Vigilia di Natale di sangue in Iraq: minacce contro le chiese
Non c’è pace in Iraq. Oggi due bombe a Hilla, 100 km a sud di Baghdad, hanno causato
la morte di almeno cinque persone, tra cui un membro del Consiglio provinciale, e
a Mosul sembra che un cristiano sia stato freddato da colpi di pistola alla guida
del suo furgone. Ieri sempre a Mosul erano state uccise nell’attacco ad una chiesa
tre persone, due musulmani e un caldeo. E a Baghdad quattro persone, tra cui donne
e bambini, erano state uccise in diversi attentati. E bisogna dire che alle chiese
della capitale giungono in queste ore diverse minacce da terroristi. Lo denuncia il
vicario patriarcale della capitale irachena, Shlemon Warduni, sottolineando che il
clima di paura tra i fedeli è palpabile. Della situazione Fausta Speranza ha
parlato con mons. Philip Najim, procuratore della Chiesa Caldea a Roma:
R. – Sicuramente
sarà un Natale di speranza, un Natale di attesa del Salvatore che viene a salvare
i fedeli da questa difficile situazione che vivono ormai ogni giorno e non soltanto
i cristiani, ma tutto il popolo iracheno. La situazione è veramente una situazione
anomala, una situazione precaria, una situazione difficile: l’iracheno non è più rispettato;
non sente più la sua identità e non vede rispettata la sua dignità. La responsabilità
è dello Stato che dovrebbe riuscire a garantire la sicurezza e il benessere del popolo
iracheno. Ma questo la gente non lo vede e quindi continua a scappare per cercare
di continuare a vivere, per cercare una vita migliore altrove. Questo sarà, quindi,
un Natale veramente importante per i cristiani.
D.
– Mons. Najim, cosa dire delle minoranze in genere: lei ha parlato del ruolo dello
Stato riguardo alla sicurezza, ma dallo Stato quale input viene per le minoranze?
R.
– Si vede, purtroppo, che per le minoranze lo Stato non sta facendo assolutamente
niente, così come in realtà non sta facendo niente per tutto il resto della popolazione.
Lo Stato qui è uno Stato debole, che non ha la forza di proteggere il suo popolo mentre
questo dovrebbe rappresentare il primo compito di uno Stato verso i suoi cittadini.
Abbiamo uno Stato debole, abbiamo uno Stato che dovrebbe essere rafforzato, che dovrebbe
essere più cosciente di tutto quello che sta accadendo. Bisogna muoversi. In questa
situazione anche la Comunità internazionale dovrebbe intervenire. Una vita migliore
in Iraq porterebbe anche ad una vita migliore nei Paesi vicini e nel resto del mondo.
D. – Mons. Najim, cosa c’è dietro alla persecuzione
contro le minoranze, in particolare quella dei cristiani, ma anche contro le altre
minoranze? Ci sono giochi di potere? C’è una tensione all’ennesima potenza fra la
popolazione? Cosa c’è?
R. – Io non credo che ci sia
un gioco di potere. Credo che in Iraq ci sia la volontà di creare la confusione, di
creare il caos e questo specialmente da parte di singoli gruppi interessati ognuno
ai propri interessi. Non c’è patriottismo, non c’è più unità nazionale, non c’è più
la volontà di pensare ad un Iraq solo, ad un Iraq unito. Non ci sono interessi dello
Stato, perché io qui lo Stato non lo vedo. Vedo una nazione divisa, vedo una nazione
spezzata ed ogni pezzo vuole qualcosa per sé, ha i suoi interessi personali. Pensa
solo a se stesso e non pensa all’altro, non pensa allo Stato, non pensa al Paese.
In questo momento abbiamo veramente bisogno di abbandonare l’odio che abbiamo l’uno
verso l’altro e cercare di riunirci, tutti insieme, per ricostruire uno Stato forte,
uno Stato che abbia la capacità di creare un futuro migliore per i suoi cittadini.
D. – Dunque, una preghiera di pace per questo Natale
per l’Iraq, ma prima di tutto una preghiera di unità…
R.
– L’unità è una cosa molto importante per poter creare la pace e la riconciliazione
è una cosa molto importante per poter creare uno Stato forte. Dobbiamo aprire il cuore
per ricevere il Signore, per ricevere il Bambino e per illuminare così le nostre strade,
per avere una vita più felice, più sicura, più pacifica. Questa è una speranza che
aiuta l’essere umano a continuare il suo cammino nella fede e nel suo Paese.