di ogni tempo, perché ‘Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi
e sempre’” (Eb 13,8). Il patriarca ha sottolineato come l’umiltà del
Verbo di Dio divenuto carne è per noi un’esortazione costante e un farmaco contro
l’orgoglio. Se Dio si è fatto il più povero tra i poveri e il più bisognoso tra i
bisognosi, “per avanzare nel nostro cammino verso la felicità eterna” non c’è altra
via da seguire, ha spiegato mons. Twal che ha ricordato che i problemi finanziari
di oggi derivano dal fatto che il mondo ha dimenticato i poveri. “Il Natale è, e sarà
sempre, un grido che turba la coscienza del mondo materialista”, che “finisce per
arricchirsi a scapito dei poveri”. A nome di tutti i concittadini di Gesù, il patriarca
ha chiesto ai credenti del mondo intero di pregare per la Terra Santa, “una terra
che soffre e che spera”, i cui abitanti vivono come fratelli nemici tra loro. Una
terra che meriterà davvero di essere chiamata “santa”
solo quando in essa si respireranno la libertà, la giustizia, l’amore, la riconciliazione.
Due dolorose domande restano sospese, nell’omelia del pastore della Chiesa latina:
come possiamo sperimentare la gioia del Natale, vedendo ripetersi il dramma che accompagnò
la nascita storica di Cristo? Come vivere la gioia e la festa, mentre commemoriamo
il primo anniversario della guerra e della tragedia di Gaza? Egli ha però proseguito:
“Tutto ciò non ci impedisce di cantare e invocare il Salvatore: ‘Se tu squarciassi
i cieli e scendessi!’. Signore, Tu sei l’Emmanuele, il ‘Dio con noi’ (Mt 1,23). Tu
solo puoi condurre al tuo presepe, attraverso la stella e la Tua grazia, gli uomini
in conflitto, i capi e i governanti che hanno il potere di decidere e di tenere in
mano il destino degli uomini. Fa’ che tutti possano conoscere il messaggio del Natale,
un messaggio che insegna l’umiltà e che ridona all’uomo la sua dignità di figlio di
Dio”. Il patriarca ha concluso invocando insieme a tutti gli uomini di buona volontà,
“la pace di Dio, fondata sulla giustizia e sulla dignità umana. (…) Ci sia concesso
di poter riconoscere in ogni uomo, donna o bambino, il Volto di Gesù, figlio di questa
terra, nostro concittadino, che disse: ‘Beati i miti, perché erediteranno
la terra. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati
gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio’” (Mt 5,5;7;9). Vigilia
di Natale di sangue, ieri, in Iraq, dove 27 persone sono rimaste uccise in tre attentati
in diverse zone del Paese. In particolare la tensione resta alta a Mosul dove ieri
è stato ucciso un altro cristiano. È il settimo attacco nell’ultimo mese: la polizia
irachena, infatti, ha messo in guardia la popolazione cristiana contro il pericolo
di attentati durante le festività e tutte le chiese sono sorvegliate da agenti. Ma
quale significato ha questo Natale in Iraq? Lo abbiamo chiesto a mons. Philip Najim,
procuratore caldeo a Roma:
R. – Questo
Natale deve avere un significato molto importante nella vita prima di tutto del cristiano,
ma anche per tutto il popolo iracheno perché tutto il popolo dell’Iraq soffre dei
danni della guerra. Questo Natale porta una speranza grande, porta una gioia grande! D.
– Quale scena di speranza dovrebbe proporre una cartolina natalizia dall’Iraq? R.
– Questa scena di speranza dipende soprattutto dai politici che attualmente governano
il Paese. Sono loro che devono garantire il diritto alla sicurezza di ogni cittadino.
Sono loro che devono cercare di ricomporre l’unità nazionale della quale noi oggi
abbiamo bisogno. La nostra vocazione religiosa è nata nella terra dell’Iraq e per
noi cristiani il Bambin Gesù è segno di speranza, di salvezza dall’amarezza quotidiana
e dal sangue che ogni giorno vediamo spargersi nelle strade di Baghdad, di Mosul e
nel resto dell’Iraq. Il Bambin Gesù è nato proprio per la popolazione di tutto il
mondo e quindi la salvezza non è solo per i cristiani, è per tutto il mondo. E’ una
salvezza di pace, di carità, di amore … Questi sono gli elementi importanti del Natale
che il popolo iracheno, oggi, deve applicare quotidianamente nella sua vita e nel
suo cammino verso la pace, verso l’amore e la carità. Restiamo
in Asia: i talebani hanno diffuso oggi un nuovo video del soldato americano catturato
sei mesi fa in Afghanistan. Nel filmato il militare esorta gli Stati Uniti a ritirarsi
dal Paese e cita la guerra in Vietnam. La notizia arriva all’indomani del messaggio
di auguri che il presidente afghano Hamid Karzai aveva rivolto alle forze militari
straniere e ai volontari civili che stanno trascorrendo il Natale in Afghanistan lontani
dalle loro famiglie.
Ancora violenze anche in Pakistan, dove questa mattina
sconosciuti hanno aperto il fuoco contro un posto di blocco della polizia nella periferia
di Peshawar, causando la morte di due agenti.
Dalla Cina arriva invece la notizia
della condanna a 11 anni di carcere per “istigazione alla sovversione” del dissidente
Liu Xiaobo, veterano della protesta di piazza Tienanmen e promotore di un documento
che propone l’instaurazione nel Paese di un sistema politico democratico. E come in
Cina anche in Thailandia la piccola minoranza cristiana celebra il Natale: a Bangkok,
la luce di Gesù Bambino arriva anche tra le baraccopoli, come riferisce il missionario
cappuccino fra Giovanni Cropelli:
R. – In Thailandia,
i cattolici sono pochissimi, sono lo 0,2 per cento della popolazione. La maggioranza
è buddista. Per quanto riguarda le comunità cattoliche, c’è il desiderio di accogliere
il Natale … D. – Con il Natale si celebra la nascita del Signore: c’è la
nascita di qualche iniziativa particolare che voi cappuccini volete sottolineare? R.
– Noi missionari ci troviamo in un convento di formazione, per cui è stato importante
aiutare i nostri giovani ad entrare proprio in questo clima di gioia, di incontro
con il Signore. E poi c’è l’esperienza di condivisione con la gente. Viviamo questa
esperienza natalizia anche andando negli slum di Bangkok, nelle baraccopoli, cercando
di portare questa esperienza a questa gente che comunque è in ricerca. Anche tantissimi
buddisti sono colpiti dalla figura di Gesù! E poi il giorno di Natale, insieme con
i nostri giovani in formazione, andiamo a visitare alcune tribù del Nord, vicino alla
Birmania, condividendo con loro momenti importanti della vita quotidiana. In particolare
la Santa Messa, perché molti di questi villaggi non hanno la possibilità di avere
i sacerdoti. E’ un Natale molto bello. Auguro che tutti possano accogliere l’altro
così come è, senza pretendere che cambi. Si deve amare l’altro e proprio amandolo
si può davvero incontrare questa misericordia. Nei Paesi più poveri
dell’Africa, dove ci sono poche possibilità per cedere al consumismo, resta intatto
lo spirito originale del Natale, come sottolinea padre Apolinar Rodriguez,
missionario saveriano in Mozambico:
R. – Grazie
a Dio non c’è il consumismo che invece si riscontra in Europa o in America dove si
assiste alla propaganda del Natale. Questa ‘propaganda’ non è ancora arrivata in Mozambico.
Tutto rimane nell’ambito religioso grazie a Dio! La comunità cristiana del Mozambico
è tanto felice, soprattutto per Dio che si incarna, che si rende presente in mezzo
a noi. D. – Il popolo africano come accoglie la nascita del
Signore? C’è la voglia di partecipare attivamente e sempre alla vita della Chiesa,
non solo a Natale? R. – Sì. C’è una partecipazione bella, ricca
di gioia, perché vivono le festività religiose – il Natale, la Pasqua, il Corpus Christi
– preparandosi alla vita quotidiana della Chiesa. In America Latina
la nascita di Gesù è attesa con particolare gioia ed entusiasmo. L’immagine del Natale
è spesso riflessa nel Presepe, talvolta espresso con alcune varianti. Ce lo racconta
Padre Siro Brunello, missionario saveriano in Brasile:
R. – Qui
è estate, fa caldo e quindi il Presepe, rappresentato secondo i canoni europei, non
ha senso! Così, insieme con i nostri cristiani, ho pensato il Presepe nella chiesa
di San Giuseppe calandolo nella realtà amazzonica. Per esempio nel nostro Presepe
il Bambino non nasce in una grotta. Nasce su un’amaca, appesa tra due palme. Vicino
ci sono San Giuseppe, la Madonna ed i pastori. Poi c’è un grande fiume e ci sono le
persone delle isole che vengono a visitare il Bambino Gesù con i loro doni. Arrivano
con la frutta, con la canna da zucchero, con prodotti locali. D.
– Quindi cambia il contesto ma sicuramente non cambia il messaggio. Quale significato
ha il Natale per la comunità cristiana brasiliana? R. – Il Natale
fa del mondo una famiglia, riunisce il mondo nello stesso sentimento e quindi sentire
la nascita di questo Bambino aiuta tutti noi a sentirci uniti agli italiani, ai francesi,
agli africani e a tutti coloro che in questo giorno celebrano la nascita del Bambin
Gesù. Auguri per tutti, pregate sempre per noi missionari che ne abbiamo tanto bisogno!
Non dimenticateci! In Italia il cardinale Angelo Bagnasco, presidente
della Conferenza episcopale, invita a non cedere alla sfiducia e all’odio che si radicano
dove ci sono sentimenti di solitudine e abbandono. Un messaggio che risuona anche
a Castel Volturno, comune in provincia di Caserta segnato dal dramma della camorra,
dove è particolarmente numerosa la comunità di immigrati, soprattutto africani, e
dove il Natale è dunque anche un’occasione per unire mondi e culture diverse, come
ci riferisce il missionario comboniano padre Giorgio Poletti:
R. – Sono
15 anni che celebriamo il Natale a Castel Volturno con la comunità di immigrati. Cerchiamo
di fare una celebrazione che accomuni tutte le nazionalità. Qualche volta ho avuto
l’impressione di vivere veramente la Pentecoste, di vedere mondi così lontani che
si incontrano attorno all’altare e celebrano l’Eucaristia. Le lingue si trovano d’accordo
nell’unica lingua che è quella di condividere l’Eucaristia nella memoria del Signore
Gesù. D. – Quale è la differenza tra l’essere missionario in Africa e,
invece, essere missionario in Italia per gli africani? R. –
Ci sono problemi diversi. Io ho vissuto in Mozambico per vari anni ma, nonostante
i problemi della fame e della morte, il tessuto sociale era come un vestito tutto
strappato sul quale noi missionari, e anche altri, cerchiamo di mettere delle toppe.
Purtroppo, a Castel Volturno non c’è il vestito e, quindi, tutto quello che si fa
non trova un sostegno. Bisogna allora credere che il bene che si fa darà risultati,
darà frutti. Ci sono infine Paesi dove il Natale si deve ancora
celebrare. Ce ne parla Padre Andry, missionario salesiano in Ucraina:
R. – Il Natale
in Ucraina viene festeggiato il 7 gennaio secondo il calendario giuliano e quindi
la cena di Natale si fa il 6 gennaio. Ci sono varie tradizioni per la celebrazione
della Vigilia di Natale: ad esempio, quando appare la prima stella in cielo, il padrone
di casa porta solennemente a casa un mazzo di spighe di grano insieme al fieno. Al
centro del tavolo si mettono poi tre candele: la prima si accende per i morti, la
seconda per i vivi e la terza per i non ancora nati. Dopo, il capofamiglia legge il
brano del Vangelo che racconta la nascita di Gesù. Quindi tutta la famiglia insieme
recita una preghiera. Dopo la preghiera, si divide un pane tra tutti i membri della
famiglia e si consuma un pasto composto da dodici portate. La porta di casa, durante
la cena, non si chiude in modo che tutti si sentano invitati a cena. D.
– Qual è l’auspicio della comunità cattolica ucraina per questo Natale? R.
– Che sia un Natale di speranza, di pace, che porti uno sviluppo più stabile nel Paese.
Ci stiamo preparando anche alle elezioni presidenziali: la gente vorrebbe che questo
Natale riempia di gioia e porti un po’ di speranza, la comunione tra le Chiese e maggiore
stabilità per il Paese … (Interviste realizzate da Amedeo Lomonaco; notizie
a cura di Roberta Barbi)